di Gabriele Censi
«I paesi dell’Appennino non sono morenti, e se fosse anche una bugia meglio raccontarla, per combattere la figura dello scoraggiato militante». Un soffio di ottimismo ieri nella sala conferenze del rettorato di Unicam dall’incontro con il “paesologo” Franco Arminio, poeta e scrittore noto anche per aver raccontato il suo terremoto, quello dell’irpina del 1980. E del sisma attuale parla in apertura del suo dialogo accanto al rettore Claudio Pettinari che lo introduce, sottolineando la mancanza della quotidianità degli incontri con le persone che ora sono lontano da Camerino.
Arminio suggerisce piccoli gesti di gratitudine verso l’esterno: «Parlate con gli anziani, cantate, se un paese perde il canto è un brutto segnale. Ma l’Italia tornerà sull’Appennino e Camerino di queste montagne è una capitale, qui si fabbricano idee». Ottimismo anche in riferimento alla difficile fase del post sisma: «Dobbiamo abitare questa fase di dolore facendo buon uso delle nostre rovine, con porte chiuse ma teste aperte». Il poeta coinvolge gli intervenuti facendo leggere una sua poesia nei vari dialetti e lingue dei partecipanti, dal marchigiano al ligure, fino all’albanese. Tra questi anche una biologa ricercatrice di Apiro, che interviene sul tema della risorsa turismo: «Noi siamo montanari, non vogliamo essere stravolti».
Insomma un nuovo immaginario legato al “piccolo è bello”, e al centro, comunque di qualcosa, seppure lontano dalle metropoli:«Se andate a reclamare a Roma non dite che siete pochi perchè dovete contare anche gli alberi e gli animali». Arminio seduce la platea proponendo un ritorno alle cose semplici: «Non invento nulla sono cose che sapete, qui c’è una storia di 3mila anni, e le Marche regione mediana possono dosare bene insieme lo scrupolo del Nord e l’utopia del Sud». Si chiude cantando in coro, canzoni popolari, e non poteva mancare l’omaggio al ‘”paese mio che sta sulla collina” di Jimmy Fontana. L’ateneo ha regalato ai non tanti, ma attenti, studenti presenti una lezione in “versi diversi”.
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