Il Giallo dei Sibillini… continua:
il mistero dell’uomo di Innsbruck

LA SENTENZA IACOBONI (Seconda Parte) - Nell'indagine dell'epoca molto spazio ha trovato una vicenda legata ad una telefonata notturna al Daily Telegraph e ad un uomo che era a conoscenza di particolari di indagine che solo gli inquirenti sapevano. Le conclusioni del giudice sul caso: «Se le già inesplicabili linee di sviluppo della scomparsa delle due donne sono tali da suscitare le più ampie perplessità, ancor più inquietante è la vicenda nel suo complesso allorché essa venga letta alla luce delle molte misteriose circostanze emerse»

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Un articolo de Il Messaggero dell’epoca

di Gianluca Ginella

(Seconda Parte)

Il mistero di Innsbruck. Diverse pagine della sentenza che vi proponiamo in queste due puntate (leggi la prima parte) con cui il giudice istruttore Alessandro Iacoboni (il 3 ottobre 1989) chiude l’inchiesta sulla morte di Jeanette May Bishop, ex baronessa de Rothschild, e di Gabriella Guerin, 40enne friulana, riguardano una figura che entra in scena alla fine del gennaio del 1981, quando ancora i resti delle due donne non erano stati trovati (il rinvenimento avverrà circa un anno dopo, il 27 gennaio 1982 vicino Podalla di Fiastra, nella radura di un boschetto).

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Il giudice Alessandro Iacoboni

IL MISTERO DI INNSBRUCK – Nella sentenza riemerge questa vicenda poco chiara legata ad un inglese, ad un albergo di Innsbruck e ad una telefonata al caporedattore notturno del Daily Telegraph. Non che questa traccia abbia mai portato a nulla di concreto, ma secondo il giudice è dovuto al fatto di come è organizzato il sistema giudiziario britannico sull’audizione dei testimoni che non ha consentito indagini più approfondite.

Sul finire di gennaio del 1981 (le due donne sono scomparse il 29 novembre 1980) una notte qualcuno telefona alla redazione del Daily Telegraph. Al caporedattore notturno dice di chiamarsi Ian Sayer, di trovarsi in un hotel di Innsbruck e di avere informazioni sul caso May. Lascia il numero per essere richiamato. Il caporedattore contatta il corrispondente di Roma, Roland Singleton, che chiama al numero lasciato alla redazione. E in effetti risponde un certo Ian Sayer. All’inizio risponde in modo un po’ incerto, poi si fa più brusco, dice di trovarsi a cena con due giornalisti di importanti testate (la tedesca Der Spiegel e l’inglese Sunday Times) e nega – e negherà sempre – di aver chiamato lui il giornale.

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Una cronaca del Messaggero dell’epoca

Secondo il giudice resta misterioso tutto l’episodio legato a questo personaggio inglese «di nome Ian Sayer (o chi per lui), che prospettò la vendita di notizie circa la scomparsa della May, manifestando la sua conoscenza dei due telegrammi allorquando dei medesimi non era stata data pubblica notizia».

