di Mario Monachesi
Nei giochi passatempo di una volta, la caratteristica principale era la semplicità. Sia i grandi che i bambini passavano le ore di svago quasi esclusivamente all’aperto. Per gli adulti il gioco principale (resiste ancora oggi) era quello delle bocce. Allora non esistevano campi attrezzati o bocciofile, qualsiasi luogo all’aperto era adatto e si praticava in ogni periodo dell’anno. In quel di Petriolo era in voga giocare al cosiddetto “Mister oste”. Vi poteva prender parte un numero qualunque di giocatori. A chi usciva la conta, tirava “lu pallì” (boccino) piuttosto lontano e ogni giocatore poteva tirare una sola boccia. Colui che meno avvicinava doveva pagare una pena in denaro. Così fino a raggiungere la somma stabilita per acquistare vino da bere in allegra compagnia. Altro divertimento era “la morra”. Due giocatori alla volta gridavano: “tre, sette, cinquemila…”, chi indovinava con la somma delle due mani opposte e concorrenti, vinceva una bevuta.
In primavera, in quasi tutti i paesi del circondario maceratese, si giocava volentieri “a tòtulu”. A Macerata si chiamava “Lu tutte”. Si scavavano a terra piccole buche grandi come una boccia comune, disposte in un quadrato, nella seguente maniera: una per ogni vertice d’incontro dei lati, altra a metà di ogni lato, più una nel mezzo del quadrato cosicché in tutto risultavano nove buche. I giocatori che potevano essere in un numero illimitato, versavano, ciascuno, la somma di uno o due soldi, i quali venivano sistemati nella buca centrale del quadrato. Da un punto preciso, denominato “posta” si lanciava una boccia. Se questa si fermava in una delle buche laterali il giocatore riprendeva la somma versata, cioè “lu sarvu”. Se invece si fermava su “lu tòtulu” vinceva tutto il denaro che vi si trovava.
Altro partecipato gioco era quello della ruzzola, volgarmente chiamata “rutula” o “rotola”. Le partite si svolgevano tutte per strade di campagna. Stabilito il percorso, il primo che lo raggiungeva era il vincitore. La ruzzola veniva lanciata per mezzo di uno spago che la cingeva tre volte. Di solito ai vincitori andavano “forme de cascio”. I giovani e i ragazzi avevano tante più possibilità di gioco. “A ccostamuru”. Soldi o bottoni venivano, da distanza prestabilita, lanciati verso il muro, colui che più accostava vinceva. “A lecchétta”. Si buttavano su di un piano o a terra i bottoni (l’insieme della “posta” dei diversi giocatori) e, dopo la conta i partecipanti si alternano nel rovesciare i bottoni con la punta di un dito bagnato di saliva e quanti uno ne rovesciava ne intascava. A chi non riusciva a rovesciarne seguiva altro giocatore. “A criscimondó”. Un ragazzo veniva messo quasi chino a terra e su di lui si gettavano altri ragazzi. Da uno a tre, quattro, cinque, anche sei. Così il montone (mucchio) cresceva. “A cchicchinè”. Si doveva indovinare quanti chiodi, chicchi o altro erano chiusi nella mano di una persona. “A carachè” (o testa o croce). Si gettavano in aria due monete e il giocatore doveva indovimare su quale lato sarebbero cadute. “A ciuccitti”. Consisteva nel riprendere con il dorso della mano i sassolini che precedentemente si erano lanciati in aria.
“A cambàna”. Potevano partecipare 2 o più ragazzi/e. Si tracciava a terra, tra la ghiaia o con il gesso) la “cambàna, cioè un rettangolo lungo un paio di metri, largo uno e chiuso in alto da un semicerchio. All’interno, il rettangolo, veniva diviso a metà, con 4 caselle per parte per un totale di 8. Le caselle venivano numerate dalla metà di sinistra alla metà di destra. Fatta la conta il primo concorrente iniziava il gioco. Gettato un sassolino (facendo attenzione a non farlo andare fuori) nella casella 1, saltellando su di una gamba sola, con piccoli colpi di piede doveva spingere il sasso attraverso le prime 4 caselle. Arrivato al 4, il giocatore poteva riposare, cioè poteva poggiare tutti e due i piedi per terra. Ripreso fiato, doveva proseguire il percorso fino alla casella 8. Arrivato indenne poteva dirsi vincitore. Durante il gioco doveva fare molta attenzione a non calpestare le linee della “cambàna” e a non far andare fuori il sassolino, altrimenti gli altri concorrenti provvedevano a gridare immediatamente: “bbrusciatu” o “amaro”. Comunque le regole variavano da un paese all’altro.
“A pari e dispari”. Il gioco consisteva nel nascondere in una mano un certo numero di bottoni e chiedere allo sfidante: “pari o dispari? “. Se lo sfidante indovinava, vinceva tutto, altrimenti i bottoni rimanevano a chi teneva il banco.”A cioccarèlla”. (Anche “a piazzetta”, “a ciocchétta” o “a scoccetta”). Questo era in uso nel periodo pasquale. Consisteva nel picchiar uovo contro uovo, quello che cedeva per primo decretava la sconfitta.
Io mi fermo qui, ma un tempo i ragazzi, di giochi ne avevano a disposizione un’infinità. Poi con gli anni arrivarono i bigliardini, i biliardi ecc e tutto ha avuto fine. Per gli adulti oltre alle bocce, resiste anche il gioco delle carte, con “omuniru”, “bestia”, “puzzu” ecc. Per tutti, la tombola a Natale.
Alcuni, fra i giochi elencati , non li conoscevo , perciò dico grazie al sig. Monachesi !
Grazie Elisa
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