“Milk”, latte intero e nutriente

Il cd di Roberto Pascucci e del suo Jazz Trio

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La copertina

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Enrico Marcucci

di Enrico Marcucci

Perverso. Geniale; bianco e puro come il latte. Ebbene si, si chiama latte, Milk (prodotto dall’etichetta maceratese Philology, 2013), il disco dell’omonimo jazz trio che trova al contrabbasso l’eclettica personalità di Roberto Pascucci (marchigiano di nascita e cremonese d’adozione), Gabriele Petetti al piano e Ricky Turco alla batteria. Un’opera segnata dalle influenze più varie e disparate, da Keith Jarrett alla musica classica, da Pastorius al minimal jazz, da brevi accenni di swing all’elettronica. Dove emerge chiaro certo jazz nordico in cui maggior rilievo assume la lezione di Esbjorn Svensson, il pianista scomparso prematuramente degli EST e a cui è dedicata l’ultima canzone del disco. Colonna dorsale della struttura compositiva è il silenzio, un silenzio carico e rimodellato di continuo che l’affiatato coinvolgimento delle parti riesce sapientemente a portare sulla scena traccia dopo traccia. La corrente si apre  lentamente dietro i passi gonfi del contrabbasso  che avanza verso il piano seguito dal calpestio dei rintocchi del rullante, come a dar l’immagine di sottintendere il “non detto” nella canzone di apertura Unspoken, che rende già evidente dall’inizio del cd un’esperta cura nella scelta dei suoni e una professionale devozione al mixaggio. Andiamo subito a scoprire la zona nascosta con la traccia numero due, Hidden Zone, dove la batteria in controtempo simile quasi ad una drum machine ancheggia agli inviti delle mani avvolgenti  del contrabbasso, verso le onde d’un piano forte e chiaro.  Milk_jazztrio-717850-450x299La corsa aumenta distorta dal WhaWha, cadenzato senza mai esagerare (innovativo è l’utilizzo che ne fa Pascucci nel suono e nel colore), seguita da una calda pausa rumoristica dietro ritmi tribali. Il “non detto” a cui accennavamo prima va intuito e mai rivelato, neppure se ci si trova a vegliare il corpo dell’amata che dorme dolcemente in Cristina’s Peacefull Sleep (3), scritta da Pascucci per la moglie, dove troviamo un’elettronica minima ed essenziale a fare da sfondo alle tenere carezze del piano e del basso che poi trattiene i baci e, innamorato, sa sempre come affascinare. Il flusso aumenta di volume con doppio pedale sincopato e distorsioni metalliche in Metal Kids Have Tender Hearts (6), originale interpretazione consuntiva del genere metal, in cui ritorna la maestria nel dosaggio dei tocchi del piano a sostenere la sua voce propria e l’armonia collettiva degli elementi, ben distinguibili e ricchi di identità personale nelle singole melodie e improvvisazioni.  Terminiamo con la numero dieci, quella dedicata ad Esbjorn Svensson che insieme agli EST sono stati uno dei gruppi-guida di Pascucci, secondi solo a quello del sopracitato Keith Jarrett. L’atmosfera è quella del tramonto, nel fruscio della batteria definita nei passaggi, e nei fraseggi del piano, delicatamente sovrapposti alle miti e profonde dissonanze del contrabbasso, scivolando  in assolo verso Petetti, che sembra voler chiudere le labbra alla composizione con le ultime note della tastiera  lasciandoci invece sospesi sulle vibrazioni dell’ottone dei piatti, velocemente sfumato lontano.  Sarebbe difficile, se non ingiusto inserire Milk in una specifica categoria musicale, poiché tratto distintivo del gruppo è in special modo il fatto stesso che arrivino all’ascoltatore le componenti musicali di ogni singolo musicista (Ricky Turco è insegnante di batteria sincopata, Pascucci bassista e polistrumentista), facendo sì che l’opera superi i contorni della forma armonica jazz afroamericana, e che la ricerca del lirismo e dell’apollineo dalle cadenze nordiche sia ebbro delle esperienze musicali contemporanee più rivoluzionarie.  Denso, unico e carico di molecole, è un disco che esce dal contesto, che va ascoltato per intero e che non perde mai volume, che non dà niente per scontato ed ogni nota è approfondita nei dettagli. Minimale, essenziale, potente,  superando l’idea di suono e genere comuni.



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