di Ugo Bellesi
La gente dei Sibillini, quella travolta dal terremoto, non è gente qualsiasi. Non è come tante altre. Questo popolo ha origini da una civiltà antica di cui ci siamo dimenticati e di cui la storia non parla più. Ma la gente di qui porta le caratteristiche di quella civiltà nel proprio Dna. E ce ne accorgiamo osservando con quanta dignità le persone affrontano disgrazie terribili come la perdita della casa e con essa di tutti i loro averi, con quanta educazione rispondono alle domande dei giornalisti, con quanta riservatezza parlano del loro dolore in momenti così angoscianti, con quanta fermezza dichiarano di voler rimanere nel proprio paese per ricominciare il più presto possibile la loro vita, la loro attività. Perché parliamo di “antica civiltà”? Perché nell’inchiesta Jacini (ultimata nel 1885) sull’agricoltura italiana dopo l’unità d’Italia si parla dell’esistenza nelle Marche di “antiche società comunitarie”. Si tratta delle “comunanze agrarie” in cui c’era una sostanziale “proprietà collettiva”. I prodotti dei tagli dei boschi e della falciatura si dividevano tra tutti. Ogni famiglia aveva un uso esclusivo, ma temporaneo, solo di qualche appezzamento coltivabile. Una delle regole fondamentali era questa: “Il godimento della comune proprietà è subordinato al lavoro proprio ed è in proporzione ai bisogni della famiglia”
Dopo l’annessione delle Marche al Regno d’Italia nella nostra regione c’erano 350 “comunanze”, distribuite in 17 comuni. In provincia di Ascoli ne esistevano 176 sparse in 11 Comuni nella zona dei Sibillini (a Montefortino se ne contavano 27). Nel 1914 in provincia di Macerata ne esistevano ancora una settantina divise in 22 Comuni (con una popolazione di 5.262 abitanti e una estensione di 37.195 ettari: più di un quinto della superficie totale della provincia). Alcune delle “comunanze” sono arrivate fino ai nostri giorni ma ormai con funzioni molto diverse. Ma ecco come l’economista maceratese Ghino Valenti, incaricato dell’inchiesta Jacini nelle Marche, illustrava il significato di “comunanza”: “E’ una condizione di cose che sembra aver preesistito alla formazione del diritto romano, quale pervenne a noi nelle Pandette, e risale ai tempi primitivi, se non anche anteriori alla costituzione della proprietà privata… Trattasi d’una forma di proprietà e del suo uso, di cui non si potrebbe determinare l’origine e che per molti secoli ha resistito al variare di domini, di ordinamenti politici e sociali, di costumi e di dottrine”.
Significa che queste popolazioni, dalle epoche più antiche e fino al tardo ‘800, sono vissute amministrandosi autonomamente (con due “massari”, come antichi consoli, che soprintendevano al regolare svolgimento delle pratiche agricole), senza un padrone perché erano tutti proprietari, senza che nè i romani prima né lo Stato pontificio poi avessero potuto modificare la situazione. “I romani – spiega Joyce Lussu nel volume “Le comunanze picene” – nel loro pragmatico buon senso, avevano capito che non conveniva spingere alla guerriglia le comunità che vivevano nei fortilizi naturali della montagna… e spesso non si preoccupavano nemmeno di pretendere il versamento di tasse, che sarebbero state comunque assai scarse e faticose da riscuotere”. E con lo Stato Pontificio non dovrebbe essere andata molto diversamente se Sergio Anselmi nel volume “Storia d’Italia. Le Regioni. Le Marche”, spiega che dopo l’avvento del cardinale Egidio Albornoz nella nostra regione: “…se formalmente la Marchia risulta ‘pacificata e soggetta’ al papa, la realtà è tale che città, feudi, repubbliche, comuni, signori, stati, mediate o immediate subenti a Roma, non riconoscono che il proprio diritto e la propria forza (o quella del sistema di alleanze di appartenenza) salvo contingenti sottomissioni e atti di fedeltà che nelle Marche, come altrove, valgono ben poco…”
Il che significa che il popolo dei Sibillini (come anche la gente di molte altre zone delle Marche), è stato per secoli un popolo libero, che aveva fatto una scelta di vita a misura d’uomo, in una armoniosa convivenza civile, in cui nessuno diventava ricco ma nessuno diventava povero e assolutamente nessuno moriva di fame perché ci si aiutava l’un l’altro e il benessere cresceva lentamente senza che nessuno rimanesse indietro. Come anche c’era uno scambio continuo di esperienze e di aiuto tra una comunità e l’altra. Non era l’età dell’oro ma era soltanto un modo diverso di vivere. Comunque tutto questo è il passato. Ma l’orgoglio di essere stati quello che sono stati gli abitanti dell’Appennino ce l’hanno nel sangue. Ecco perché addolora la gente di qui sentire il telecronista che ripete “Ussìta” (con l’accento sulla i) o quando anziché nominare Castelsantangelo come epicentro del sisma si dice “tra Visso e Ussita”. Ma era offensivo anche quando si leggeva su qualche quotidiano “Pescara capoluogo di Arquata”. Invece Comune capoluogo è Arquata di cui Pescara è una frazione. Questo significa che quello che è stato definito il “cuore dell’Italia” è pressocchè sconosciuto ai mass media. Ed infatti tante volte si sono letti, nelle riviste e nei settimanali (specie romani) dei servizi sulla “mitica Valnerina” per decantarne le bellezze ma sempre ci si fermava a Triponzo per arrivare solo raramente fino a Ponte Chiusita. Dimenticando che la parte migliore è quella che si trova nelle Marche. Così anche oggi spesso in qualche telegiornale si parla del terremoto “di Norcia e Amatrice” dimenticando Arquata, Visso e tutti gli altri Comuni del Maceratese distrutti dal sisma, ma dimenticando soprattutto le 26.255 persone senza casa, i 55 municipi, le 166 scuole, le 805 aziende e le 234 stalle inagibili (con i pastori che dormono ancora nelle auto).
