Due grandi chef maceratesi rispondono alle domande di Ugo Bellesi, giornalista enogastronomico e delegato provinciale dell’Accademia italiana della Cucina, per un simbolico passaggio del testimone tra due generazioni. Giovanni Bartolini e Michele Biagiola potrebbero rincontrarsi per un altro passaggio del testimone: come anticipato da Cronache Maceratesi “La Luma” sarebbe infatti il possibile luogo della rentreè del giovane” stellato”. Ma sull’argomento entrambi restano ancora in silenzio, aspettiamo la primavera per lo sbocciare dei fiori che Biagiola predilige per il suo “orto nel piatto”.
di Ugo Bellesi
Da oltre due mesi il ristorante “La Luma” di Montecosaro ha chiuso i battenti ed il titolare, lo chef Giovanni Bartolini, si è messo in pensione volontaria (non certo con la Legge Fornero). Il protagonista di tante serate irripetibili, il creatore di innumerevoli piatti di classe, di raffinatezze gastronomiche, di esaltanti innovazioni in cucina, come trascorre il suo tempo e come si sente oggi?
“Lasciare il ristorante per me – ci spiega Giovanni – è stato come rinunciare alla guida di un Frecciarossa di Trenitalia. Ma è una scelta che stavo maturando da tempo per cui non me ne pento. Oggi mi dedico alla coltivazione del mio orto con tante erbe aromatiche che sono preziose per la preparazione di piatti raffinati e con ortaggi di alta qualità determinanti per differenziare il buono dall’ottimo”.
E la cucina?
“Non l’ho dimenticata di sicuro e oggi mi diverto nella piccola cucina dell’Hotel La Luma a preparare i piatti per la mia famiglia e per qualche caro amico sperimentando anche delle innovazione che da tempo mi frullavano in testa e che ora mi posso sbizzarrire a fare senza il timore del giudizio della clientela”
Come è cambiata la gastronomia negli ultimi 50/60 anni?
“Tra gli anni ‘50 e ’60, con il boom economico arrivarono nelle case il frigorifero, il forno, la cucina a gas, gli elettrodomestici di ogni tipo, e di conseguenza si è modificato profondamente il modo di cucinare. Contemporaneamente si sviluppò enormemente l’artigianato alimentare e ci fu la riscoperta delle tradizioni regionali, con l’incremento anche del turismo, degli eventi gastronomici, delle sagre, con grande desiderio per tutti di sedersi a tavola nei luoghi pubblici, tanto che anche i pranzi di nozze non si fecero più nelle aie delle case coloniche ma al ristorante. Non esistevano ancora i McDonald’s, né i Bed & Breakfast, né le paninoteche per cui la ristorazione ebbe un grande momento. E’ appunto nel 1973 che “Gault e Millau” lancia la “Nouvelle cuisine” la quale, rovesciando gli schemi classici codificati da Auguste Escoffier, provoca una rivolta contro la cucina dei grandi alberghi internazionali. E la lezione fu recepita anche nella ristorazione delle Marche con la riduzione dei tempi di cottura, l’impiego di prodotti freschi e dei migliori offerti dal mercato, con minore utilizzo della refrigerazione, menù più corti, niente marinate né fondi bruni, meno grassi, più attenzione alla dietetica, molta creatività e invenzione di nuove ricette, sperimentazione di nuovi accostamenti senza snaturare la materia prima, cucina espressa ripartendo da zero tutte le mattine, con valorizzazione della cucina regionale, riscoperta dei piatti contadini rispettano l’integrità del cibo, ma apertura anche alla cucina straniera ed esotica”
“In Italia – prosegue Bartolini – fu Gualtiero Marchesi a portare avanti questa rivoluzione aprendo il suo ristorante nel 1977 a Milano. Oggi però la nouvelle cuisine è in crisi perché si punta ad una cucina ancora più semplice, facendo leva sui buoni odori e su nuove sensazioni create dai contrasti. Oggi la gastronomia delle Marche è diventata ancora più salutare, più leggera e decisamente più libera rispetto alle tradizioni. Anche da noi è arrivato il messaggio culinario di Ferran Adrià, lo chef della Costa Brava, che ha lanciato la moda dei sifoni, dell’azoto liquido, della sperimentazione continua e delle nuove tecniche. Ma anche queste innovazioni stanno passando di moda, anch’esse soppiantate da altri criteri ancora più innovativi”.
A questa profezia di Bartolini fa eco un altro cuoco marchigiano che oggi è sulla cresta dell’onda. Si tratta di Michele Biagiola che ci parla della gastronomia di oggi: “In un periodo storico in cui la tecnica esasperata tende a omogeneizzare le cucine, le materie prime del territorio, specie quelle meno celebrate, come le erbe aromatiche, possono e debbono fare la differenza. E il valorizzare le eccellenze del territorio rientra nel mio carattere e nella mia filosofia”.
Egli poi ci spiega di avere in mente una idea filosofica ben precisa da perseguire, quella di tendere all’eccellenza dei piatti ma praticando una cucina etica, puntando ai prodotti a chilometro zero e quindi alla stagionalità e alla territorialità, ma anche al biologico, senza però mai dimenticare la tradizione delle vergare. E questo concetto delle vergare mi richiama alla mente una dichiarazione fattami da Giovanni Bartolini in una vecchia intervista giovanile quando mi disse: “La mia ambizione è quella di ricreare tutti i giorni quel profumo di cucina maceratese che mia madre, esperta cuoca, seppe farmi apprezzare e, soprattutto farmi amare, quando ero bambino. Io cerco sempre di fondere la tecnica della cucina internazionale, appresa con tanto girovagare in Italia e in Svizzera, con la tipicità della cucina maceratese che resta sempre il mio obiettivo principale. E’ per questo che non passa giorno senza che mi rilegga qualche pagina dei ricettari di Antonio Nebbia e di Cesare Tirabasso. Comunque mi sento particolarmente attratto dalle elaborazioni gastronomiche di Mario Buldorini (più noto come “Ermete”) che ha saputo esprimere in versi le sue ricette raccolte nel libro che amo maggiormente leggere”.
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