
di Monia Orazi (foto di Fabio Falcioni)
«A discorre non è fatica». Con questa perla di saggezza popolare Ennio Donati, in arte Sor Righetto, ha aperto il convegno che questa mattina, nell’auditorium Dante Cecchi della biblioteca comunale “Mozzi-Borgetti”, ha dato il via al primo Festival regionale di teatro amatoriale “Sipari delle Marche”, promosso dal Gat (Gruppi attività teatrali) Marche. Un evento che ha riunito studiosi, attori amatoriali e appassionati per riflettere sul valore del teatro dialettale come custode di identità, memoria e tradizioni.

Stefano Cardinali e Ennio Donati
La mattinata, moderata da Francesca Travaglini, ha alternato relazioni accademiche a momenti teatrali e musicali, con interventi di Gabriele Mancini, Pino Cipriani, Rita Papa, Ginevra Cimica e Francesco Pelagalli, accompagnati dalle note di Federica Pantanetti e Luca Ciarpella. Presente anche l’assessore comunale Katiuscia Cassetta che ha portato il saluto a nome dei sindaci e amministratori dei 14 comuni presenti.
Ad aprire i lavori è stato Stefano Cardinali, a nome del Gat Marche, con parole che hanno subito tracciato il senso profondo dell’iniziativa. «È bello vedervi qui. Ogni volta che ci ritroviamo attorno al teatro amatoriale, si respira qualcosa di speciale: la voglia di stare insieme, di raccontarci, di emozionarci», ha esordito Cardinali, sottolineando come «il nostro teatro, quello fatto di passione, amicizia, volontariato è molto più di uno spettacolo. È un modo per dire chi siamo, per tenere vive le nostre radici, per far parlare la nostra terra».

Ennio Donati e Lucrezia Ercoli
Un ringraziamento speciale è andato ai sindaci che hanno messo a disposizione i loro teatri e agli sponsor che sostengono il festival. «La loro presenza e il loro sostegno ci ricordano che un bravo amministratore è colui che ama la propria comunità, che rispetta la sua storia, la sua cultura, e crea occasioni perché la gente possa ritrovarsi e crescere insieme», ha dichiarato Cardinali, concludendo: «Il teatro amatoriale resta questo: bellezza, passione, comunità. È un luogo dove si costruiscono legami veri, dove ci si guarda negli occhi e si crea insieme qualcosa di buono».
L’intervento di Ennio Donati, autore del vocabolario completo del dialetto di Matelica, ha portato in sala il profumo autentico della cultura popolare, attraverso i “Pensieri del giorno de Sor Righetto”, una raccolta di proverbi e detti in dialetto matelicese che hanno strappato sorrisi e applausi. Tra i più applauditi: «’n ze pòle discóre co ttutti» (non si può discorrere con tutti), «Mèjo parlà co cèndo svérdi, che co ‘n tundu!» (meglio parlare con cento sordi che con un tonto), e ancora «S’è mmagnàti l’óu dréndo a la gajjina!» (si è mangiato l’uovo dentro la gallina), per indicare chi approfitta di situazioni prima ancora che si verifichino.

Enrico Borsini e Stefano Cardinali
Non sono mancati i riferimenti all’attualità, come il proverbio sulla quarantena Covid: «La mòjje se rcunusscia da lu maritu sulu da li vaffi. Quillu che cce l’aia più ccurti adéra lu maritu» (la moglie si riconosceva dal marito solo dai baffi! Quello che ce li aveva più corti era il marito!). Donati ha anche presentato il suo vocabolario del dialetto matelicese, frutto di anni di ricerca sulle tradizioni popolari.
Agostino Regnicoli, studioso di dialettologia, impossibilitato a essere presente, ha inviato un video messaggio denso di contenuti. «Tra lingua e dialetto non sussistono differenze né di qualità, né di grado, né di funzionalità», ha affermato citando Flavio Bàrdino, studioso cesenate. «La struttura più umile dei dialetti presenta la stessa organizzazione della più prestigiosa delle lingue», ha spiegato Regnicoli, sottolineando come ogni dialetto abbia un sistema fonologico, morfosintattico e lessicale completo.

