di Gabor Bonifazi
Apro una confezione da regalo dal sapore vintage. Una di quelle scatole in lamierino che i francesi chiamerebbero boîte à café. È una novità per collezionisti di souvenir griffata Romcaffè e lo capisco subito dall’inconfondibile moretto, intorno al quale mio padre Walter disegnò le lettere quando, dopo tre anni di guerra, l’epurazione e tre anni di disoccupazione, cominciò a lavorare lì, dal Commendator Elio Romagnoli. E ci lavorò come rappresentante per tutta la vita, cioè dal 1948 al 1980, quando finì come il protagonista di Morte di un commesso viaggiatore di Artur Miller.
Apro la scatola e dallo scrigno di latta fuoriesce quell’aroma acre della tostatura che invadeva il Campo dei Pini, perché la ditta in origine era in via Valenti. Un profumo che non poteva non innervosire Albino, il custode del campo sportivo e Medè, il massaggiatore della Maceratese con bottega di calzolaio all’inizio di via Roma. Quell’aroma che ricorda la Macerata degli anni Cinquanta e l’inaugurazione, nel 1959, del bar di rappresentanza Romcaffè in via Gramsci. La degustazione stava dove è ora La Concorrente, mentre La Genovese, una sorta di deposito di tutti i prodotti alimentari della Romcaffè diretta da Gino, si trovava nel cortile di Palazzo De Vico, dove è ora il Tramite Fiorito. La Concorrente invece, dove si vendevano formaggi e insaccati, si trovava in una piccola parte della merceria Menichelli: qui lavoravano Annibale, il maestro di tutti i salumieri maceratesi che in seguito aprì la Casa del Regalo, Lauro Luchetti, Flavio Antonelli detto Froscì e alla cassa una giovanissima e prosperosa Mariella. Al bar degustazione, tra i tanti personaggi che si sono alternati tra cassa e macchina del caffè, ricordiamo Anna Nerpiti e quel brontolone di Eugenio Brambatti.
Sfoglio allora Il manuale dell’espresso allegato al cofanetto, un libricino che i fratelli Elio e Stefano Severini hanno pubblicato in silenzio, senza presentazioni e celebrazioni, per ricordare la storia dell’azienda di famiglia. Mio padre è quello a pag. 51, visibilmente soddisfatto per aver allestito lo stand nel cortile del Convitto Nazionale, in occasione dell’VIII Mostra mercato delle Marche del 1952 che oggi potremmo chiamare delle Attività Produttive, dalla quale si possono ricavare tanti elementi: la macchina Gaggia a due gruppi, il numero di telefono, le lattine da 5 e 10 kg. e quell’aggettivo insuperabile che ci riporta a La Genovese.
Ricordo con grande affetto quasi tutti i dipendenti immortalati a pagina 52. Al centro del nastro trasportatore c’è il torrefattore Umberto Agnetti e più in basso a sinistra è il banconiere de La Concorrente Lauro Luchetti. Al centro della foto ci sono Elio Romagnoli, Adalgisa Bonaccini (?) e Bianca Rosa (o Anna Maria?). Un mondo scomparso, perché i dipendenti sono tutti morti: Scoccia, Fioretti, Renzi, sor Gigli, Roberto Cingolati detto Bobby, Gino Ciferri, Dettorre, Ovidio. No. Ovidio è vivo e vegeto come pure Nediani, Delio, Tonino Venanzoni e Tonino Ravasini detto Piè veloce, un pony express ante litteram, per via che faceva le consegne in città con una buffa Vespa a furgoncino della Piaggio chiamata Apetta.
E dire che ho cominciato a viaggiare proprio con mio padre in una Topolino furgone, tra sacchi di caffè e di pasta Barilla, agli albori degli anni Cinquanta. Nello spartano abitacolo dell’auto c’era il volante in bachelite con al centro un clacson dal suono curioso e una sorta di joystick per azionare le frecce, indicatrici del cambio di direzione. Anche se la cosa più bella era il contachilometri.
Nel 1959, alla morte di Romagnoli, subentrò il genero Augusto Pietro Severini. Poi venne la Seicento multipla, il furgoncino Fiat 850 e poi il furgone Volkswagen.
Insomma, ho passato tanto di quel tempo in Romcaffè da considerarmi la memoria storica. Un vero e proprio sopravvissuto all’epopea della Ditta e ai gentili clienti degli esercizi commerciali che ho avuto la fortuna d’incontrare viaggiando con mio padre in lungo e in largo attraverso i paesi della provincia. Un viaggio indimenticabile tra allegri gestori di negozi di generi alimentari, bar, circoli e trattorie che mi hanno gratificato con caramelle, gelati, panini imbottiti e soprattutto con tanta attenzione. Gli alimentaristi, per via dell’immancabile matita sull’orecchio per fare i conti, sembravano usciti dalle buffe pagine del sussidiario relative alle equivalenze.
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