Prepariamoci a un futuro
che forse non sarà tanto lieto

RUBRICHE - Morire di fame è una sciagura che per fortuna colpisce molto di rado noi europei . Ma questo non deve farci ignorare che in zone del mondo diverse dalla nostra - e però sempre più vicine alla nostra - c’è una tale miseria che anche un solo pezzo di pane fa quasi gridare al miracolo

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Giancarlo Liuti

 

di Giancarlo Liuti

Io mi colloco fra coloro che pongono in evidenza il meglio della vita e si sforzano d’ignorare il peggio, che invece non manca e sta purtroppo crescendo nonostante quel progresso forse soltanto tecnologico che ci sforziamo di applaudire. Proprio in questi giorni, del resto, sono venuto a conoscenza di alcuni dati che fanno drizzare i capelli, come quello diffuso dalle Nazioni Unite circa i quaranta milioni di persone che muoiono ogni anno di fame e quell’altro, diffuso dalla Fao, secondo il quale i morti per non essersi potuti nutrire a causa della loro miseria stanno raggiungendo i cento milioni all’anno, quasi il doppio dell’intera popolazione italiana.
Un brutto destino, questo, che ovviamente riguarda i non pochi paesi “poveri da sempre”, ma che oggigiorno si sta facendo strada pure in quelle parti del mondo cosiddette “sviluppate” dove un crescente numero di persone non se la passano bene per aver dilapidato la loro salute in uno stile di vita più attento alla “apparenza “ del mostrarsi in giro che alla “sostanza” di badare a se stesse come Dio comanda. E mi riferisco soprattutto alle donne, che per ragioni estetiche si sottopongono non di rado a diete talmente severe da somigliare a quelle imposte anni fa dai nazisti nei loro campi di concentramento.
Morire di fame, intendiamoci, è una sciagura che per fortuna colpisce molto di rado noi europei . Ma questo non deve farci ignorare che in zone del mondo diverse dalla nostra – e però sempre più vicine alla nostra – c’è una tale miseria che anche un solo pezzo di pane fa quasi gridare al miracolo. E noi, che siamo abbastanza soddisfatti di come ci troviamo, non ci pensiamo mai. E invece dovremmo pensarci, perché i dati di cui sopra finiranno, prima o poi, per farci in qualche modo pagare – si pensi alle talvolta aggressive “migrazioni interne” – la colpa di un rassegnato tirare a campare verso situazioni che stanno diventando sempre più rischiose per il nostro “quieto vivere”. E per venire al sodo basta chiederci se ci sembra “normale” che nei bidoni della “monnezza” finisca più della metà della nostra alimentazione quotidiana e che poi, in quei bidoni, tuffino le mani quei poveracci che, loro sì, rischiano di morire di fame.
E Macerata? Se è vero che la sua principale virtù sta nel non apprezzare ogni estremismo nelle parole e nei fatti, si può dire che tutto sommato potrebbe cavarsela discretamente. Ma pure da noi è già arrivata una tendenza a sprechi compiuti senza pensarci, per abitudine, per moda, per il suggestivo piacere del “troppo”. Ma di questo passo avremo un futuro assai complicato, per affrontare il quale servirebbe quell’ardimento di sfidare il destino che forse Macerata non ha. Affidiamoci quindi alla “speranza”, cioè all’ “ultima dea” che i nostri progenitori latini tenevano come “extrema ratio” contro le insidie del fato. Basterà? Oggi pare di sì, ma domani?



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