di Maurizio Verdenelli
(foto di Luciano Carletti)
“Ci attende un inverno difficile”. “Dei ventiseimila sopralluoghi nelle Marche, quindicimila hanno riguardato la provincia di Macerata”. “Le scosse hanno fatto danni ancora maggiori, su tutto il territorio, rispetto a 19 anni fa”. Parole di Cesare Spuri, ingegnere maceratese, capo della Protezione Civile marchigiana, nel 1997 dirigente dei Com di Muccia e Fabriano: una vita, due terremoti. “La quotidianità nella tendopoli mi appare molto più dura, la gente molto più provata rispetto ad allora…” rivela al suo ex sindaco, la dottoressa Maria Teresa Mita, segretario comunale di Arquata del Tronto e Montegallo. Lei, leccese d’origine, camerinese d’adozione, era 19 anni fa (appena da un mese) segretario di Serravalle di Chienti: una vita, due terremoti. ‘Don Terremoto’, al secolo Cesare Grasselli, parroco di Cesi, epicentro del sisma umbro-marchigiano non c’è più: è spirato il 23 agosto 2015, ad un anno preciso dalla scossa che un mese e due giorni fa ha fatto ‘esplodere’ il ‘triangolo’ che raggruppa amministrativamente quattro regioni, ma che in realtà a vedere la mappa è tutto in un pugno di un territorio bellissimo a cavallo, come Arquata, di due parchi: Sibillini e Laga. Anche questo, dunque per Macerata, come quello del ’97, un terremoto ‘della porta accanto’, stesso sottosuolo, stessa identità. E oggi Cesare Spuri vuole portare gli amministratori delle zone terremotate con un pullman per fargli vedere la ricostruzione a Serravalle.
“Maria Teresa!” grida Venanzo Ronchetti, l’ex sindaco di Serravalle di Chienti: i due s’abbracciano e fisseranno, con Cesare Spuri e la presidente della Camera, Laura Boldrini, il loro incontro ad Arquata in un clic che in esclusiva ‘Cronache Maceratesi’ pubblica oggi a quasi due decenni da quel terribile 26 settembre 1967 quando Collecurti e Cesi furono cancellate dall’altopiano, la notte dell’apocalisse. “Salimmo con il geometra comunale, l’indimenticabile Mariano Cerreti (“Ci sono morti nelle frazioni” mi disse): tutti a venirci dietro. La strada non c’era più sotto una valanga di rovine: fu una vera fortuna che Mariano conoscesse una stradina alternativa nella campagna attraverso la quale raggiungemmo l’epicentro del terremoto. Eravamo nel buio più totale, solo i fari delle auto illuminava a stento il disastro che ci schiacciava tutti. A Collecurti poi la conferma delle vittime: si trattava dei coniugi Francesco e Maria Ricci” ricorda Venanzo.
Il bilancio definitivo è stato di 11 morti, 4 nella basilica di San Francesco ad Assisi (nella scossa terribile del giorno dopo), 100 feriti. Quello di un 32 giorni fa è invece provvisorio: 297 morti, 400 feriti. Le prime panche della tensostruttura della regione Emilia Romagna che poco prima era servita per la mensa (a far la fila anche Laura Boldrini) e che in quel momento accoglieva la celebrazione eucaristica del vescovo di Ascoli, erano sabato riservate ai familiari delle tante vittime di Arquata. Un dolore dignitoso, muto, lacrime nascoste: un dolore che entrava dentro silenziosamente, come in un abisso graduale. Un pugno duro da cima a fondo, nell’anima, attraverso la stretta di mano al momento della ‘pace’, quasi a conclusione della messa. Mai in 49 anni di cronista, nei luoghi del lutto e della morte, un’esperienza così profonda.
Gente che soffre, unita come una famiglia, ha detto il vescovo Giovanni D’Ercole. Una famiglia ben rappresentata dal sindaco Aleandro Petrucci, cui Guido Castelli, il collega di Ascoli (seduto tra i presbiteri) ha ceduto la fascia tricolore, ‘dimenticata’ dal primo cittadino di Arquata in queste ore drammatiche.