Lo studioso ha poi evidenziato l’importanza dei vocabolari dialettali per la conservazione di questo patrimonio, citando opere fondamentali come il “Saggio dei dialetti di Macerata” di Gigliucci (1963-1970) e i più recenti vocabolari di Matelica, Civitanova, San Severino e Grottammare. «Il dialetto è la chiave d’accesso ai nostri amici, alla nostra cultura. Se lo perdiamo, perdiamo un patrimonio importante che fa parte di noi», ha ammonito.
Particolarmente interessante la rassegna delle traduzioni letterarie in dialetto marchigiano: dal “Pinocchio” nelle parlate di Ascoli, San Benedetto e Porto d’Ascoli al “Piccolo Principe” tradotto da Pierpaolo Piccioni nel dialetto fermano, fino alle recenti versioni di Topolino nei dialetti locali. Regnicoli ha concluso leggendo un passo del Piccolo Principe in dialetto.
Il momento più intenso è arrivato con l’intervento della filosofa Lucrezia Ercoli, professoressa di estetica all’Accademia delle belle arti di Bologna e ideatrice di Popsophia. Partendo da un ricordo personale legato a Pino Cipriani, che da bambina le fece recitare una piccola parte nella commedia “Lu guardià de lu campusantu”, Ercoli ha tracciato una riflessione profonda sul teatro amatoriale. «Io lì in quell’esperienza ho visto, davvero conosciuto, il teatro che non è l’istituzione, non è il luogo dove si va vestiti bene la sera. Il teatro è fare teatro, il teatro è il corpo di chi lo mette in scena, il teatro è molto più vicino alla vita che all’istituzione», ha dichiarato Ercoli con passione.

La filosofa ha poi ribaltato la prospettiva comune sul rapporto tra teatro amatoriale e professionale: «Siamo abituati a distinguere il mondo tra ciò che è amatoriale, che fa parte delle nostre passioni, e il mondo delle professioni, il mondo degli esperti. Invece il mondo del teatro nasce dagli amatori e arriva solo dopo alle professioni».
Citando Eugenio Barba e il suo concetto di “terzo teatro”, Ercoli ha sottolineato: «C’è il primo teatro delle istituzioni, c’è il secondo teatro delle avanguardie, ma è dal terzo teatro, nel teatro degli amatori, che rinasce il rito sacro, che rinasce la comunità unita solo e soltanto dalla passione, senza altro scopo, senza altra finalità». Ha poi concluso con una frase dello stesso Barba: «Molti uomini e molte donne fanno teatro ma non per diventare artisti: per diventare se stessi».
Il convegno ha fatto da prologo a un ricco programma di quattordici spettacoli che attraverseranno le Marche fino a maggio 2026, toccando i teatri di Macerata, Sant’Angelo in Pontano, Matelica, Campofilone, San Severino Marche, Porto San Giorgio, Montecosaro, Corridonia, Altidona, Loreto, Appignano, Servigliano, Monte San Vito e Fermo.
Si parte già domani, alle 17,15, dal Lauro Rossi di Macerata, dove è in scena “Sulu un miràculu li putìa fa rrenzavì”, commedia dialettale in due atti di Pino Cipriani, interpretata dall’Aps Palcoscenico Macerata.
Il festival, che ha il patrocinio di tutti i Comuni coinvolti si propone di valorizzare il teatro amatoriale come patrimonio culturale e sociale del territorio marchigiano. Biglietto unico per tutti gli spettacoli: 8 euro.
Come ha sintetizzato efficacemente Stefano Cardinali: «Il teatro amatoriale avvicina tutti a questa forma d’arte, fa nascere passioni, scoperte, e perché no a volte diventa anche un ponte per chi poi sceglierà di frequentare il teatro professionale». Ma soprattutto, ha aggiunto, «resta un luogo dove ci si guarda negli occhi e si crea insieme qualcosa di buono».
Info e prenotazioni: Orietta 333.6928579 | Pino 333.7698685 | Stefano 333.9482042 | www.gatmarche.it.
Su i “Sipari delle Marche” Arriva il festival dei teatri con 14 tappe in tutta la regione
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