Villaggio della solidarietà Lions a Corgneto
Le strutture in legno che ospitano le scuole elementari e medie
di Leonardo Giorgi
(Foto di Lucrezia Benfatto)
Villaggi di casette antisismiche in ogni frazione, bambini che giocano per strada intorno alle tre scuole di legno accanto all’imponente palazzetto sportivo, praterie sterminate dove le aziende agricole del territorio non hanno smesso di lavorare nonostante il terremoto. I danni e la paura (tanta) ci sono, ma quando si arriva a Serravalle, l’impressione è che lo sciame sismico del 1997 (dove il comune è stato epicentro di diverse terribili scosse) e la ricostruzione guidata dal “sindaco del terremoto” Venanzo Ronchetti abbiano permesso alla zona di affrontare l’emergenza in netto vantaggio rispetto ai paesi limitrofi. Impressione confermata anche dal giovane sindaco Gabriele Santamarianova.
«Le strutture in legno realizzate dopo il 1997 – spiega il primo cittadino – sono state subito messe a disposizione dei cittadini di tutta la zona. Abbiamo evitato la disgregazione della comunità e abbiamo ospitato sfollati di comuni vicini come Pieve Torina, Muccia e Pievebovigliana. Una ventina di famiglie di Serravalle, rimaste senza casa, si sono spostate sulla costa per qualche giorno subito dopo il 30 ottobre, ma poi sono tornate sul posto». L’attuale situazione di Serravalle, pensando al terremoto di 20 anni fa, ha del paradossale. «Serravalle “ha già dato” – sorride amaramente il sindaco -. Nel ’97 per esempio il 95 per cento del patrimonio immobiliare era inagibile. Oggi invece possiamo ripartire dal turismo e dalle iniziative che contraddistinguono il nostro territorio. Quest’anno il festival celtico di Montelago assume infatti un significato ancora più importante».
Il sindaco Gabriele Santamarianuova
Se Montelago è ormai, come afferma Santamarianova, «il Summer Jamboree dell’entroterra» e quest’anno ha in serbo tante novità legate alla ripartenza post terremoto, il sindaco sottolinea come, a livello burocratico, lo Stato potrebbe dare una mano più concreta. «Stiamo ancora aspettando l’istituzione della zona franca a livello fiscale nel cratere – spiega il primo cittadino -. In questo modo, con le agevolazioni già presenti dopo gli ultimi decreti, potremmo spostare a Serravalle aziende e attività che troverebbero vantaggi importanti nel venire qui. Considerando anche che ora il comune è collegato al resto del centro Italia grazie alla superstrada Quadrilatero».
Il centro storico di Serravalle
La palestra antisismica donata da Della Valle nel dicembre del 1999
In bilico tra i terremoti avvenuti a una distanza di circa 19 anni, Serravalle è ora una sorta di “rifugio” per tanti sfollati della provincia di Macerata. Nel centro viene ospitata l’intera casa di riposo di Muccia, mentre la palestra antisismica donata da Diego Della Valle nel ’99 (oltre a essere stata usata come dormitorio fino a qualche settimana fa) è stata messa a disposizione dal sindaco alle associazioni sportive che non hanno modo di far allenare i propri atleti nei comuni di appartenenza. «Avere un palazzetto è importante – spiega un’insegnante di danza del posto – perchè i bambini hanno bisogno di uno sfogo. Sono loro ad aver sentito di più questo terremoto, e cominciano a rivivere quei giorni di panico ad ogni rumore strano. C’è bisogno di un grande lavoro psicologico dietro. E’ vero che Serravalle ha avuto meno danni rispetto ai comuni vicini, ma non è che siamo un’oasi felice». Ed è proprio così. Serravalle ha dato rifugio a tanti “forestieri” e il Comune ha gestito l’emergenza con una tempestività incomparabile con i territori limitrofi, ma gli abitanti del posto hanno avuto le loro ferite. Da bambini che non riescono a stare da soli per più di pochi minuti in una stanza o ad andare in bagno per paura di nuove scosse, a famiglie che hanno dovuto stringere i denti per andare avanti e dare da mangiare ai propri figli.