Nelle tendopoli serravallesi, anni fa, meno dolore personale, forse –il lutto era infinitamente minore- ma tanto spavento giorno dopo giorno per quelle scosse che iniziate ancora prima del 26 settembre (il giorno 4, una di magnitudo 4.4) sarebbero terminate il 5 aprile. Mentre Macerata avrebbe subito un movimento tellurico, il 26 marzo successivo, che se fosse stato più superficiale rispetto ai 45 km calcolati, l’avrebbe rasa al suolo. “Devo fare ricarico continuo di farmaci contro l’ansia” mi disse la farmacista serravallese nel villaggio sorto accanto al capoluogo, quando la gente credeva che il Montigno sprofondasse causa del movimento della faglia. “Il monte si è abbassato” era un’allucinazione ottica, tuttavia comune nelle tendopoli.
Abbraccio tra Luca Cerescioli e Mauro Falcucci
Ad Arquata si è parlato anche di Serravalle e dintorni. Il governatore Cerescioli ha assicurato, dopo l’assessore Sciapichetti, che si concluderà ad esempio l’iter travagliato delle seconde case lesionate ammesse al finanziamento per il risanamento. E’ una notizia importante, dopo che le ultime importanti provvidenze dal Palazzo si erano esaurite con la presidenza D’Alema nonostante che alla ricostruzione ‘modello’ mancasse (tuttora) il 10%. Ad Arquata, Amatrice, Accumoli la gente vuole tornare a vivere e lavorare. A Serravalle, che si spopola lentamente, questo non è successo. Il territorio è rimasto fermo e ferito a morte dalla crisi economica è il Fabrianese, altra terra percossa dal sisma. Quello di adesso ha fatto 1.079 sfollati, 1.561 sono le ordinanze di sgombero.
La nuova, drammatica ‘Serravalle’ è Castelsantangelo sul Nera, ad un tiro di schioppo dall’epicentro. Mauro Falcucci è stato sabato ad Arquata. Ha ottenuto la solidarietà di Cerescioli e dal capo della Protezione civile nazionale, Fabrizio Curcio. Un abbraccio: “Grazie, Fabrizio” ha detto il sindaco della cittadina martire semidistrutta e semidimenticata sui monti dove sorge il Nera. A Petrucci Venanzo Ronchetti ha portato la solidarietà di Serravalle ed ha lanciato un patto concreto tra i due paesi, un gemellaggio che vada al di là della pura formalità e della musica da banda e le majorettes. A Laura Boldrini, Ronchetti ha spiegato la ricostruzione ‘modello’ del 97: mani pulite, e ‘controlli, controlli, controlli’. “Quando ci siamo accorti che la Regione vigilava ‘solo’ sul 20% degli appalti, ci siamo fatti carico del restante ‘80%. Ogni adeguamento veniva da noi controllato tenendo presente importi e lavori effettivi” ha detto alla Presidente della Camera. Che ad Arquata è stata accolta nella tendopoli scolastica dall’Inno d’Italia eseguito con i flauti dagli allievi del corso di musica.
“Un inno alla gioia!” ha detto la Boldrini definendo poi ‘simpatici’ i suoi improvvisati allievi nelle varie tende del plesso scolastico. Dove, accompagnata dalla dirigente Patrizia Palanca, ha ottenuto un successo straripante. Nella tenda, ancora, di musica, altro brano, a lei interamente dedicato: “Diventerai la nostra regina”. ‘Mandato’ che il Terzo Potere dello Stato ha preso sul serio, naturalmente: indicendo una nuova cerimonia (a Pescara del Tronto tra un mese) e dando sostegno all’iniziativa editoriale ‘Chiedilo alla polvere’ dei ragazzi di Arquata. Per non dimenticare. Perché come nel caso della ricostruzione modello di Marche-Umbria, non si stia ancora a parlare dopo 19 anni, di ‘ricostruzione incompiuta’.
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La Boldrini no vi prego…….