di Federica Nardi
Valentina Vitali e Marta Baldassarri hanno 32 e 33 anni e dal loro piccolo laboratorio casalingo hanno portato in provincia la rivoluzione della slow fashion.
Valentina Vitali e Marta Baldassarri nel loro laboratorio (foto di Marco Gentili)
Non solo sarte, ma quasi alchimiste della tintura e della tessitura, le due giovani si sono conosciute per caso, fondando il brand E’ Etico. Un nome e un programma e ora anche una raccolta fondi online fino al 31 gennaio (tutte le info su Produzionidalbasso.com) per permettere al loro sogno, per cui hanno abbandonato la certezza dello stipendio a fine mese, di concretizzarsi in un progetto imprenditoriale etico, innovativo e all’insegna dell’economia circolare. Il loro progetto è tra quelli selezionati per essere ospitati dopo i lavori nell’ex Mattatoio di Macerata ma i costi sono molti e non basta il finanziamento ottenuto.
La raccolta fondi funziona così: a ogni donazione, corrisponde un prodotto realizzato da loro (a seconda anche della cifra). Nel frattempo Valentina e Marta raccontano com’è nato il progetto e la loro visione, che è anche quella di una generazione che di fronte all’incertezza o al crescente sfruttamento del mondo del lavoro risponde con la sfida della sostenibilità e dell’autoimprenditoria.
Tutto prodotto artigianalmente: dall’abito all’etichetta
Quando nasce E’ Etico?
Marta: «Circa un anno e mezzo fa. Ci siamo conosciute per caso. Ci hanno presentate perché sapevano che entrambe avevamo fatto scuola di sartoria. Così ci siamo incontrate e abbiamo deciso di fare qualcosa insieme, che era inizialmente sartoria con tessuti puri. Poi grazie alla passione di Valentina per le tinture naturali e la stampa botanica è diventato qualcosa in più».
Marta, lei era entrata già in contatto con questo tipo di lavoro?
«Io avevo lavorato per due aziende del settore e da lì ho cominciato a pensare: sì bello, ma dietro c’è un retroscena abbastanza inquietante come quello dei prodotti chimici utilizzati per trattare i tessuti. Penso ai jeans ma anche le lane. Oltre a quello del costo del lavoro, che all’estero costa pochissimo».
Valentina Vitali al lavoro con uno dei tessuti tinti in modo naturale
Lei Valentina?
«Io ci sono cresciuta. I miei genitori hanno un’azienda di abbigliamento ma a livello industriale. Quindi la passione per il cucito ce l’ho avuta da sempre, fin da piccola. Poi, circa sei anni fa, mi sono voluta formare nella sartoria e nell’artigianto perché vedevo i ritmi di lavoro dei miei genitori insostenibili e in parte infondati quindi ho deciso di concentrarmi sul lato artigianale. Poi mano a mano ho conosciuto il mondo delle tinture naturali. Ho cominciato a sperimentare a casa finché poi non ho fatto dei corsi».
All’inizio quali erano i suoi strumenti?
«All’inizio stavo a casa quindi una pentola, i fondi di caffè o la curcuma. Cioè le cose che trovavo in cucina e sapevo che potevano dare colore. Mi mettevo lì e facevo delle prove per gli abiti che preparavo per la scuola di sartoria. E poi su internet, cercando nel mondo delle colorazioni, ho incontrato la stampa botanica e ho cominciato a sperimentare con quello che trovavo in giardino».
Per quanto tempo ha sperimentato?
«Un annetto, con scarsi risultati, prima di fare un corso serio».
E’ Etico sembra un nome e un programma. Dove prendete le materia prime?
«Per adesso i tessuti li prendiamo dove li troviamo perché è difficilissimo trovarne di puri, non tinti e non sbiancati a livello industriale. Giriamo molto. Le materie coloranti le prendiamo dai boschi, dai prati…».
C’è un posto preferito?
«No, ci muoviamo a seconda delle specie che troviamo. In alcuni posti sappiamo quello che c’è e ci andiamo».
Un esempio?
