di Donatella Donati
Molti lettori del precedente articolo in cui si citava la “Madonna dell’insalata di Recanati” (leggi) mi hanno richiesto di sapere qualcosa di più su questo argomento ed è per loro che io propongo questa scheda.
Mariano Luigi Patrizi recanatese, professore di fisiologia e antropologia all’Università di Bologna, genero di Jacopo Molescot, padre della prima moglie, successore a Lombroso nella cattedra bolognese, è stato il primo ad utilizzare un metodo scientifico per la lettura dell’opera d’arte applicando parametri in uso nelle indagini di ricerca scientifica al pittore Michelangelo Merisi da Caravaggio. La vita avventurosa piena di violenza e sangue, di omicidi e tentati omicidi, di attacchi a furia di bastonate e punta di spada a nemici presunti o tali, di cui la vita del grande pittore è costellata, gli suggerirono di cercare nelle sue opere un richiamo continuo alla eccitazione del suo carattere e alla continua voglia di conflitti dettati dal sospetto e dall’ira. Studiò così accuratamente paesaggi, scene e scenari, personaggi e natura dei quadri famosi per riscontrare in essi la biografia dell’autore “per farne un tratto autobiografico e un documento psicologico”.
Cito dall’opera “La Madonna dell’insalata di Michelangelo da Caravaggio” stampata a Recanati dalla tipografia Simboli, alla quale Patrizi, che solitamente stampava i suoi lavori presso la Società Editrice Libraria, affidava la stampa di alcuni estratti e testi biografici. La sua teoria esposta nel volume “Il Caravaggio un pittore criminale” fu oggetto di critiche e di approvazioni da parte di letterati e scienziati italiani, giudizi che furono raccolti dallo stesso Patrizi nel libro “Ad armi cortesi” dove pareri positivi, come quello di Ojetti segnalarono a pieno diritto l’ingresso della scienza nella valutazione dell’arte. Oggi dopo tanti anni di critica fatta in gran parte di retorica sentimentale o di congetture filosofiche, un ritorno all’osservazione come base di ogni giudizio appare un richiamo alla concretezza della vita pratica. Nel 1916 Patrizi fece la perizia all’opera attribuita a Caravaggio o al suo allievo Gherardo Della Notte che si trova nella chiesa dei Cappuccini a Recanati, prima cappella a destra. Misurò la tela,che era riuscito a far portare all’aperto, mt 2.48 x 1.69, e riuscì a individuare nella scena il soggetto più probabile, “Riposo durante la fuga in Egitto”. Gli apparve come un momento della vita di quei poveri migranti e noi ci possiamo quasi vedere un anticipo della sorte straziante che tocca oggi a tante piccole famiglie che fuggono dalla Siria e ai tristi pasti di cui sono costretti a cibarsi.
Il Bambino lava in una bacinella delle foglie di cicoria -così le classificò il botanico Oreste Mattirolo- e le porge alla Madre che le asciuga con un telo di lino certo per prepararne un pasto povero e miserevole. La presenza dell’asino finalmente individuata nell’oscurità dell’opera, asino che sta brucando mentre Giuseppe è in attesa con stanca virilità,è un richiamo certo alla tradizione iconografica dei fuggitivi verso l’Egitto e l’abbandono della Palestina.La figura di Maria è la più significativa dello stile caravaggesco. Il bel volto molto inclinato sulla spalla, i capelli di un dorato veneziano che corrisponde alla chioma del bambino ‘ fulva e irradiata’ convinsero Patrizi che solo la mano del Caravaggio poteva esserne l’autrice. La sua perizia ha delle voci discordi.
Vittorio Sgarbi che lo ha visto di recente in occasione di una mostra a Osimo, lo attribuisce a un pittore poco conosciuto, Alessandro Turchi detto l’Orbetto ma non ha spiegato il suo arrivo a Recanati , mentre Patrizi ha circostanziato il viaggio che da Roma lo ha portato nella città leopardiana. Caravaggio ventenne si era fermato a Roma nel 1591 e aveva trovato protezione presso Pandolfo Pucci, un signore recanatese che vi abitava ed aveva una carica religiosa molto importante in quanto Benefiziato di Santo Spirito e di San Pietro e quindi anche ben compensato per questo. Era tuttavia molto avaro e sembra che nutrì Caravaggio soprattutto di insalata , per questo il pittore dipingendo per lui il quadro vi mise proprio quel vegetale con cui era stato saziato (arte e biografia), con un intento quasi vendicativo. Il Pucci visse gli ultimi anni della sua vita a Recanati e il quadro passò agli eredi tra i quali gli ultimi, i Flamini, lo donarono ai Cappuccini .
Per l’esposizione a Osimo fu fatto un modesto restauro riabbassando la vernice che si scostava dalla tela, ma quello che manca è una perizia fatta con metodi moderni, con l’aiuto della fisica nucleare che può scoprire tutto di quel quadro e consentire una attribuzione certa. Ma forse fa comodo tenerlo così nell’oscurità di una cappella, in un convento poco conosciuto con grandi dubbi sul suo autore, perché se esso potesse essere confermato dalla perizia come opera di Caravaggio, il suo valore salirebbe alle stelle e i frati dovrebbero prendere tutte le più opportune misure. Padre Floriano Grimaldi, uno dei pochi cappuccini restati nel convento, tutto preso dalle sue ricerche sui sacelli di Maria nel territorio recanatese, preferisce quasi non parlarne e mi dà appuntamento a un dopo… che non so quando sarà.
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se tutto il plusvalore di un’opera dipende dall’expertise di qualche critico più o meno sciroccato o svalvolato, l’arte è una specie di religione cattolica in cui il popolo bue deve inchinarsi alle indicazioni di una casta esoterica a cui soltanto è riservato il diritto di capire e di pensare…. e bisogna pure sopportare l’assurdità di un ridicolo professore universitario di Bologna che vede in un Gesù quasi prepubere un fuggitivo dalla strage degli innocenti…