Ugo Bellesi
di Ugo Bellesi
Appena la gente ha cominciato ad uscir di casa perché consentito dall’affievolirsi della pandemia si è notato un particolare attivismo di enti e di privati per promuovere il turismo. Ovviamente ciascuno ha cercato giustamente di mettere in evidenza le proprie eccellenze e comunque quel che gli stava più a cuore. Così si è pensato di puntare sul cicloturismo, sulle passeggiate, sulle escursioni, sul deltaplano e sul parapendio, sull’asinovia, sul canottaggio, sulla pesca, sul ciauscolo, sul pecorino e su altri prodotti di eccellenza. Qualcuno ci ha fatto notare con sorprese che purtroppo nessuno abbia pensato a sottolineare e comunque a rivendicare la ricchezza del nostro patrimonio storico, architettonico e religioso che farebbe invidia anche a regioni ben più “ricche” delle Marche. Ed è noto che proprio il patrimonio culturale è quello che attira il turismo che porta ricchezza perché non si accontenta del “mordi e fuggi”.
L’abbazia di Rambona
Ci siamo chiesti il perché di questa “dimenticanza” e abbiamo cercato di fare un piccolo sondaggio su quelle che fino a qualche anno fa tutti consideravamo dei punti di forza per il nostro turismo culturale. E abbiamo scoperto che purtroppo le nostre maggiori eccellenze sono inagibili ancora a causa del terremoto del 2016. Partiamo dall’abbazia di Rambona in territorio di Pollenza. Le sue origini risalgono al XI o al massimo al XII secolo. Fu fondata dall’imperatrice Agertrude sulle rovine di un tempio pagano sacro alla dea Bona. Stupenda la cripta romanica a tre navate con materiali romani e sculture barbariche. Bellissima all’esterno la triplice abside con all’interno affreschi del XV secolo. Ebbene questa preziosa testimonianza della nostra storia, a causa dei danni provocati dal terremoto del 2016, è interdetta al pubblico.
Danni all’Abbazia di Rambona
Ebbene, proprio per questo, non viene più citata, né ricordata. E la cosa più grave – a quanto ci è stato riferito – non c’è qualcuno che si preoccupi del restauro. Ad eccezione ovviamente degli abitanti della zona e del parroco che ovviamente “sono visti come il fumo negli occhi” da chi invece potrebbe e dovrebbe intervenire. Per qualcuno forse sarebbe meglio che tutto finisse in macerie… A pensar male si fa peccato ma spesso si indovina. E passiamo ad altra preziosa testimonianza: la chiesa di Santa Maria di Plestia, al confine con l’abitato di Colfiorito, ma in gran parte in territorio di Serravalle di Chienti. Sorge sul sito di un’antica cattedrale e ne incorpora i resti. E’ in stile protoromanico, con cripta paleocristiana risalente all’antica città di Plestia scomparsa nel X secolo. Ebbene questa chiesetta rustica molto suggestiva è come fosse stata dimenticata da tutti. «Dovrebbe essere restaurata ma non se ne parla in nessuna sede», come ci spiega un abitante della zona. «Io ho altre 20 chiese – ci dice un parroco – in quelle stesse condizioni. Figuriamoci».
L’abbazia di Sant’Eutizio
A questo punto non si può fare a meno di rivolgere la nostra attenzione ad uno dei complessi monastici non solo più antichi d’Italia ma anche uno dei più importanti del monachesimo occidentale. Si tratta dell’Abbazia di Sant’Eutizio. E’ vero che si trova nel Comune di Preci e quindi in terra umbra ma è a soli otto chilometri da Visso e quel cenobio non solo era frequentato da San Benedetto ma fu visitato anche da San Francesco quando si stava recando ad Ascoli. Danneggiato dal sisma del 1997 e poi ristrutturato ma non consolidato nelle fondamenta è stato quasi distrutto dal terremoto del 2016. C’è l’impegno del commissario Legnini (e di lui ci si può fidare) per ricostruirlo ma i lavori sono complicati dal fatto che c’è una rupe poco stabile che gravita sul vecchio edificio che comunque ora, rimosse le macerie, è stato almeno messo in sicurezza. Per dimostrare l’importanza di questa abbazia di Sant’Eutizio basterà ricordare che, crollato l’impero romano, nella valle Castoriana nel V secolo si insediarono dei monaci siriani e nel 510 fu eretta la prima chiesa in zona di grande valore paesaggistico. Nell’alto medioevo il cenobio acquistò grande prestigio e arrivarono molte donazioni, tra le quali una cospicua da parte dell’imperatrice donna Ageltrude (la stessa che fondò Rambona), vedova del duca di Spoleto che era re d’Italia e imperatore. C’era un grande scriptorium dal quale uscì, tra l’altro, uno dei più antichi e importanti documenti in volgare: la “Confessio eutiziana”. Si era nella prima metà dell’XI secolo. Gli stessi monaci, che avevano accettato la regola di San Benedetto, diedero vita alla scuola chirurgica preciana divenuta famosa in tutta Europa.