Secondo il giudice «emerge con certezza che effettivamente Sayer in persona, accompagnato da Colin Simpson (uno dei due giornalisti con cui era a cena, ndr), si trovava a Innsbruck nel periodo riferito da Singleton. È altrettanto inconfutabile che una persona a nome Ian Sayer contattò il giornale, proponendo la vendita di informazioni sul caso May. A sua volta, lo stesso Sayer non poté che ammettere di aver avuto un contatto di tal genere (peraltro, a suo dire, con il solo corrispondente romano del giornale), ma negò recisamente di aver mai telefonato. Orbene, non si può certo dire acquisita la prova diretta e riscontrata del fatto che fosse effettivamente Sayer a chiamare il giornale, ma è nondimeno certo che l’interlocutore lasciò proprio il numero di telefono dell’albergo di Innsbruck dove alloggiava il Sayer. Tale circostanza risulta inspiegabile alla luce delle loro stesse deposizioni (sue e dei due giornalisti, ndr), secondo le quali nessuno sapeva dell’incontro dei tre a Innsbruck. D’altra parte, nessuna ragione autorizza a ritenere meno che attendibile la deposizione di Singleton, che in taluni punti è addirittura riscontrata dallo stesso Sayer; ad esempio, laddove quest’ultimo ammette di aver affermato che, grazie ai trasporti internazionali, era possibile far transitare di tutto tramite i confini. A fronte delle chiare e leali deposizioni dei testimoni sopracitati, risulta invece poco comprensibile il comportamento del Sayer. Il Sayer manifestò ben presto un atteggiamento di recisa negazione della conoscenza dei fatti di cui gli si chiedeva e, nondimeno, di manifesta reticenza dinanzi a domande imbarazzanti. Questa situazione si è ripetuta anche nel corso della rogatoria svolta nel marzo del 1983 in territorio inglese, dove la palese intenzione del Sayer di non collaborare alle indagini costituì un forte ostacolo per le stesse. Tale atteggiamento trova parziale spiegazione nelle peculiarità delle indagini preliminari dell’ordinamento inglese, in cui il testimone ha facoltà di non rispondere senza incorrere nei rigori processuali previsti, invece, in Italia. Ancor più inspiegabile apparve l’atteggiamento del Sayer considerando che, di fatto, dalla sua decisione derivò la volontà della moglie (probabile conoscente della May e, come lei, interessata a cose d’arte e d’antiquariato) di non comparire neppure dinanzi alla polizia inglese. Incomprensibili rimangono, tuttora, le ragioni di un simile comportamento, a parte le vantate amicizie di alto rango (avrebbe detto di essere amico del figlio dell’ex premier Margaret Thatcher, ndr).

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Gabriella Guerin

Ciononostante, va osservato che, si creda o meno alla versione del Sayer, è di sicuro certo che qualcuno (se non era il Sayer, era comunque persona a perfetta conoscenza di ogni suo movimento) sul finire del gennaio 1981 era a conoscenza dei due telegrammi, allorquando neppure la stampa nazionale aveva nozione del fatto. È altrettanto certo che l’ignoto interlocutore dei giornalisti del Daily Mail non solo aveva interesse a proporre notizie sul caso, ma intendeva anche collegare le due distinte vicende della May e della Christie’s, entrambe al Sayer, forse a causa della professione di quest’ultimo o per via della conoscenza che la moglie dello stesso doveva avere con la May. In un caso come nell’altro, appare evidente la tendenza, emersa dalle acquisizioni processuali, a ricondurre la vicenda May-Guerin a un ambito di relazioni e conoscenze proprie della prima. Ci si riferisce, ovviamente, al campo dell’antiquariato e dei rapporti ad esso connessi. Le storie parallele delle due vicende, d’altronde, non si fermano ai telegrammi menzionati, ma proseguono il loro tormentato percorso in territorio inglese, attraverso strade sempre più intricate. A intersezione di queste, si colloca la posizione di Sergio Vaccari: ultima di tre situazioni storiche che si rincorrono a vicenda, l’una rimandando all’altra, in una rotazione senza fine».

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Un articolo de Il Messaggero dell’epoca

Il mercante d’arte Sergio Vaccari venne ucciso a Londra tra il 15 e il 16 settembre 1982. Dopo la sua morte furono trovate alcune fotografie di un orologio antico che si presumeva identico a uno trafugato dalla casa d’aste Christie’s nel furto del 30 novembre 1980. Le fotografie erano conservate in una cassetta di sicurezza aperta con una chiave rinvenuta nell’abitazione di Vaccari. Secondo un informatore della polizia inglese Vaccari possedeva foto sia di Jeanette che di Roberto Calvi, il presidente del Banco Ambrosiano trovato morto a Londra sotto al ponte dei Frati neri. Pure la sua una morte resta misteriosa col dubbio se si sia trattato di omicidio o suicidio.

