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Acquaroli-Ricci, scintille sulla sanità:
«Ereditato un sistema depauperato»
«In 5 anni è peggiorato tutto»

REGIONALI - I sei candidati Francesco Acquaroli, Claudio Bolletta, Francesco Gerardi, Lidia Mangani, Beatrice Marinelli e Matteo Ricci protagonisti del dibattito organizzato da Anaao Assomed. Il leader della coalizione di centrodestra: «Archiviati presidi chiusi e folli disegni accentratori, la nostra priorità per il prossimo quinquennio è la riorganizzazione del sistema di emergenza-urgenza». L'europarlamentare dem: «Aumentate liste d'attesa e mobilità passiva, Siamo l'unica regione in Italia ad avere tre assessori alla sanità che non fanno per uno»

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Francesco Acquaroli e Matteo Ricci

Botta e risposta tra Francesco Acquaroli e Matteo Ricci sul tema dei temi di queste elezioni regionali, la sanità, nel corso dell’incontro organizzato stamattina da Anaao Assomed Marche che ha visto confrontarsi anche gli altri quattro candidati alla presidenza della Regione (Claudio Bolletta, Francesco Gerardi, Lidia Mangani e Beatrice Marinelli).

Il presidente uscente e candidato governatore del centrodestra rivendica i risultati raggiunti dopo aver «ereditato una sanità depotenziata da decenni di mancata programmazione e devastata da continui tagli». Secondo Acquaroli, quando si parla di sanità bisogna analizzare il contesto. «Il governo Meloni è il primo che dopo anni aumenta il fondo sanitario con livelli mai visti in precedenza, chi governava prima della pandemia, tornando indietro fino al 2013, al 2012, cosa ha fatto? Tagli di miliardi e mancata programmazione che hanno contribuito alla degenerazione del sistema e ci hanno consegnato una sanità depauperata, riforme che si facevano con gli algoritmi, con la calcolatrice, con presidi chiusi e folli disegni accentratori, progetti di ospedali unici che stavano man mano togliendo risorse ai territori, e soprattutto una grave carenza di medici – dice Acquaroli – per formare un medico ci vogliono 10 anni: 10 anni fa qualcuno avrebbe dovuto rendersi conto che c’era un grande fetta di personale che sarebbe andata in pensione di lì a poco e avrebbe dovuto pensare a formare una nuova generazione di professionisti. La programmazione è centrale: quando abbiamo parlato in questi anni dell’ascesa del privato sul pubblico, dei medici gettonisti, un fenomeno inaccettabile su cui per primo il governo Meloni è intervenuto, queste sono le conseguenze della mancata programmazione.  E la responsabilità è di chi non ha gestito questa situazione quando doveva».

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Il confronto tra i sei candidati

C’è stata una grande discontinuità dal 2020 ad oggi, sostiene Acquaroli. «Affrontata la fase più critica della pandemia, abbiamo riprogrammato la nostra sanità – rivendica il leader del centrodestra – abbiamo adeguato le aziende ad un modello più aderente, con un livello di governance provinciale e più vicino alle reali esigenze, abbiamo scritto un piano sanitario studiando il fabbisogno reale. Stiamo ricostruendo la sanità su tutto il territorio, divenendo un modello nazionale , perché non vogliamo cittadini di serie A e di serie B. Stiamo lavorando per affermare il principio per il quale è la sanità pubblica che decide la committenza privata. Abbiamo potenziato le borse di studio per i giovani medici e abbiamo riadeguato l’accordo con i medici di medicina generale che era fermo dal 2007. Abbiamo portato chiarezza nel sistema, abbiamo potenziato le erogazioni delle prestazioni e la qualità. E crediamo in una sanità pubblica che sappia evolvere insieme alle esigenze dei cittadini, che sappia rispondere nei luoghi giusti, creando reti più capillari sui territori e lasciando agli ospedali la loro vocazione primaria, quella per gli acuti. Abbiamo investito nei punti salute, delle aggregazioni funzionali territoriali, nelle farmacie dei servizi, abbiamo avviato la costruzione di nuovi ospedali e l’adeguamento degli attuali. E abbiamo pronta anche la riorganizzazione del sistema di emergenza-urgenza. È la prima riforma che faremo e il principio che la guida è uno: l’equità. Perché non è concepibile che la vita delle persone, soprattutto per quelle persone che hanno patologie cosiddette tempo-dipendenti, sia appese a dove abiti o se è tempo buono o tempo cattivo. Vogliamo continuare così perché i risultati ci danno ragione. L’ultimo proprio ieri, Gimbe conferma che nelle Marche aumentano i punteggi per i livelli essenziali di assistenza offerti ai cittadini. Dati che confermano la qualità del nostro sistema sanitario che vanta da tre anni il migliore ospedale pubblico d’Italia e che è stato certificato anche con il G7 Salute svolto nelle Marche. E tutto questo senza aumentare di un euro le tasse dei cittadini, come stanno facendo altre regioni a noi confinanti, per coprire i buchi nei bilanci della sanità. Risultati che soprattutto portano il nome dei nostri professionisti sanitari, che ogni giorno sono in corsia, nei reparti, nel territorio, vicini a chi ha bisogno».

Diametralmente opposta, naturalmente, la disamina di Matteo Ricci, candidato governatore del centrosinistra. «Serve un nuovo patto per la salute per portare le Marche tra le regioni con la miglior sanità d’Italia – rimarca l’europarlamentare Pd – purtroppo, negli ultimi cinque anni, è peggiorato tutto: sono aumentate le liste d’attesa e la mobilità passiva e 150mila marchigiani, non trovando risposta nel pubblico e non avendo i soldi per andare dal privato, rinviano le cure. È un dato drammatico. Dobbiamo tornare ad investire sulla sanità pubblica e batterci a Roma per avere almeno il 7% del Pil speso in sanità, necessario per assumere medici e infermieri. Va inoltre rafforzato il rapporto con l’università marchigiane e non puntare sulla Link University che rischia di mettere in campo soltanto medici che hanno soldi ma non competenze. Bisogna anche liberare il tetto di spesa del personale, fondamentale per ridurre i gettonisti e a ridare spazio al lavoro stabile di medici e infermieri. In questa legislatura, invece, si è andati verso una privatizzazione strisciante della sanità e, mi pare, si siano messi al centro soltanto gli ospedali dei comuni di residenza degli assessori e non quelli che servono alla comunità. Siamo l’unica regione in Italia ad avere tre assessori alla sanità che non fanno per uno».

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