Procede con il vento in poppa il 46° Festival Macerata-Teatro, giunto felicemente a metà del suo percorso, con il caloroso consenso del pubblico. Per il fatidico «giro di boa» il Lauro Rossi ha tenuto a battesimo ancora un esordio alla kermesse maceratese. Si tratta de La Corte dei Folli, una compagnia piemontese di Fossano, in provincia di Cuneo, che ha messo in scena Piccoli crimini coniugali, per la regia di Marina Morra, un atto unico intervallato da momenti musicali, nato dalla penna di Eric-Emmanuel Schmitt, drammaturgo contemporaneo molto prolifico e di certo uno dei più amati d’oltralpe. Basti pensare che le sue pièces teatrali sono tra le più rappresentate con grande successo sui palcoscenici di tutta Europa. Piccoli crimini coniugali può essere definito un thriller ricco di sorprendente suspense, capace di tenere sempre molto alta la tensione e l’eccitazione nello spettatore con continui colpi di scena che ne mantengono vivo l’interesse. Aspettativa, incertezza e sorpresa sono gli ingredienti di questa commedia nera, piccolo capolavoro della drammaturgia contemporanea. In essa Schmitt, rivisitando completamente i concetti di memoria, menzogna e violenza conferisce ad essi significati nuovi e vivificanti.
Gioca con la verità, l’amore, la colpa alla maniera di Pirandello, in un ordito costruito per sorprendere, per sviare l’attenzione fino al finale inaspettato. Ciò che sembra lampante, un attimo dopo non lo è più. La sua scrittura appare fresca, gradevole, anche se richiede molta attenzione da parte dello spettatore, che rischia ad ogni battuta di perdere il filo del discorso e di ritrovarsi spaesato, disorientato. L’analisi condotta da Schmitt scava nei più remoti recessi dell’animo umano e mette impietosamente a nudo i meccanismi di base della vita di coppia. Protagonisti della vicenda sono Lisa e Gilles Sobiri, sposati ormai da quindici anni, durante i quali il loro sereno mènage familiare ha vissuto momenti di grande intensità. Hanno interessi in comune, sono entrambi artisti, pittori, e lui è anche un affermato scrittore. Ma ad un certo punto qualcosa turba questo equilibrio che misteriosamente si spezza. Gilles rimane vittima di uno strano incidente domestico: nella banale caduta dalla scala che conduce alla camera da letto, batte violentemente la testa contro la scrivania. Il trauma gli provoca la temporanea perdita della memoria che, i sanitari ne sono convinti, tornerà al più presto, non appena Gilles avrà ripreso la sua normale vita domestica. La moglie lo aiuta con dedizione in questa delicata operazione di recupero, ma cerca di sfumare le zone d’ombra. Che cosa ha da nascondere? Sulle prime Gilles è disorientato, stenta a riconoscere l’ambiente, i quadri che lui stesso ha dipinto, perfino Lisa gli appare un’estranea. Non si capacita che quella sia la sua casa e che quella bella donna che sta con lui sia proprio sua moglie. Il povero Gilles vive un dramma davvero insostenibile, ma pian piano i primi ricordi riaffiorano nella sua mente.
Tutto sembra in breve tornare al suo posto, tranne il momento preciso dell’incidente. Manca una sola tessera perché il suo puzzle sia completo: malgrado ogni sforzo, nella sua memoria c’è un buco nero, incolmabile. Continua a porre a Lisa domande nella speranza di avere risposte rivelatrici, ma la donna è evasiva. E la versione dell’incidente non lo convince proprio. Prova a ricostruirne la dinamica, con considerazioni lucide, razionali e inattaccabili. Lisa viene colta dall’ansia e Gilles, allora, «ricorda» finalmente. Non è caduto dalla scala, è stato colpito in testa con un oggetto pesante, mentre era seduto in poltrona. E chi è l’autore della feroce aggressione se non la moglie? Erano soli in casa, quella sera. Tuttavia, malgrado la violenza del colpo, Gilles non ha mai perduto la memoria, neppure per un istante. È rimasto sempre lucido e presente a sé stesso. Ricorda tutto chiaramente, anche le bottiglie di liquore vuote, nascoste da Lisa nello scaffale, dietro i libri del marito, ma non sa spiegarsi il movente che ha armato la mano della moglie. La momentanea perdita di memoria diventa, allora, un espediente messo in atto per avere modo di indagare sugli ultimi avvenimenti della loro vita coniugale. Con il pretesto di ricostruire la sua identità, spera di far luce sul mistero. Tra i due si scatena, così, un sottile e distruttivo gioco al massacro nel quale domande e risposte diventano trabocchetti che l’uno tende all’altro. Il gioco si conclude con la scoperta di un’amara verità: la coppia, anche la più affiatata, in realtà è composta da individui perfettamente estranei, capaci di trascorrere lunghi anni in totale e stretta intimità, a volte anche logorante come nel caso dei coniugi Sobiri, senza mai riuscire però a conoscersi reciprocamente a fondo. Il messaggio recondito che Schmitt ci invia sembra essere questo: è necessario che «lui e lei» scendano negli abissi dell’inferno per ridare poi nuova serenità alla coppia. La complessità del rapporto della vita a due è uno dei temi portanti delle opere di Schmitt il quale, anche a causa degli studi seguiti, dà spesso un taglio decisamente filosofico, introspettivo e psicologico ai suoi romanzi e alle sue pièces teatrali. Che dire degli interpreti, Cristina Viglietta e Pinuccio Bellone? Sono stati due titani sulla scena, sia fisicamente che artisticamente. Hanno dato vita a personaggi «difficili» ma accuratamente definiti, credibili, senza però mai strafare, nemmeno nei momenti più drammatici. E non sono di certo mancati momenti simili. C’è voluto del tempo, tanto impegno e perché no? anche l’esperienza di coppia nella vita reale, per arrivare ad un livello interpretativo tanto elevato. Piccoli crimini coniugali, superando l’agguerrita concorrenza di altre sette Compagnie tra le migliori d’Italia, si è aggiudicato il prestigioso «Sipario d’Oro 2014» di Rovereto «…per aver mantenuto in perfetto equilibrio i due livelli di comunicazione: quella diretta tra i protagonisti e quella invisibile dei silenzi». Un meritatissimo riconoscimento per la regia dinamica e attenta di Marina Morra. Per completare il successo, la bella e brava Cristina Viglietta, «…figura di donna vera e problematica, anche misteriosa, ma sempre credibile…», è stata premiata come migliore attrice protagonista. Scenografia ricca e bizzarra, da artisti. Il numeroso pubblico ha seguito con grande attenzione il serrato scambio dialettico dei signori Sobiri e solo alla fine si è sciolto in un lungo e caloroso applauso.
(Foto di scena di Maurizio Iesari)
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