di Giancarlo Liuti
Nessun ruggito, questa sera, alla Mostra di Venezia, per il “Giovane Favoloso”, il film su Leopardi di Mario Martone che è particolarmente significativo per la nostra terra anche perché ambientato in fascinosi luoghi di Recanati e Macerata (leggi l’articolo). Il Leone d’Oro, infatti, è stato assegnato a “Il piccione su ramo riflette sull’esistenza” dello svedese Roy Anderson e il Leone d’Argento a alle “Le notti bianche del postino” del russo Concholowski. Si poteva sperare nella Coppa Volpi per i migliori attori – Elio Germano, nei panni di Giacomo, era fra i favoriti, ma questo riconoscimento è andato ai due protagonisti, femminile e maschile, di ”Hungry Hearts” (“Cuori affamati”), il film mezzo italiano e mezzo americano di Saverio Costanzo. Delusione? Fino a un certo punto, giacché i film in concorso erano venti – solo tre italiani – e fra i nove componenti la giuria c’era un solo italiano: Carlo Verdone. La Mostra di Venezia, del resto, gode di un prestigio mondiale e sarebbe assurdo aspettarsi che si riveli campanilista in senso nazionalista. Per noi maceratesi – recanatesi compresi – sono comunque ragione di soddisfazione i giudizi estremamente lusinghieri che sul “Giovane favoloso” ha espresso la critica dei più importanti quotidiani italiani, giudizi che di sicuro alimenteranno l’affluenza del pubblico quando, a partire dal 16 ottobre, il film di Martone e Germano sarà proiettato nelle sale.
Comincio dal Corriere della Sera, che oltre a un richiamo in prima pagina dedica al film due pagine interne. Anzitutto l’articolo di Paolo Mereghetti, lo storico e critico cui si debbono i ben noti volumi annuali sul cinema mondiale. Titolo: “Dieci minuti di applausi al film di Martone che sa evitare il rischio di schematismi scolastici”. Poi, in grande: “Leopardi il ribelle”. E, nel pezzo: “Fare un film su Leopardi è come camminare su un crinale friabile e scivoloso. A ogni passo si rischia di cadere nello schematismo, nell’enfasi gratuita o, peggio, in una logica voyeuristica da ‘buco della serratura’, e sulla testa incombe la slavina del nozionismo scolastico, coi suoi luoghi comuni. Diciamo subito che Martone ha saputo evitare tutte queste trappole per restituirci un Leopardi veritiero e insieme capace di andare al cuore della sua riflessione poetica e filosofica, in un percorso interiore di liberazione dalle ‘catene’ della famiglia e dalle convenzioni della società per riappropriarsi della propria vita e di un rigenerante legame con la natura”. Mereghetti è solito affidare il suo giudizio conclusivo a delle stellette, da una a quattro. E al “Giovane favoloso” ne dà tre: non un “capolavoro assoluto” ma un film “da non perdere”, un film che bisogna vedere.
Poi la Repubblica, nella cui prima pagina spicca un articolo di Curzio Maltese dal titolo “Leopardi, il sogno di filmare la poesia. Il film di Martone con un grande Germano conquista Venezia”. Due pagine all’interno, con un intervento del critico Paolo D’Agostini dal titolo “Il ribelle. Addio al Leopardi del liceo. Martone riaccende il poeta”. Nell’articolo: “La tempra dei rari grandi profeti, per nulla compiaciuta di infelicità e tetraggine, espressa senza retorica né magniloquenza. Un film ‘pesante’? Può darsi, ma come prezioso antidoto all’odierna leggerezza drogata, pigra e irresponsabile. E comunque fonte di grandi e forti emozioni”. I circoletti ce li mette pure D’Agostini: cinque su sei. Non un capolavoro, ma quasi.
E vengo alla Stampa, il terzo quotidiano per diffusione. Anche qui un richiamo in prima: “Il film di Martone racconta un poeta sognante, assettato di vita e ribelle alle convenzioni sociali”. Due pagine all’interno. La recensione è di Alessandra Levantesi Kezich e si conclude così: “Grazie, Martone, per questo Leopardi. Che sia figura immensa noi italiani lo sappiamo, ma preferiamo dimenticarlo: se fossimo davvero leopardiani, l’Italia sarebbe un’altra e di molto migliore”. In apertura un articolo di Fulvia Caprara: “”La sfida era raccontare la storia di un’anima attraverso un corpo, rappresentare la poesia come necessità concreta e insostituibile, trasformare il Leopardi degli studi liceali in un divo carismatico e ribelle, capace di opporsi alla rigida educazione familiare, alle convenzioni sociali di un’epoca, ai limiti imposti dalla fragilissima salute. Un Leopardi sognante e furioso, assetato di quella vita che poté assaporare poco, non più banalmente malinconico, come l’avevamo sempre immaginato, ma deciso ad esercitare tutta la libertà del suo pensiero, delle sue azioni, dei suoi desideri. Il risultato, pienamente raggiunto, è il film di Mario Martone”.