«A Morrovalle c’è un boschetto dove c’è il gallium, la radice che dà il rosso, che cresce a mucchietti spontanei. Andiamo lì e scaviamo fino alla radice ma bisogna stare attenti perché è fragile. Poi c’è la quercia che dà un marrone scuro. Una tintura e stampa particolare poi la dà l’eucalipto che qui però non cresce spontaneo. Ma abbiamo trovato un fioraio che ne ha molti a casa e quando li pota ce li dà. In tintura fa il rosa ma se lo combini bene dà o il verde o il rosso».
Voi non siete solo sarte, siete anche un po’ botaniche, quando parlate di tinture sembrano magie
«Siamo quasi delle alchimiste».
Qui c’era una tradizione?
«La tradizione era ovunque prima delle colorazioni chimiche».
Non avete avuto referenti più anziani?
«No, ci sono però diverse persone nelle Marche che fanno tintura».
Come riassumereste i valori di E’ Etico?
«Il “saper fare”. Tornare alla manualità e la meticolosità dell’artigianato, anche quella tradizione nostra. Il rispetto dell’uomo e dell’ambiente per i materiali e le colorazioni. Perché dopo l’avvento della colorazione chimica ci sono più allergie. E anche per i lavoratori è drammatica la situazione, in particolare fuori dall’Italia. E l’economia circolare perché l’obiettivo è reperire tessuti in zona, idem per le piante e poi la confezione finale che facciamo noi. Per questo, tempo fa, abbiamo parlato con la Cia che ha un progetto sugli agrotessuti, sarebbe bello chiudere un cerchio e far sì che fosse un valore in più territoriale e renderlo in futuro un esempio virtuoso di economia circolare. Il nostro progetto nasce anche per contrastare l’avvento della fast fashion. È nato il movimento fashion revolution che va contro le grandissime produzioni di abbigliamento usa e getta e a bassissimo costo che non rispettano nemmeno più la stagionalità. Producono in condizioni pietose e nel 2014 ad esempio successe in Bangladesh che crollò un palazzo uccidendo più di mille persone. Pochi giorni fa ugualmente in India è crollato un laboratorio. Noi seguiamo questo movimento nella ramificazione dello slow fashion».
Fino al 31 gennaio sarà attivo un crowdfunding, a che serve e come funziona?
«Serve per allestire il laboratorio sartoriale all’ex mattatoio di Macerata e per i materiali per le tinture. Costituire la società e reperire i macchinari ha un costo abbastanza alto. Ora abbiamo macchinari abbastanza casalinghi e vecchi, però ci siamo arrangiate. In cambio delle donazioni realizziamo dei pezzi unici e dei capi sartoriali».
Realizzate sia abiti a modello che su misura?
«Sì, abbiamo anche una piccola collezione».
Cosa è significato per voi, da giovani donne, imbarcarvi in questo progetto?
«Il tema è avere 30 anni in un’epoca in cui è difficile trovare lavoro. E quindi è bello che due donne si siano trovare per creare un’impresa. Così come la capacità di reinventarsi»
Qualcuno ha mai dubitato di questo cambio di vita?
Valentina: «Assolutamente. Io ho lasciato il lavoro al pub e nessuno mi ha capito, tranne le persone più vicine. Lasci lo stipendio fisso a fine mese»
Marta: «Già da prima sapevo che volevo fare questo. Quando mi è scaduto il contratto ho chiesto o il part time o di non rinnovarmelo perché sapevo che non potevo crescere nell’azienda. C’è anche uno scontro generazionale forte. Noi giovani dovremmo essere una ricchezza ma spesso non siamo percepiti così. Io sono stata fortunata perché c’era una sarta che mi ha insegnato tantissimo. A casa l’hanno percepita come la perdita di un lavoro stabile. Ma io capivo che avevo imparato quello che potevo e mi sentivo limitata e non potevo più reggere la situazione».
Adesso ci vivete con il lavoro?
«Ancora no, continuiamo a fare anche altri lavori. E’ una fase delicata».
Però per voi ne vale la pena.
«Sì, e poi dipende da ognuno e dal suo carattere. C’è chi si porta a casa 1200 euro al mese anche facendo un lavoro che non piace e sta bene. Anche la generazione dei nostri genitori si sta rendendo conto che tante cose non vanno, che in tanti settori ti sfruttano».
Intanto però la scelta è fatta.
«Tornare indietro ora sarebbe un’assurdità».
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