di Laura Boccanera
Polo e t-shirt a marchio Paciotti vendute a 9,90 euro nella sezione abbigliamento di una catena di supermercati e tramite televendite nelle tv private. Per il giudice è assimilabile alla contraffazione. Sentenza rilevante per il diritto civile e di impresa quella che i giudici del tribunale ordinario di Ancona (sezione specializzata in materia d’impresa) hanno emesso ieri al termine di un contenzioso durato 4 anni fra l’azienda civitanovese Paciotti e il licenziatario e distributore del marchio.
Tutto inizia nel 2016 quando i titolari della Paciotti si accorgono che all’interno di una catena di supermercati sono presenti polo e t-shirt con l’iconica spada “Paciotti” al prezzo di 9,90 euro. Prodotti che in negozio e nelle boutique vengono vendute a 100 euro. In realtà non si tratta di prodotti “contraffatti” tout court, perché ad averli immessi nella distribuzione, a totale insaputa dell’azienda madre, era stato il licenziatario del marchio.
E così ad aprile del 2016 però sui volantini del supermercato accanto a prosciutti e offerte speciali della settimana c’erano anche le polo Paciotti. L’azienda fa denuncia per contraffazione e introduzione in commercio di prodotti falsi alla Guardia di finanza che opera un primo sequestro di merce, poi rigettato dal tribunale del Riesame che dissequestra la merce perché si ritiene non fosse ravvisabile la contraffazione penale visto il contratto seppur scaduto col licenziatario del marchio per capi di intimo e beachwear Paciotti e, ravvisando invece, una vicenda di carattere civile. A questo punto è proprio il distributore padovano che avvia la causa al tribunale di Ancona contro Paciotti per appurare nero su bianco che non vi fosse contraffazione nel modus operandi. L’azienda si costituisce e oppone le sue opposte pretese avviando un’azione parallela contro il licenziatario per inadempimento contrattuale, concorrenza sleale, contraffazione del brand e anche contro il distributore che era stato anche produttore (tramite aziende in Bangladesh) di 560mila pezzi tra polo e t-shirt. Di fatto il contratto col licenziatario terminava a gennaio 2016 e l’ultima collezione prodotta sotto licenza doveva essere quella autunno inverno 2015 mentre ad aprile 2016 sui supermercati arrivano le polo a marchio Paciotti. Il licenziatario si difende opponendo che la produzione era stata avviata e pianificata sotto contratto, ma per l’azienda si tratta anche di un danno di immagine perché la merce è stata venduta in canali non adatti al settore lusso. Per il licenziatario si è trattato di un volume di affari superiore al milione di euro. Il giudice condanna licenziataria e distributore al pagamento dei danni a risarcire Paciotti con 250mila euro per il danno subito e con 100mila euro per il mancato versamento delle royalties sostenendo che “dopo il 10 gennaio 2016 non solo era vietata la produzione di merce a marchio Paciotti, ma non era ammessa neppure la commercializzazione dei prodotti – si legge nella sentenza -. Una diversa interpretazione renderebbe illogico l’obbligo di esaurire a quella stessa data ogni risorsa di magazzino. Inoltre, ipotizzare che la commercializzazione fosse consentita anche dopo la chiusura del contratto sovvertirebbe i termini di qualsiasi contratto di licenza, invogliando i licenziatari a sovraprodurre in costanza di contratto per poi vendere dopo la scadenza delle licenze, senza i vincoli delle stesse, in chiara concorrenza sleale con i titolari dei marchi”. Soddisfazione è stata espressa dai titolari della Paciotti e dai legali Cristina Senesi e Michele Centioni. «Abbiamo dovuto aspettare anni, ma è una sentenza che ha fatto giustizia – hanno dichiarato Massimo Calcinaro della Paciotti ed i legali dell’azienda – che riconosce l’inadempimento contrattuale e che questo si traduce in un illecito assimilabile alla contraffazione».
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