E ancora: il Messaggero. Richiamo in prima: “Il Leopardi ribelle di Martone e Germano incanta Venezia”. Doppia pagina all’interno. Titolo principale: “Il Leopardi di Martone convince il Lido”. Un articolo di Renato Minore, scrittore già noto per una sua ampia biografia su Giacomo: “Mario Martone ci racconta chi fosse quest’uomo, la sua esistenza infelice ma ricca di segrete fonti di energia, il suo destino tra ascesi e ribellione, desiderio di fuga e bisogno di reclusione”. Inoltre, nella critica di Fabio Ferzetti dal titolo “Cronaca visionaria di un poeta moderno”: “Martone dà il meglio del suo cinema materico e onirico fino al magnifico finale della ‘Ginestra’, in cui il mondo fisico e il mondo interiore finalmente si sommano e si confondono, mentre Elio Germano tocca il culmine di un’interpretazione sofferta e insieme straniata, intellettuale e misuratissima, da cui il film trae buona parte della sua forza”. Da ultimo QN, il “nazionale” del Resto del Carlino, della Nazione e del Giorno. Richiamo in prima: “Film su Leopardi, è standing ovation”. Due pagine all’interno. La critica di Silvio Danese: “Che occasione per questa Italia andare al cinema a riscoprire (o scoprire?) la ribellione contro il conformismo, la libertà nella diversità, il pessimismo come energia, l’amicizia in nome dell’arte. E’ questa la vera riuscita del film di Martone”.
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Recenti studi filologici condotti dal prof. Denso presso la Facoltà di Lettere Antiche e Moderne di Campobasso hanno svelato l’origine della diffusa quanto erronea credenza che la masturbazione riduca la vista: tutto dipendeva dalla figura del grande poeta italiano Giacomo Leopardi.
Si tratterebbe di un’associazione d’idee bizzarra e grossolana, tramandata nel tempo per caso, fra due caratteristiche del prestigioso poeta romantico: la vista molto difettosa, e l’abitudine alla masturbazione. È noto come Leopardi passasse gran parte del proprio tempo nella sua stanzetta, fra le “sudate carte” a studiare e scrivere, spesso anche in un ambiente semibuio. Tale ossessione per la cultura, pare, determinò un abbassamento della vista considerevole, che portò Leopardi ad essere quasi cieco in età avanzata. La quotidianità reclusa del poeta, dedito alla pagina scritta più che alla vita vissuta, gli impedì di instaurare molte relazioni con il prossimo, in particolare con l’altro sesso, nei confronti del quale Leopardi era piuttosto impacciato. La poesia sembrava l’unico spazio dove poter contemplare la donna, e la dimensione in cui il potere dell’immaginazione poteva esprimersi senza limitazioni.
Ebbene, pare che le capacità immaginative del Leopardi adolescente e poi maturo non si limitassero alla poesia, ma includessero una spiccata tendenza alla masturbazione nei frequenti periodi di solitudine. Da uno scambio epistolare fra Leopardi e il suo intimo amico Gervaso Nandini di Pisa, i ricercatori di Campobasso, guidati dall’esperto italianista Prof. Camillo Denso, hanno potuto accertare l’abitudine del poeta, che attraverso l’onanismo riusciva anche a scaricare molte tensioni e frustrazioni nei giorni di maggiore difficoltà esistenziale e pratica. Non c’è prova certa, ma il team di studiosi ha supposto che la celebre poesia L’Infinito non sia altro che una metafora della così definita “masturbazione onirica” di Leopardi, che si perdeva volentieri nelle proprie fantasie. E la riprova sarebbe – ma ci prendiamo il beneficio del dubbio in proposito – che la poesia termina con il verso “e naufragar m’è dolce in questo mare”. Sembra più una battuta che una decodificazione, ma è in realtà il seguito della ricerca ad essere interessante, in quanto evidenzia l’origine di una secolare, errata credenza..
Infatti, gli studi dell’equipe del Prof. Denso non si sono fermati qui: in un documento datato 1839 – un articolo di ambito medico redatto da un dottore vicino a Leopardi – si ipotizza una correlazione fra la cattiva vista del poeta e la pratica onanistica. La bizzarra teoria, dettata da un’associazione frettolosa e priva di riscontri, in qualche modo si diffuse per passaparola – il Prof. Denso ha individuato ben sei ulteriori testimonianze scritte della diceria, è dunque immaginabile quanto si fosse diffusa a voce – ed è arrivata fino a noi.