E parlando del popolo dei Sibillini non posso sottacere di essermi commosso nel vedere un vecchio pastore di Castelsantangelo piangere di commozione quando ha saputo che la Madonna della Cona, a Forca di Gualdo, era stata portata in salvo. Mi ha spiegato che nei pressi di quella cappellina tutti gli anni, da tempo immemorabile, si svolge il raduno delle greggi e dei pastori di ritorno dalla transumanza. Un evento che è nel cuore di tutti e che diventa una grande festa con la degustazione di piatti come la pezzata e l’acquacotta. In anni più recenti alla Madonna della Cona si celebra anche la ricorrenza della pace siglata tra Castelluccio e Castelsantangelo sul Nera (più verosimilmente tra Norcia e Visso) dopo la famosa “battaglia del Pian Perduto” (uno dei tre Piani di Castelluccio; gli altri sono il Pian Grande e il Pian Piccolo) combattuta il 20 luglio del 1552. Ogni località di questa terra meravigliosa è stata teatro di una storia, di una leggenda o di un evento da raccontare. E’ anche per questo che il popolo dei Sibillini è un popolo orgoglioso, tenace, che sa soffrire e affrontare le difficoltà, ma non vuole “chiedere l’elemosina” a nessuno, specie quando sa che ha diritto di essere aiutato in una calamità come quella attuale. Ecco perché il Comune di Bolognola vuole realizzare da solo le casette di legno. L’inverno è arrivato e le cime delle montagne sono imbiancate. Non c’è più tempo da perdere. Ecco perché bisogna insistere nel chiedere l’esenzione dalle tasse (per tre anni ha chiesto la Confcommercio) e la creazione di una “zona franca”.
Per il popolo dei Sibillini non sospendere le tasse ma ‘esentare’ i contribuenti
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Le prime esenzioni alla base dell’attuale zona franca risalgono al 1538. In quell’anno Livigno ottenne dalla comunità di Bormio l’autonomia per il godimento di pascoli e boschi, per il pagamento di decime alla Curia di Como, per la manutenzione di strade e ponti e per il transito di merci. Livigno difese per secoli l’autonomia conquistata: nel 1805 Napoleone riconobbe il Beneficio doganale, che fu confermato nel 1818 dall’Imperial Regia Intendenza austriaca di Morbegno e poi ampliato dal Regno Lombardo Veneto nel 1841. Entrata a far parte del Regno d’Italia, nel 1861, Livigno chiese conferma dei suoi privilegi. La ottenne con la legge del 17 luglio 1910, che riconobbe l’extradoganalità e fissò i confini e i benefici per gli abitanti, regolamentati ancora nel 1911, 1934, 1940, 1954 e 1973. Anche la Cee ha riconosciuto i diritti di Livigno nel 1960.
(fonte http://www.focus.it/cultura/curiosita/perche-livigno-e-zona-extradoganale)
Bellissimo articolo
La domanda che nasce spontanea è la seguente: ma, se questo “popolo dei Sibillini” è davvero sempre stato così tosto, com’è che se n’è accorto solo dopo il terremoto del 2016, a differenza del popolo livignasco che invece da secoli e secoli va avanti a riaffermare davanti a tutti quello che ritiene essere il proprio meritato privilegio?
Complimenti Ugo. Una storia che conoscevo poco.
Grande Ugo, firmiamo tutti una petizione a favore di questa gente forte,tenace,coraggiosa!
вell’arтιcolo, grazιe!
Non si potrebbe anche invocare anche l’art. 34, “Sicurezza sociale e assistenza sociale”, della CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA (http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A12012P%2FTXT) ? Non siamo in Europa?
W le comunanze agrarie. Io mi ricordo quando la macchinetta per fare le salsicce era della comunanza agraria e a turno veniva utilizzata dalle famiglie.
La croce templare della chiesetta della Cona si è salvata?
Raramente gli uomini sono degni di governarsi da sé. Questa fortuna deve toccare soltanto a piccoli popoli, che si nascondano in qualche isola o in mezzo a delle montagne, come conigli che vogliono sfuggire agli animali carnivori; ma, a lungo andare, vengono scoperti e divorati. (Voltaire)