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Ast, la primaria di Urologia Lucilla Servi:
«Guido un’equipe giovane di grande livello.
Un ottimo investimento? Il robot chirurgico»

INTERVISTA alla dottoressa che guida dal 2017 il reparto a Macerata: «Nei primi anni 2000, quando sono arrivata, l’ospedale era in piena crescita, riceveva una forte attenzione da parte del governo sanitario locale e regionale»

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Lucilla Servi

di Luca Patrassi

Nata nelle Marche, precisamente a Camerino, la dottoressa Lucilla Servi è alla guida dal 2017 della Unità operativa complessa di Urologia dell’ospedale di Macerata. «Conosco Macerata ormai da più di venti anni – dice la dottoressa, con il piglio di chi è abituata a dover sgomitare, in un mondo, come quello della chirurgia, declinato prevalentemente al maschile – da quando dopo le esperienze di Como e di Osimo sono approdata in un Reparto che veniva inserito in una missione oncologica generale e che doveva fare i conti con una specialistica piuttosto nuova nell’ambito della Chirurgia». «Volevo fare la chirurga -dice la dottoressa- e nell’Urologia ho trovato il compendio della professione del medico chirurgo, in una sorta di compromesso tra la clinica e la terapia chirurgica vera e propria. Mi sono specializzata sotto la guida del professor Mario Polito, uno dei padri dell’Urologia in Italia, una persona a cui devo molto, professionalmente e umanamente».

Qual è stata la prima impressione che ha avuto dall’ospedale?
«Nei primi anni 2000, quando sono arrivata, l’ospedale era in piena crescita, riceveva una attenzione da parte del governo sanitario locale e regionale, di forte considerazione. Probabilmente in funzione del vasto bacino di utenza e della vocazione per le cure oncologiche che gli veniva attribuito. In quel periodo ci si stava preparando a dover affrontare la missione che avrebbe cercato di riportare i cittadini della provincia di Macerata a curarsi nel proprio ospedale, considerato che lo stavano attrezzando non solo con l’innovazione della strumentazione ma anche con l’acquisizione di professionisti. Pertanto, quando il nostro territorio ha subito le conseguenze del terremoto e, successivamente, del Covid, eravamo pronti a poter dare una risposta terapeutica a qualsiasi tipo di patologia oncologica e non, grazie anche alla continua attenzione dell’attuale governo sanitario locale e regionale che hanno permesso di migliorare le nostre attrezzature».

Come è strutturato il reparto?
«Dirigo una equipe composta da cinque medici, piuttosto giovane, da un punto di vista anagrafico, anche se per esperienza lavorativa si tratta ormai di un gruppo navigato. Basti pensare che il più anziano tra i miei collaboratori strutturati, il dottor Andrea Fabiani, non raggiunge i cinquanta anni ed è a Macerata da diciassette. Si tratta di un gruppo molto affiatato, che nel tempo si è formato anche attraverso master e, soprattutto, azione sul campo, cosa che ci permette di trattare chirurgicamente tutta la patologia oncologica urologica, eseguendo interventi sia in maniera tradizionale, a cielo aperto, che laparoscopica. Inoltre, collabora con noi uno specialista ambulatoriale che presta la sua attività chirurgica e di consulenza nella nostra unità operativa. Lo scorso anno abbiamo eseguito circa 1.200 interventi. Anche la patologia benigna dell’apparato urogenitale, maschile e femminile, trova un ambito di cura sicuro, visto che siamo in grado di trattare in ogni sua forma la calcolosi renale, ad elevata incidenza nella nostra regione, e la patologia prostatica benigna. Tutto questo grazie alla tecnologia che abbiamo ottenuto, prevalentemente attraverso donazioni da parte di privati e della Fondazione Carima. Infatti siamo in grado di offrire il trattamento con il laser ad Holmio, la prima struttura pubblica marchigiana di Urologia ad essere dotata di questa tecnologia, che, messa in mani esperte come le nostre, assicura ottimi risultati nella cura del paziente. Non dimentichiamoci poi che siamo in grado di curare anche l’incontinenza urinaria femminile e le patologie andrologiche raggiungendo, in quest’ultimo caso, anche riconoscimenti nazionali in merito alla tecnica chirurgica di corporoplastica complessa con mucosa buccale, della quale vantiamo una delle casistiche più numerose in Italia. Collaboriamo proficuamente con tutte le strutture complesse dell’Ospedale, in particolare con quella di Anestesia e Rianimazione che ci permette di affrontare in sicurezza situazioni complesse, sia in emergenza che in elezione. Ma voglio in particolar modo sottolineare la collaborazione con l’Oncologia, la Radioterapia, la Medicina Nucleare, la Radiologia Interventistica, la Radiologia Diagnostica e l’Anatomia Patologica, aspetto che ci ha garantito il riconoscimento del Bollino Blu per il 2022 ed il 2023 da parte della Fondazione Onda per la gestione diagnostico terapeutica del Tumore della prostata e delle sue complicanze».

