
Cantieri a Camerino
di Monia Orazi
La ricostruzione si trova davanti a un nuovo ostacolo, questa volta di natura normativa, per chi possiede immobili produttivi, agriturismi, strutture agricole: categorie che, dal terremoto del 2016 a oggi, hanno dovuto fare i conti con una stratificazione di norme sempre più complessa e, spesso, contraddittoria. Il problema è emerso nelle ultime settimane, quando diversi proprietari che avevano avviato la ricostruzione con le ordinanze commissariali precedenti all’introduzione del testo unico si sono trovati improvvisamente senza una delle gambe su cui poggiava l’equilibrio economico dei loro interventi: il sismabonus. La legge di bilancio 2025 ha infatti ridotto drasticamente l’aliquota di detrazione per gli immobili diversi dalle prime case, passando dall’80% al 36% per il 2025, con un’ulteriore riduzione al 30% prevista per il 2026.
Un taglio che rischia di mandare a gambe all’aria cantieri già aperti, far saltare contratti già sottoscritti, lasciare proprietari e imprese senza copertura economica per completare lavori avviati sulla base di presupposti completamente diversi. La vicenda dell’avvocato Giuseppe Maria Giammusso, proprietario di un edificio a Polverina di Camerino, è emblematica di una situazione che potrebbe riguardare decine, forse centinaia di posizioni analoghe in tutto il cratere sismico. Il suo caso è finito in una lettera-denuncia inviata nei giorni scorsi al commissario straordinario Guido Castelli, al presidente della Regione Marche Francesco Acquaroli e ai vertici dell’ufficio speciale ricostruzione.
Giammusso possiede un agriturismo e altri manufatti agricoli, classificati catastalmente come beni strumentali agricoli, quindi considerati «attività produttive» a tutti gli effetti. Immobili gravemente danneggiati dal sisma del 30 ottobre 2016, per i quali, dopo un lungo lavoro tecnico, alla fine del 2022 è stata presentata domanda di contributo utilizzando le ordinanze 13 e 19, quelle dedicate agli edifici in muratura. Una scelta non casuale: quando, proprio a fine 2022, è stato introdotto il testo unico per la ricostruzione privata, i tecnici hanno valutato che non convenisse migrare verso il nuovo sistema. «Era una novità che necessitava la sua fase iniziale di rodaggio – spiega Giammusso nella sua lettera – e all’epoca non si ravvisavano vantaggi sostanziali in termini economici». Una valutazione che, col senno di poi, si è rivelata fatale.
L’8 maggio 2023 è arrivato il decreto di concessione del contributo. I lavori di demolizione e ricostruzione sono iniziati nell’estate successiva e sono proseguiti senza interruzioni. Nel 2024 è stata contabilizzata una buona parte del sismabonus disponibile, circa 450mila euro su un totale di 768mila euro. Quest’anno i lavori sono giunti sostanzialmente al termine. E proprio mentre proprietario, imprese e tecnici si affrettavano a chiudere la contabilità relativa al sismabonus, è arrivata la doccia fredda: per i fabbricati diversi dalle prime case, l’aliquota di detrazione è passata dall’80% al 36%. Nel 2026 scenderà ulteriormente al 30%. Tradotto in numeri: invece di doversi accollare il 20% dell’importo (come previsto inizialmente), il proprietario si trova ora a dover coprire il 64%. E dal prossimo anno il 70%. Su una pratica da 768mila euro, significa passare da un accollo di circa 154mila euro a uno di oltre 491mila euro. Una differenza di quasi 338mila euro che nessuno aveva messo in conto.
«La sostenibilità dell’intervento e di conseguenza l’emissione del decreto di concessione del contributo – scrive Giammusso – erano concepiti sul fatto che oltre al contributo di cui alle ordinanze, si poteva usufruire del sismabonus nella misura massima con un credito fiscale dell’80%. Sia le imprese, sia i tecnici, si erano resi disponibili a concedere lo sconto in fattura che veniva regolarmente contrattualizzato». Ora quegli impegni contrattuali, sottoscritti sulla base di una normativa diversa, rischiano di non poter essere onorati. Con tutto quello che ne consegue in termini di contenziosi, richieste di pagamento, possibili cause. «Imprese e tecnici non tarderanno ad avanzare, anche in sede giudiziaria, le loro più che legittime richieste di pagamento», avverte l’avvocato.
Giammusso denuncia una vera e propria disparità di trattamento tra chi ha istruito le pratiche con il testo unico e chi, invece, aveva già avviato l’iter con le ordinanze precedenti. «Nel corso di questi anni e in particolare dalla promulgazione del t.u. – si legge nella lettera – tutti gli interventi e i vari adeguamenti legislativi sono stati destinati ad aggiornare solo il testo unico, dimenticando, anzi, escludendo totalmente tutti quei soggetti che invece avevano istruito le pratiche con le precedenti ordinanze e che avevano i cantieri aperti in piena fase esecutiva».
Gli esempi sono numerosi: l’aumento dei costi dei materiali, la loro indisponibilità, la chiusura da parte delle banche alle cessioni dei crediti. Tutte problematiche che hanno colpito indistintamente tutti i cantieri, ma per le quali sono seguiti «pregevoli e importanti interventi di adeguamento» che hanno beneficiato solo le pratiche finanziate dal testo unico. E adesso anche il venir meno del sismabonus. «In questi giorni si sente parlare di azioni che andranno a sopperire il venir meno del superbonus, cosiddetto 110% – osserva Giammusso – Ma tali interventi interesseranno solo gli edifici abitativi e, in ogni caso, come in passato, interverranno concretamente solo sui coefficienti parametrici, tralasciando ancora una volta tutte quelle pratiche finanziate dalle precedenti ordinanze».
C’è poi un’altra categoria di immobili che rischia di restare definitivamente ai margini: quella dell’edilizia rurale e produttiva dell’entroterra. Agriturismi, aziende agricole, piccole strutture artigianali. Immobili che hanno tipologie catastali diverse dall’abitazione e che, proprio per questo, sono esclusi da molti dei benefici riservati alle prime case. «Tutta l’edilizia rurale dell’entroterra nonché produttiva è caratterizzata da edifici che hanno tipologie catastali diverse dall’abitazione, quindi una diversa normazione», sottolinea la lettera. Eppure, si tratta di immobili che «per le zone rurali svolgono anche» funzione abitativa, creando un cortocircuito normativo difficile da sciogliere.
Nella sua lettera, Giammusso lamenta anche il silenzio istituzionale. Una prima richiesta di intervento era stata inviata alla struttura commissariale lo scorso 4 dicembre. È rimasta «totalmente inascoltata». Anche i confronti avuti in questi giorni con i vari responsabili dell’ufficio speciale ricostruzione non hanno portato a «nessuna soluzione concreta». «Nulla si dice del sismabonus e inspiegabilmente nulla si è detto nel corso del 2025, nonostante la sua sostanziale modifica sia intervenuta proprio con la legge di bilancio 2025», è l’accusa.
Le richieste sono chiare: «Garantire e ripristinare la parità di trattamento nei confronti di tutti quei soggetti che hanno portato avanti le pratiche con le ordinanze precedenti all’introduzione del testo unico » e «ripristinare la disponibilità dei fondi che sono venuti a mancare a seguito delle modifiche legislative intervenute nel corso dell’esecuzione dei lavori». Richieste che, per ora, non hanno trovato risposta.