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Jeanette Bishop

Sul mistero di Innsbruck il giudice conclude che «Non si può affermare con certezza quale sia stato il ruolo effettivo del Sayer, e neppure si può stabilire quale indirizzo avrebbero preso le indagini se le già evidenziate difficolta di ordine giuridico non avessero, di fatto, consentito al Sayer di precludere l’accertamento delle circostanze che, in un modo o nell’altro, ruotavano attorno alla sua persona».

LE CONCLUSIONI – Il giudice – e siamo arrivati alla fine – archivia il caso con una sentenza aperta. E ne spiega i motivi sottolineando come tanti siano i lati oscuri del Giallo dei Sibillini. «Se, in definitiva, le già inesplicabili linee di sviluppo della scomparsa delle due donne sono tali da suscitare le più ampie perplessità, ancor più inquietante è la vicenda nel suo complesso allorché essa venga letta alla luce delle molte misteriose circostanze emerse durante e dopo il predetto evento, che solo in minima parte possono essere spiegate con il nome già portato dalla May. Nessuna delle risultanze acquisite nel corso delle lunghe indagini (che hanno doverosamente battuto tutte le piste che di volta in volta si sono presentate dinanzi agli investigatori) si può dire probante dell’ipotesi criminosa; d’altra parte, di ben superiore momento sono gli aspetti che in tal senso depongono, a fronte dell’assoluto difetto di prova dell’asserto contrario, secondo cui null’altro che la morte bianca spiegherebbe la fine delle due donne. Ben più che il dubbio soggettivo, sono le acquisizioni compiute, grazie alla meritoria e costante opera dei carabinieri — segnatamente dei due ufficiali che hanno direttamente assistito il giudicante durante la rogatoria in Inghilterra — a fondare come altamente possibile un quadro, antecedente o contestuale alla morte delle due donne, che esita in profili dal forte sospetto criminologico. Le risultanze, pur non costituendo prove certe di un delitto, delineano uno scenario che appare tutt’altro che compatibile con una spiegazione esclusivamente accidentale o naturale degli eventi. Gli elementi raccolti durante le indagini, infatti, hanno evidenziato una serie di anomalie e discrepanze che difficilmente possono essere ricondotte al mero caso. È proprio l’insieme di queste circostanze, apparentemente scollegate ma in realtà interconnesse, a conferire alla vicenda un carattere particolarmente oscuro e complesso. Nonostante l’assenza di prove dirette, le dinamiche emerse sembrano suggerire l’esistenza di un contesto che potrebbe aver favorito, se non determinato, un evento tragico riconducibile a un’azione dolosa. Tale interpretazione trova un parziale sostegno nei dettagli acquisiti in sede di rogatoria internazionale, i quali, pur non essendo conclusivi, hanno consentito di individuare possibili legami con situazioni di rilevante interesse investigativo. Resta, dunque, essenziale il prosieguo delle indagini per chiarire definitivamente i contorni di una vicenda che, allo stato attuale, continua a sollevare più domande che risposte».

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Nella foto alcune delle persone sentite dai carabinieri. Nei riquadri in alto: a sinistra Francesca Carducci, moglie del geometra Venanzi, e a destra Ortelio Valori, che disse di aver visto le donne in compagnia di un uomo. In basso a sinistra Dea Pellegrini, che faceva da interprete per Venanzi e la moglie e a destra Nazzareno Venanzi. Al centro la caserma dei carabinieri di Tolentino dove si sono svolti gli interrogatori

IL PRESENTE – Le nuove indagini condotte dai carabinieri del Ros di Roma e del Reparto operativo di Macerata si sono sin qui concentrate sulla rilettura di tutti i documenti di indagine e nell’ascolto di testimoni, sin qui una quindicina che sono stati sentiti il 7 e 8 novembre e poi il 13 e 14 alla caserma dei carabinieri di Tolentino. Non è escluso ne vengano sentiti altri, per chiarire incongruenze, orari, vuoti. Per ora sono state sentite persone della zona di Sarnano e Fiastra (leggi negli articoli correlati in calce), i due comuni in cui si sono svolti i fatti che dà l’idea che la pista seguita sia locale, con buona pace di mercanti d’arte, furti e misteriose telefonate notturne.

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