“Un centro, Ancona, che odora del ferro del grande cantiere navale. Una città che sa di rose, di alghe, di salsedine, di reti messe ad asciugare, di pescherecci incatramati. Una città curiosa e teatrale, emotiva, scenografica, vibrante di voci gridate in un dialetto sgraziato e bonario. Ma è soprattutto la panoramica chiesa a croce greca di San Ciriaco a dare fisionomia inconfondibile ad Ancona.” E’ un brano tratto da “Senso di Ancona”, capitolo di quel libro del 1961 – Viaggio nelle Marche – di Dario Zanasi (1908-1967), inviato de “Il Resto del Carlino”, ripubblicato dall’editore Massimiliano Boni di Bologna con il titolo Marche 1960. Da anni, personalmente, attendevo che quelle pagine rivedessero la luce, soprattutto per la filigrana dello sguardo di Zanasi che era riuscito a definire una regione come la nostra negli immediati anni del dopoguerra, lungo i percorsi faticosi della ricostruzione, là dove una fisionomia plurale come quella delle Marche aveva serbato identità, tradizioni, luoghi pur nella graduale trasformazione. Il libro (che aveva e conserva una prefazione di Giovanni Spadolini) ritagliava un itinerario che, partendo dalla Pesaro, dove viveva e lavorava il pittore abruzzese Nino Caffè, attraversava Marotta, Mondolfo, il tabacco della manifattura di Chiaravalle, Fabriano, Maiolati Spontini, le Fonti dell’Aspio, la riviera del Cònero, Jesi guelfa e ghibellina, l’Osimo della casa di Bartolini, i silenzi di Filottrano, Loreto, la Macerata del giovane Scipione (morto ventinovenne nel 1933), Recanati, Treia, Castelfidardo, Camerano, Fermo, Porto San Giorgio, Tolentino, le rue di Ascoli, la Sibilla, i pescatori di San Benedetto, la costa da Porto Recanati in giù, fino a Grottammare, i monti ascolani, i ramai di Force, il mare delle Marche. La sequenza dei testi si infittiva di fatti, memorie, nomi, storia, curiosità; un brulicare di cose, figure, odori, climi che lo stile morbido e piano di Zanasi riusciva a legare proprio come se la voce dei suoi racconti (affabile, non sedentaria) riferisse durante il cammino.
Le Marche che compongono il grande disegno del paesaggio scritto sono davvero un’isola raggiunta, circa cinquantatrè anni fa, nel fitto di vicende, incantesimi, cibi, ombre, onde e vento avvicinati in una condizione di civile umiltà dignitosa che credo caratterizzasse la passione di Zanasi e i suoi sensi consentendogli di accedere alle soglie dei piccoli segreti custoditi dai paesi, dai quartieri, dalle province che raggiungeva e salutava in una sorta di perenne tensione a conoscere per riferire, cronista dei passi e degli impercettibili mutamenti. Sicuramente era stato allievo della prosa del “pesarese” Dino Garrone e di una generazione italiana che l’aveva educato ad uno stile trasparente e lirico. “La felicità, per il forestiero in vacanza nella città di Rossini, ha più rami di un albero medievale della vita.” Un’altra ricchezza del volume sono le molte fotografie in bianco e nero (dagli archivi Carafoli, Trani, Pelosi, Perini, Baffoni) che salvano un universo com’era, già antico e perduto: le nebbie di Piazza del Popolo ad Ascoli, una corriera ferma accanto al Palazzo del Podestà di Fabriano, i pescatori col basco, l’interno di una casa contadina, la neve.
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