Elcito
E non possiamo dimenticare che alle falde del monte San Vicino, in uno scenario molto suggestivo e simile a quello andino, si trova il castello di Elcito ad 821 metri di altitudine. Risale al XIII secolo e fu costruito a difesa della vicina abbadia di Valle Fucina in zona pittoresca (la chiesa è del IX sec. con cripta quadrata a tre navate). I residenti sono una decina ma solo cinque ci vivono più o meno stabilmente. La località è molto frequentata soprattutto d’estate e in particolare il sabato e la domenica quando è aperto ”Il cantuccio” che vende panini imbottiti e cresce. Ogni due anni ci sono le feste medievali in onore di San Rocco, patrono della località. C’è qualche affittacamere oltre ad un breakfest. L’accoglienza si potrebbe migliorare – ci dicono – magari eliminando le macerie (sotto le quali si nascondono delle vipere) e rendendo meno austero l’ambiente urbano. «Ma è proprio quello che attrae i turisti», esclama una signora del posto.
L’abbazia di Sant’Urbano
E concludiamo accennando alle vicende dell’Abbazia di Sant’Urbano ad Apiro risalente forse a prima dell’anno mille tanto è vero che viene citata in una pergamena del 1033. Raggiunse il massimo splendore nel XIII secolo avendo non solo grande potere religioso ma anche civile. Nel 1442 fu tolta ai benedettini e ceduta ai camaldolesi della vicina abbazia di Val di Castro che la tennero fino al 1810 quando, arrivati i francesi essi la trasformarono in azienda agricola. Nel 1978 fu assegnata all’Eca e quindi al Comune di Apiro. La struttura è in stile romanico mentre il presbiterio è gotico con una cripta assai interessante. Negli anni ’90, avendo il Comune di Apiro problemi per gestire un edificio scolastico in disuso e altri edifici, sollecitò l’intervento di un industriale, Enrico Loccioni di Moie che capì subito l’importanza di valorizzare la famosa abbazia. Così nel tempo è stato creato un ristorante con tre sale, furono sistemate alcune stanze per ospitare i turisti, si realizzò una piscina, oltre ad una sala multifunzionale per meeting, un bar con giardino e tutto l’ambiente è tornato a nuova vita. C’è sempre il personale disponibile e le guide preziose per accompagnare i visitatori. Ora però il Comune di Apiro vorrebbe cedere ai privati anche alcuni terreni (per circa sei ettari) e relativi edifici. Si è però opposta l’Associazione “I tesori della valle di San Clemente” che vuole evitare una ulteriore privatizzazione dell’area proponendo di valorizzare il complesso creando un circuito turistico con altre località come appunto Elcito, il Canfaito, le Grotte di Frasassi, Serra San Quirico, il lago di Castreccioni ecc.
Le nostre bellezze territoriali sono inconfutabili ma i marchigiani in genere non hanno la mentalità turistica questo da sempre quindi c'è da crescere sotto questo aspetto
E non solo.....ne ho minimo, anch'io, altre 20 di situazioni così particolari nel nostro territorio bellissimo e ricchissmoi di alta rilevanza artistico-culturale che non ha eguali. LE MARCHE UNA REGIONE AL PLURALE.
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