La chiesa di Santa Lucia, rimasta lesionata nei terremoti di ottobre
Francesca Palombo titolare di “Buona Fortuna”
«Avevamo ristrutturato il nostro nuovo negozio poche settimane prima dei terremoti di ottobre – spiega Francesca Palombo, mamma di due bambini e titolare dell’attività “Buona fortuna”, dove si vende tutto, dai tabacchi ai giornali, dai giocattoli alle patatine, dalla bigiotteria ai fiori – facendo un investimento importante. Anche se a Serravalle non possiamo lamentarci troppo, il sisma ha cambiato tutto e per due mesi non siamo potuti neanche rientrare in casa, abbiamo dormito nel palazzetto. Finchè abbiamo potuto, abbiamo fatto continuare l’attività con un banchetto davanti il negozio. Ora il negozio è in un altro spazio e si va avanti». La determinazione di Francesca è anche quella di quanti abitano i suggestivi villaggi in legno che Serravalle, nella ricostruzione post ’97, ha installato in ogni sua frazione. Tra le praterie sconfinate e gli scorci mozzafiato, si notano dei piccoli agglomerati di casette antisismiche. Uno dei villaggi più belli e in armonia con l’ambiente circostante è quello di Corgneto, donato venti anni fa dal Lions club. Composto da una decina di case e una chiesa, il quartiere funziona come un paesino in miniatura dove gli sfollati di Serravalle, Pievebovigliana e Fiordimonte hanno trovato rifugio.
(3/continua)
(Nelle puntate precedenti Serrapetrona e Monte San Martino)
Lesioni nel precedente stabile che ospitava il negozio “Buona fortuna”
Olimpia Loreti, già titolare della trattoria Cosen sulla vicina strada statatale, si occupa attualmente del bar accanto al municipio
I materassi rimasti nel palazzetto “Della Valle”, usato fino a fine marzo come dormitorio
Diverse strutture in legno intorno al palazzetto di Serravalle sono state costruite nel ’97 grazie alla raccolta fondi del TG5 e del Corriere della sera
Il corridoio dell’attuale sede della scuola media
Il municipio, parzialmente inagibile
L’edificio dove sono stati spostati gli ospiti della casa di riposo di Muccia
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La “PROTEZIONE SOCIALE” DELLE AREE DEL TERREMOTO E DEI SUOI ABITANTI
Le casette prefabbricate per l’emergenza sismica faticano ad arrivare, come sappiamo, e le Regioni hanno provveduto ad emettere un bando per il reperimento di immobili privati nel territorio, da acquistare e destinare ai residenti di edifici inagibili, quale alternativa al percepimento del contributo di autonoma sistemazione ovvero all’assegnazione delle unità abitative temporanee. Le Regioni acquisiscono cioè immobili che, una volta terminata la ricostruzione, saranno riconvertiti ad edilizia pubblica. Lodevole iniziativa, pensata “in considerazione degli obiettivi di contenimento dell’uso del suolo e riduzione delle aree da insediare a insediamenti temporanei” – recita l’art. 14 del D.L. 8 del 9/2/17 – e si potrebbe anche obiettivamente aggiungere: per evitare si destinare denaro prezioso a strutture che hanno una valenza pur sempre temporanea.
Fin qui il ragionamento può apparire ineccepibile e quindi condivisibile, entra però in gioco un altro aspetto più immateriale ma non meno importante, da tenere in considerazione.
La distribuzione frammentata degli abitanti in un vasto ambito di territorio anche all’esterno del cratere dove verranno delocalizzati negli immobili acquisiti – e comunque fuori dal loro consueto contesto urbano – per un tempo che dovrà durare più di qualche anno, porterà indiscutibilmente ad una frantumazione delle Comunità umane che hanno abitato i paesi ed i piccoli borghi colpiti dal terremoto.
Ci sarà chi avrà “gioco-forza” cambiato sede di lavoro, scuola dei figli, chi avrà rinnovato completamente le proprie abitudini, ecc. Tutte queste trasformazioni porteranno nel tempo a disperdere gli originari nuclei che hanno costituito le popolazioni fino al 24 agosto.
L’arch. Francesco Doglioni, docente allo IUAV, nella conferenza di giovedì 30/3 a Macerata, ha dato conto della densa esperienza della ricostruzione in Friuli e ha avuto modo, tra l’altro, di raccontare di come la permanenza delle persone nei loro luoghi, abitando nelle casette prefabbricate, abbia “protetto” il mantenimento in vita del tessuto sociale del proprio paese.
Alcuni di loro – afferma Doglioni – hanno poi confessato, a ricostruzione avvenuta, anche un po’ di nostalgia per le casette in legno e l’atmosfera solidale che, tutti insieme, hanno saputo mantenere viva.
La messa a disposizione dei prefabbricati, l’adeguamento delle aree di sedime ed il loro successivo ripristino sono stati da questo punto di vista – non affatto secondario – costi assolutamente adeguati e ripagati dal raggiungimento dell’obbiettivo, voluto o meno, del ripopolamento degli abitati ricostruiti.