Il manoscritto dell’Infinito di Leopardi è falso ma gli imputati che lo avevano messo all’asta erano in buonafede. Questa in sostanza le conclusioni tratte nel processo che si è chiuso oggi al tribunale di Macerata con l’assoluzione con formula piena per entrambi gli imputati, Luciano Innocenzi, proprietario del manoscritto, e Luca Pernici, direttore degli istituti culturali di Cingoli. Anche l’accusa ha chiesto l’assoluzione. Oggi si è tenuta la prima udienza dove sono stati sentiti quattro testimoni della procura, tra cui un perito calligrafo che era stato nominato dal Gip in incidente probatorio, Concetta Aquilino. Dalle testimonianze è emersa l’insussistenza del dolo, e la buona fede degli imputati, che erano stati confortati dal parere di autenticità del manoscritto da parte di studiosi ed esperti leopardiani emerse in un convegno che si era svolto il 18 giugno 2014 a Macerata. Il gip aveva anche disposto una perizia sul manoscritto dell’Infinito di Leopardi ed era emerso che si trattava di una sorta di fac simile di uno scritto originale del poeta recanatese. Di originale c’era la carta, quella sì dell’Ottocento. Ma Pernici e Innocenzi non potevano sapere che fosse un falso, avevano dato fiducia ad un esperto di Leopardi che aveva analizzato il manoscritto ritenendolo autentico. È in base a questa consulenza e al parere di altri esperti che avevano ritenuto di avere in mano un documento preziosissimo. Visto quanto emerso oggi, l’avvocato Giancarlo Nascimbeni (difensore di Pernici) ha chiesto al giudice, con il consenso delle altre parti, di rinunciare all’ascolto di altri testimoni. Il giudice ha accolto la richiesta e si è passati alla discussione del processo. Il pm Dragonetti ha chiesto l’assoluzione «perché il fatto non costituisce reato». Ed è con questa formula che il giudice Roberto Evangelisti ha assolto entrambi gli imputati.
«Si è così concluso con una sola udienza dibattimentale un processo che ha avuto inizio nel novembre 2014 e che ha tenuto alla gogna mediatica due persone perbene che tutto volevano fare meno che porre in vendita il manoscritto fraudolentemente e furtivamente, ma che hanno agito alla luce del sole con il conforto di luminari particolarmente esperti di studi leopardiani – commenta l’avvocato Nascimbeni –. Emergeva fin da subito negli atti processuali che anche la Regione si era mostrata interessata all’acquisto del manoscritto forte anch’essa dei pareri di autenticità emersi pubblicamente con le modalità sopra descritte. Malgrado ciò, si è ritenuto di celebrare un processo per un reato che per essere riconosciuto come tale necessitava della sussistenza del dolo in capo agli imputati». L’assoluzione arrivata oggi «ha posto fine al processo senza la necessità di un’ulteriore protrarsi dello stesso per qualche anno ancora» e, aggiunge ancora Nascimbeni «di ciò va dato atto all’odierno giudicante e al pm». L’indagine era nata quando il documento era andato all’asta, nel giugno del 2014. Per comprarlo si partiva da 120mila euro. Ma prima che si tenesse l’asta si era espressa una funzionaria della Soprintendenza che aveva detto che a suo parere il documento non era autentico.
(Gian. Gin.)
Commenti disabilitati per questo articolo