lucilla-servi1_censored-325x317Il rapporto con i pazienti, la comunicazione della malattia, trasparenza o cautela?
«Devo ammettere che la mia preferenza alla trasparenza delle diagnosi e ad una comunicazione piuttosto “realistica” sia il mio lato positivo. Non sono in grado di non essere chiara, ma è più forte di me. Spesso spiegare la realtà con le possibili complicanze è ben più difficile che illudere il paziente in merito all’esito di una terapia o alla evoluzione generale di un quadro clinico che frequentemente si presenta complesso sin dall’inizio. Capita sovente che i pazienti più longevi, quando arrivano in Reparto, in condizioni di urgenza se non di emergenza, i parenti hanno sempre la tendenza a minimizzare quelle che erano le condizioni pregresse. Le parole non devono essere illusorie ma devono saper descrivere la realtà con le possibili soluzioni da affrontare sia in ambito chirurgico che assistenziale. Il nostro obiettivo è quello di far sentire i pazienti protetti anche nella risoluzione delle complicanze».

La chirurgia e la terapia risolvono tutto? Alla voce prevenzione quali consigli inserirebbe?
«L’Urologia è una specialità chirurgica. La chirurgia interviene quando la terapia medica non è più efficace. Sempre meglio non arrivare direttamente all’intervento chirurgico e, se proprio ci arriviamo, sempre meglio farsi guidare nella scelta più risolutiva piuttosto che di “moda”. Curarsi efficacemente vuol dire anche e soprattutto fare controlli periodici sia da adolescenti, per quanto riguarda la sfera andrologica, che da adulti, soprattutto quando in famiglia esiste già un vissuto di patologie urologiche».

Cosa le ha dato più soddisfazione in questi anni?
«La crescita dei miei collaboratori, sia umana che professionale, giovani medici che si impegnano giorno dopo giorno per migliorare il livello di cura del paziente. La crescita del personale infermieristico sia di reparto che di sala operatoria, uomini e donne che lavorano giornalmente come fossero gli operatori stessi. È vero che spesso non tutte le ciambelle riescono con il buco, come si dice, ma posso assicurare che le complicanze in chirurgia sono all’ordine del giorno, specialmente in un contesto di poli-patologia come quello della popolazione che afferisce al nostro Ospedale. Osservo e suggerisco sempre, da parte di tutti, la massima attenzione nel mettere in atto tutte le procedure che servono a minimizzare le complicanze. Si tratta, ripeto, di professionisti che studiano quotidianamente, lavorano e si mettono a disposizione dell’utenza cercando nel miglior modo possibile di gestire le criticità che si presentano di volta in volta. Alcuni di loro hanno prodotto anche diverse decine di lavori scientifici, hanno ottenuto insegnamenti nella Scuola di specializzazione di Urologia di Ancona, avviato protocolli di studio nazionali, ottenuto ruoli in board scientifici nazionali. Solo questo atteggiamento ci permette di sopravvivere alla dilagante tendenza a vendere terapie innovative come ci trovassimo ad una fiera campionaria».

Se potesse decidere in piena autonomia anche sul fronte delle scelte aziendali, una cosa che farebbe subito?
«Acquisterei il robot chirurgico. Non che ne abbia una necessità per la quale, senza, non possiamo curare le patologie urologiche, ma si tratterebbe di un ottimo investimento per garantire un ulteriore livello di qualità alle cure già erogate. In fondo, la chirurgia robotica nasce proprio per l’Urologia e, nonostante spesso si faccia fatica anche a considerare che possa esistere un reparto di Urologia in un Ospedale, per lo più diretto da una donna, non sarebbe male potersene avvalere. Saremmo già pronti ad utilizzarlo, avendo già una grandissima esperienza in chirurgia a cielo aperto. Si deve sapere, infatti, che la capacità di utilizzo della chirurgia laparoscopica robot assistita passa attraverso una corposa conoscenza dell’anatomia chirurgica a cielo aperto. Non sarebbe, poi, da trascurare l’ulteriore e non trascurabile vantaggio, visti i miei 59 anni appena compiuti, che la robotica è una tecnica per un chirurgo “anziano” che permette di operare stando seduti».

Mancano i medici: sbagliata la programmazione, alcune specialistiche non sono più attrattive nel rapporto tra rischi e benefici economici, carriere più facili all’estero o ci sono altre motivazioni?
«Si tratta di un problema che ha radici profonde nel sistema di programmazione sanitaria e che non posso certo essere io a risolvere. Posso parlare della specializzazione di Urologia nella quale non vedo una grande emergenza di medici. Quello che manca è una maggiore attenzione alla salute maschile da parte del Sistema sanitario nazionale, visto che siamo, in ambito sanitario, in una sorta di discriminazione al contrario, vuoi per un problema culturale da parte del maschio vuoi anche per una certa difficoltà da parte del sistema a facilitare percorsi di diagnosi e terapia rivolti alla salute maschile».

 

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