di Alessandra Pierini
Se è vero che in passato i marchigiani e i maceratesi in particolare si sono lasciati attrarre dall’Oriente, meta di lunghi pellegrinaggi e peregrinazioni, oggi l’attenzione dei maceratesi si rivolge anche ad altri paesi.
L’Egitto ad esempio e il suo monumento simbolo, unica meraviglia del mondo antico visibile ancora oggi, le Piramidi sembrano attrarre particolarmente diversi maceratesi che ne affrontano il mistero con originalità e competenza. Abbiamo parlato tempo fa degli strani fenomeni che avvengono nella “Stanza del Re” della Piramide di Cheope di cui si è occupato il Dottor Pincherle (https://www.cronachemaceratesi.it/?p=2894) e se uno degli interrogativi più grandi riguarda sicuramente la funzione della piramide, un altro problema che da anni mette alla prova studiosi, scienziati e professionisti è la tecnica con cui questi giganteschi esempi di perfezione sono stati costruiti.
E’ un altro maceratese, un civitanovese per la precisione, Elio Diomedi a tentare di trovare una soluzione. Elio ha lavorato nel settore delle costruzioni e, cercando di mettersi nei panni del direttore dei lavori di una Piramide ha cercato di risolvere praticamente i problemi legati alla mancanza di mezzi avanzati, oggi disponibili ma con i quali sarebbe comunque ardua la costruzione della Piramide, all’utilizzo della manodopera e alla perfetta levigatura delle pietre usando come concetto base la semplicità. La sua proposta è sembrata molto interessante alle autorità egiziane e in particolare a Zahi Hawass, direttore delle antichità egiziane il quale ha affermato: “Personalmente non so se gli Egiziani hanno usato davvero la tecnica proposta da Elio ma sicuramente è la più logica. Se credo nella reincarnazione devo credere che Diomedi fu l’architetto che progettò la Piramide.”
Elio Diomedi è partito da due elementi di base: ” Il primo – ci spiega – è che Erodoto, uno dei primi storici che ha descritto le Piramidi pur non avendone osservato direttamente la tecnica costruttiva, parla nei suoi testi di legni corti utilizzati dagli Egiziani ed ipotizza un sistema di slitte e piani inclinati, questo mi ha fatto pensare che i legni corti mai considerati potevano rappresentare lo strumento essenziale; il secondo è che esiste un cimitero degli operai, il che mi ha convinto che erano persone qualificate se godevano del privilegio della sepoltura.”
La Piramide di Cheope è alta 147 metri ed ha il lato di 230 metri di lunghezza, per la sua costruzione sono stati necessari due milioni e mezzo di blocchi del peso di due tonnellate l’uno e venti anni di lavoro. Diomedi ha fatto i suoi conti calcolando che giornalmente andavano trasportati e manipolati 350 blocchi. Discorso a parte meritano i monoliti di 50 tonnellate che compongono lo Zed, torre interna alla Piramide, posta immediatamente sopra la Sala del Re e si trovano tra i 40 e i 60 metri di altezza.
“Ho immaginato – ci illustra Elio, mentre guardiamo il documentario realizzato dallo stesso, con modellini in scala e con una reale ricostruzione, fatta prima a Montecosaro e poi direttamente nella piana di Giza -che i legni corti fossero delle traversine come quelle usate nei normali binari. Questi venivano lubrificati dalle donne che non avevano nessuna difficoltà a svolgere questo lavoro per facilitare il passaggio di slitte, di cui si può vedere un esemplare al Museo de Il Cairo. Dalle prove fatte abbiamo visto che se per spostare un blocco occorrono 12 persone, in questo modo ne bastano solo due.”
Diomedi ha proposto le sue soluzioni anche per la levigatura dei massi che, secondo lui, sarebbero stati passati con un telaio della misura del blocco, contenente massi più piccoli e con della sabbia interposta tra le due superfici, per il trasporto degli enormi monoliti che da Assuan (1000 chilometri a sud di Giza) venivano posizionati già sulle slitte e risalivano il Nilo con enormi chiatte che approdavano su banchine ad U dalle quali partivano le rotaie per il cantiere e per l’avanzamento dei lavori con pietre di arenaria e gallerie inclinate che andavano a formare una enorme scala a chiocciola. “Le gallerie – ci spiega Diomedi – una volta messa la cuspide potevano essere rimosse a ritroso, così della tecnica costruttiva non sarebbe rimasta traccia, come realmente è accaduto.”
E’ una teoria quella di Diomedi che colpisce per la sua completezza e per la praticità con cui ogni questione viene affrontata, approccio tipico della gente di casa nostra che punta al risultato senza perdersi in fantasticherie superflue, una ipotesi che lo ha portato negli anni a stringere un profondo rapportodi amicizia con Zahi Hawass: “Zahi è stato a pranzo da me anche lo scorso 18 dicembre, mi ha telefonato da Roma dicendomi di far preparare a mia moglie il solito pranzetto di pesce e così è venuto a trovarmi. L’ho conosciuto ormai dieci anni fa tramite il Direttore dell’Accademia di Roma. Ho passato una serata con lui, con Zahi e con Omar Sharif. Ad un certo punto Omar Sharif chiese a Zahi Hawass chi avrebbe desiderato essere nel passato. Zahi rispose che avrebbe voluto essere Cheope. Questa risposta produsse in me una sensazione strana, quasi mistica e molto coinvolgente.”
Ad Elio Diomedi i risultati ottenuti non bastano, continua a pensare e ripensare e a perfezionare le sue ipotesi. Senza trascurare l’Egitto ha anche elaborato un progetto per un Museo del Mare da realizzare nella sua Civitanova. Non a caso il suo progetto prevede per la costruzine una copertura con una grande piramide in vetro.
***
Guarda il video:
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati