di Andrea Capodimonte
Ne Il diavolo di Tolstoj, il protagonista, Evgenij, trasferitosi dalla città alla campagna dopo aver ereditato i possedimenti del padre, s’inizia a crucciare perché non riesce ad avere rapporti sessuali con nessuna donna e chiede così al suo guardiano (Danila) di trovargli una donna. La richiesta è senza troppo pretese, ad Evgenij “basta che non sia brutta, e che sia in buona salute, s’intende”, così che gli viene presentata Stepanida Pečnikov, che inizierà a frequentare senza che tra di loro sorga nessun tipo di relazione amorosa: alla fine dell’amplesso la giovane Stepanida viene pagata con un piccolo compenso ed Evgenij si sente finalmente “leggero, tranquillo, pieno di forze”, almeno in un primo momento. I loro incontri avvengono nel bosco, fuori da occhi indiscreti e se inizialmente pensa che la bellezza di Stepanida non possa riuscire a toccarlo, dovrà ricredersi in futuro. Gli’incontri nel bosco si susseguono per tutta l’estate, finché non conoscerà Liza Annenskaja, che non era “una di quelle bellezze che attiravano l’attenzione, pur non essendo affatto brutta”, decidendo così di troncare la sorta di relazione instaurata con Stepanida. Sposa la nuova ragazza, “ma quando decise che sarebbe stata sua moglie, cominciò a provare per lei un sentimento molto più forte e sentì di essere innamorato”. Ed Evgenij “non si era mai aspettato di incontrare un tale amore, un amore che rinsaldava ancora di più il suo sentimento”, ma tutto cambia quando nella sua vita rientra Stepanida, presa come servetta da sua moglie; da quel momento sarà un ossessione: non riuscirà più a capire veramente chi ama e da chi è attratto, fino a pensare che “lei è un diavolo. Un vero diavolo. Sono posseduto, contro la mia volontà. Ho solo due scelte: uccidere mia moglie oppure uccidere lei”.
Ed ecco che Tolstoj introduce la figura del diavolo, che non si manifesta come entità ultraterrena, né come una immagine
incarnata, ma semplicemente si sente posseduto, ossessionato da questa donna. Evgenij si sente sporco, perché sposato e perché riconosce in quella figura di donna la sua perdizione. E la cosa peggiore è che questo diavolo è bello ed attraente, infatti “non la guardava neanche perché temeva di esserne attratto, e anche quel poco che poté scorgere di lei gli parve particolarmente seducente”. Il diavolo è allora bello?
Di Lorenzo Lotto troviamo la Caduta di Lucifero (1554-56), in cui viene rappresentato come una bella creatura. Ma probabilmente fu Milton ne Il paradiso perduto a donare a Satana il fascino del ribelle, dalla decaduta bellezza. Ed è fisica quest’attrazione, ché sono proprio gli occhi a notare il diavolo come essere impersonificato e di cui quindi si può desumere le sue fattezze fisiche. Non a caso Giambattista Marino, ne La strage degli innocenti parla dei suoi occhi: “Negli occhi, ove mestizia alberga e morte”, modificando Tasso: “Quant’è ne gli occhi lor terrore e morte”. Evgenij, prende un’importante decisione dopo aver visto “una donna -lei- correre verso il fienile”. A questo punto, visto che il racconto è incompiuto, coesistono due diversi finali, scritti da Tolstoj: nel primo ripercorrendo i boschi ed i giardini in cui affiorano i ricordi di lui e Stepanida inizia a vagare con la mente, pensando alla possibilità che lei gli si ripresenti lì davanti per donargli il suo corpo, che è appunto la cosa che lo ossessiona. Emblematico che dopo la parola corpo si trovino dei punti di sospensione (e lui avrebbe finalmente riavuto il suo corpo…): Evgenij ferma la divagazione, la fantasticheria ed arriva alla decisione: si ucciderà con una pistola: il diavolo ha vinto. Nel secondo finale Evgenij inconsciamente va dove sa d’incontrarla, tra i campi, vicino la fattoria dove già s’incontrarono e “Evgenij non voleva, ma non potè fare a meno di guardarla. Si riprese solo quando lei era ormai fuori dal suo campo visivo e quando lui s’avvicina lo guarda provocandolo con quel suo sguardo malizioso”. Dopo di che la uccide, davanti a tutti, condannandosi ad una vita d’inferno. Quel che è particolare è che proprio attraverso gli occhi il diavolo agisce: occhi che percepiscono un bell’aspetto, piuttosto che la bellezza. Ed infatti è proprio il corpo che diventa oggetto di ossessione.
Le estreme conseguenze sono riscontrabili nella parabola di Walter Siti, quasi cent’anni dopo, in particolar modo quando si parla di Marcello Moriconi: culturista e “prostituto” (benché anche lui, come Stepanida non sono veramente interessati ai soldi). L’importante diventa il possedere il bel corpo, che per il Siti protagonista dei libri Troppi Paradisi e Il Contagio diventa una vera e propria ossessione, che si mescola e si connatura con i sentimenti d’amore. E non è un caso che un capitolo di Troppi paradisi s’intitoli proprio L’Angelo e la polvere, dove però ad un certo punto quest’angelo viene appellato come “il suo angelo nero: ognuno di noi ha il suo da qualche parte nel mondo, e incontrarlo significa non sapere più cos’è la dignita”. Marcello è un angelo, ma un angelo che non benedice,ma tutt’altro, porta ad esplorare i punti più bassi dell’umanità. E ne Il contagio, romanzo incentrato sulla vita borgatara, ritorna il Marcello e diventa uno dei personaggi principali, dove Walter Siti è ancora il suo amante occasionale. Il professore, come viene chiamato nel libro, sa bene che non potrà mai averlo veramente, anche perché a Marcello importa solo del corpo e della perversione, che non può ottenere da un professore con problemi fisici, colpito addirittura da impotenza. Marcello viene percepito attraverso lo sguardo, ed è proprio la carne ad ossessionare, infatti: “Non riuscireste a capire com’è bello, nemmeno se vi mettessi qui una fotografia, perché la macchina fotografica fa cilecca con lui”.
Il diavolo, l’essere maligno che ti prende e ti sballottola ovunque lui voglia, non fa lo stesso effetto se visto in foto: è la carne e il suo corpo tridimensionale a rapire. Ma anche Marcello, come Stepanida, verrà sconfitto, questa volta non dall’amato, ma dal destino: durante una partita di calcetto, saltando per colpire il pallone con la testa, cade e “non è più lui”. Il suo corpo muore così, casualmente, “per un’anomalia congenita che l’aveva aspettato paziente e che l’avrebbe ucciso anche se avesse condotto la più sana vita del mondo”. Il suo corpo non esiste più e nel momento in cui inizia la decomposizione scompare anche Marcello. Già Siti porta avanti quest’idea, ed infatti in una stanza dell’ospedale incontra un malato terminale: il suo corpo non ha importanza, ormai. Morto Marcello finisce l’ossessione, il corpo che tanto aveva desiderato non c’è più. Ma come Evgenij, anche Siti non può uscirne così semplicemente. Non basta un esorcismo, non ci si libera del diavolo e della spinta autodistruttiva così semplicemente. Ed infatti nel finale, un ragazzino rumeno guarda Walter Siti e gli dice: “ma vai a casa, va’…che ti sta cercando la morte e tu sei in giro”.
Il diavolo porta alla morte, in ogni caso. E gioca attraverso il corpo, tanto è bello tanto è letale. Ma la morte in tal caso non è liberazione, perché ha già infangato l’uomo e la sua vita.
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