Oggi, non è che una storiella per dissuadere gli adolescenti dalla masturbazione compulsiva, ma grazie al Prof. Denso sappiamo finalmente da dove viene questa impropria diceria che la medicina moderna ha sempre smentito.
Le ricerche del gruppo di Campobasso sono raccolte per intero nel volume Denso C. e. a., Leopardi fino ai giorni nostri, Campobasso: 2011.
A Venezia premiano sempre film pseudo impegnati..noiosi…meglio se stranieri…e che
..vedranno in quattro!!
Premetto di non essere un addetto ai lavori,ma un semplice lettore che si sente di sostenere che la dolcezza del naufragio nell’infinito che Leopardi confessa di assaporare sia il sentimento che prova un vero intellettuale,consapevole che il suo sforzo di approfondimento assume il suo vero significato,la sua valenza più autentica,proprio di fronte all’infinito,alla relatività del tutto,che rappresentano lo spunto principale,se non l’unico, per il suo lavoro di ricerca. Giovanni Bonfili.
Per giudicare il film occorrerà prima vederlo, ma penso si possa dire che anche nel riconoscimento di pubblico e critica alla sua proiezione alla Mostra di Venezia, pesi ancora, purtoppo, anche nell’ambiente cinematografico lo stereotipo del pessimismo leopardiano , la sola cosa insieme alle più famose poesie di Leopardi che tutti abbiamo appreso a scuola e ricordiamo.
Non poteva bastare perciò avergli dedicato un film , per quanti sforzi possano aver fatto sceneggiatore e regista per rendere la personalità complessa e straordinaria di Giacomo Leopardi attraverso il racconto della sua vita per avvicinarlo ad un largo pubblico ricco di preconcetti, infarcito di schemini scolastici riduttivi e fuorvianti .
Chi conosce più in profondità la sua biografia , sa che possedeva una passione incolmabile e devastante per la vita e l’amore, che lo animava e consumava perchè sempre più costretto in un corpo che non lo seguiva, penalizzante da tutti i punti di vista, compreso quello di stare in determinati posti come Recanati per il clima che non gli giovava. Chi lo conosce più da vicino, come uomo prima ancora che poeta, filosofo, non può che amarlo e assumerlo a modello delle inquietudini giovanili, adolescienziali, e poi dell’uomo maturo, come il più contemporaneo di tutti i personaggi famosi ereditati dal passato perchè in perenne ricerca del senso della vita, del vivere e della felicità, che a lui però fu negata in principio; cosa di cui fu presto consapevole ,ne soffriva e riversava nell’ universalità delle sue liriche. Chi ha letto la sua biografia, il suo diario, lo Zibaldone, nonchè l’autobiografia del Conte Monaldo suo padre, sa benissimo inoltre la genesi della sua frattura creatasi fra lui bambino, sensibile, ma anche volitivo, autoritario, ambizioso, sopraffattore come nei giochi coi fratelli, sbeffeggiante e anticonformista nella cerchia familiare e sociale , tolto il suo affetto smisurato per la sorella Paolina, e quello che poi diventerà a causa di un ambiente e un contesto familiare per lui chiuso e protettivo. Basti dire che suo padre, che gli voleva un bene matto , che lo capiva come nessun altro e cercava di accontentarlo in tutto, appena iniziò a pronunciarsi la sua gibbosità lo voleva far diventare un ecclesiastico, cardinale o papa, così che la mantellina sulle spalle potesse nascondergli alla vista di tutti la gobba. . E, sempre chi lo ha accostato di più con la lettura della sua breve vita, sa anche che in famiglia il suo linguaggio non era per niente quello affettato che tutti conosciamo, ma che si lasciava andare a parolacce e trivialità, un pò come facciamo tutti.
Penso quindi che ci vorrà ancora tempo perchè si possa finalmente vedere e apprezzare ” la grande bellezza” dell’uomo Leopardi, che va oltre quella del poeta sublime.
Avara con il film su Leopardi, ma il Leone d’Oro ad un film sulle riflessioni d’un pistacoppo mi pare un chiaro tributo a Macerata.
comunque un film minimamente serio e rigoroso su Leopardi non può decentemente intitolarsi “il giovane favoloso”, definizione più adatta a una biografia del Pippobaudo… d’una qualità letteraria sputacchievole, penosa, disgustosa… doveva chiamarsi: ‘o ranaruottolo…