di Mario Monachesi
“L’occhju cattiu” (anche “fattura”), ovvero il malocchio, era una credenza popolare molto radicata, e dalle origini antichissime, in voga negli anni passati, soprattutto nei paesi mediterranei. Esso si riteneva provocato da diversi sentimenti, quali l’invidia, la gelosia, l’amore possessivo. I sintomi potevano essere un senso di svuotamento e di perdita di energie, un pensiero fisso, una nevrosi senza motivo, sonnolenza, mal di testa, ecc. Ecco allora che, forti della “virtù” (capacità “de scanzà’ l’occhju cattiu” o “de sfascià’ la fattura”), scendeva in campo l’addetto o l’addetta. Sempre una persona anziana.
Preso un piatto colmo d’acqua, intanto il colpito doveva stare seduto, vi lasciava cadere alcune gocce d’olio. Se queste si dissolvevano immediatamente, non rimanevano compatte, “se spannia”, era segno preciso che il malocchio c’era e il rito doveva essere ripetuto tre volte, ogni volta, sia cambiando l’acqua che tracciando con la mano segni di croce sul piatto e sulla fronte della persona da guarire. L’acqua andava buttata in un luogo dove nessuno vi poteva passare, per evitare così la trasmissione del malocchio a chi inavvertitamente l’avesse calpestata. Contemporaneamente recitava sottovoce, quasi incomprensibilmente, preghiere e formule, di solito tramandate da generazione a generazione. Cioè, dalla madre alla figlia, dal padre al figlio, dallo zio ad un nipote. La donazione della virtù poteva avvenire solo una volta l’anno, di solito la notte di Natale. Il tutto avveniva davanti al fuoco acceso, bisbigliando all’orecchio, lontano da occhi indiscreti.
Le formule (potevano variare da zona a zona) recitavano: “In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Io ti libero dalla testa ai piedi, chi ti ha fatto del male deve farti del bene. Occhio, contr’occhio, mettiglielo all’occhio. Schiatta il diavolo e crepa l’occhio”. Oppure, “Oh Padre potentissimo! Oh Madre la più tenera delle madri! Oh esemplare ammirabile della materna tenerezza! Oh Figlio, fiore dei figli! Oh forma di tutte le forme! Anima, spirito, armonia di tutte le cose. Conservateci, proteggeteci, guidateci, liberateci da tutti gli spiriti maligni che ci assediano continuamente senza che noi lo sappiamo. Amen”. Se le gocce d’olio prendevano la forma di un occhio, la fattura era stata fatta da una donna, se la forma che appariva era a bastoncino, era stato un uomo. Se dopo la terza volta, le gocce non erano ancora divenute compatte, si tagliavano gli “occhi” delle stesse con le forbici e la continuazione del rito veniva rimandata al giorno dopo. “Lu malocchju” si riteneva allontanato solo quando le gocce d’olio sull’acqua riacquistavano la forma circolare. La persona guarita ringraziava con prodotti “de casa”, come oi, sargicce sott’ojo o virdura de stajó”. Non si davano soldi. Il malocchio aveva anche altri riti. Uno era quello del grano. Si gettavano nell’acqua un numero dispari di chicchi di grano, se il chicco scendeva sul fondo del piatto “la fattura” era assente, se viceversa restava a galla, era presente.
A volte chi lo lanciava non ne era consapevole (dicevano i nostri nonni: “se ‘ nvidia anche senza volello”), a volte invece ci si avvaleva di proposito di pratiche di magia che nell’antica Roma veniva chiamata fascinus”. Cornelio Agrippa, nella sua opera “La filosofia occulta o la magia” ne fa un’accurata descrizione: “Una forza che partendo dallo spirito del trascinatore entra negli occhi del fascinato e giunge fino al di lui cuore. Lo spirito è, dunque, lo strumento della fascinazione”. Quindi, un flusso di energia negativa, in arrivo da una persona (o cosa) con il fine di arrecare danno ad un’altra persona. Le prime tracce del malocchio le troviamo in un antico frammento di terracotta, presente al British Museum di Londra, appartenente ai Caldei, popolo di origine aramaica stanziatosi tra la Babilonia e il golfo Persico nel XIV secolo a. C. È mensionato anche in alcuni documenti archeologici appartenenti alla cultura Assira. Il malocchio lo troviamo anche nell’antico Egitto, in papiri datati 1200 a. C., nella religione islamica e in quella ebraica. Anche nell’antica Gregia. Il termine malocchio significa “occhio che getta il male” (“evil eye”, occhio del male, in inglese; “mal de ojo”, male dell’occhio, in spagnolo; “to matiasma”, in greco) ed era (magari ancora è) una forma di superstizione a cui veniva attribuita molta credibilità, ma priva di ogni validità scientifica o di riscontri oggettivi. In Italia tale credenza era più sentita al sud e al centro che nel settentrione. Anche il territorio maceratese ha fatto la sua parte. Chi non ricorda le nostre nonne sempre pronte con il piatto, l’acqua e l’olio, al primo mal di testa o svogliatezza del nipote. “T’ha ‘nvidiato chjdù’ coccu mia, veni qua che ce pensa nonna”.
Benedetto Croce diceva: “Non è vero ma ci credo”. Eduardo De Filippo: “Essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male”. Esilarante invece la formula recitata da Lino Banfi nel film “Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio”: “Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio, ego me baptizo contro il malocchio. Puh! Puh! E con il peperoncino e un po d’insaléta ti protegge la Madonna dell’Incoronéta, con l’olio, il sale e l’aceto ti protegge la Madonna dello Sterpeto; corrrrrrno di bue, latte screméto, proteggi questa chésa (casa) dall’innominéto”. Per l’oggi una raccomandazione mi sento di fare: attenti alle truffe di “fattucchjari” e sedicenti maghi.
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Grazie per questi bellissimi racconti….aspetto sempre con ansia l’arrivo di un nuovo articolo!!