Massimo Ranieri questa sera allo Sferisterio
di Marco Pagliariccio (foto di Massimo Zanconi)
Prima la scarica di pioggia che nel tardo pomeriggio si è riversata su palco e poltroncine. Poi la scarica di energia che Massimo Ranieri in serata ha rovesciato sul pubblico maceratese. La carta d’identità dice 74 anni, ma è solo un numero per il cantante e showman napoletano, al ritorno a Macerata dopo l’esperienza del 2023, trascinante con il suo piglio da ventenne che ha scosso la (decisamente) fresca serata di Sferisterio Live+.
Cala il buio sullo Sferisterio per accogliere Ranieri sul palco, che pesca nel passato più lontano per l’ouverture della serata: “Quando l’amore diventa poesia”, che portò a Sanremo, appena 18enne, nel 1969 con Orietta Berti. Da lì inizia il lungo viaggio della vita dell’artista campano, tra sogni e citazioni di Shakespeare e Zavattini, salti avanti e indietro nel tempo e la musica a fare da fil rouge.
Si parte dalla fine, con una tripletta dal suo repertorio più recente come “Lasciami dove ti pare”, “Tra le mani un cuore” (portata all’ultimo Festival di Sanremo) e “Lettera di là dal mare”.
«Neanche nei miei sogni più sfrenati avrei potuto immaginare una carriera come quella che mi è toccata in sorte – ha detto sul palco – Dal 1964, quando misi piede per la prima volta sulle tavole avrò cantato 1500 canzoni. Il 90% di queste parlano sempre d’amore. Qualcuno dirà “Raniè è normale, lo fai per motivi commerciali”. Manco per niente. Lo faccio perché è l’unica cosa che conta. Io amo l’amore, ci farei l’amore. E alla mia età io sogno ancora di innamorarmi».
Un’ode all’amore proseguita con “La vestaglia”, “Resta cu’mme” e “Ho bisogno di te”, prima di affondare nel repertorio napoletano con una funambolica versione di “Pigliate na pastiglia” di Renato Carosone eseguita nei panni di un gangster americano. E poi due delle sue più grandi hit, “E se bruciasse la città”, che fa cantare e alzare i telefoni al cielo in tutta la platea, e la malinconica “Erba di casa mia”. Ranieri si fa narratore rispolverando la storia della nascita del suo nome d’arte.
«Mia madre ha messo al mondo Giovanni Calone, ma è stato mio padre a creare Massimo Ranieri, il cui parto fu decisamente più travagliata. Il mio primo nome d’arte fu Gianni Rock. Solo che io non ho mai fatto rock. La gente si aspettava Mick Jagger o Chuck Berry e quando mi veniva a sentire si trovava davanti me. Non poteva andare e così ci riunimmo con i discografici per iniziare a rifletterci. Uno se ne venne fuori con Ranieri, come il principe di Monaco. Poi un altro buttó lì Massimo e l’applauso per la combinazione partì spontaneo».
Compare anche un mazzo di rose dalla prima fila quando partono le note dell’immortale “Rose rosse”, ma Ranieri è come in trance agonistica e tira dritto con il suo live, che passa tra “Luna rossa”, “Canzone con le ruote” e “Vent’anni” per filare verso il gran finale che tutti aspettano: “Perdere l’amore”, il brano con cui trionfò a Sanremo nel 1988, accompagnata dalle torce degli smartphone del pubblico. Ma ci sono anche un paio di chicche finale: le sue versioni di due classici partenopei come “Tu vuo fa l’americano” e “Anema e core”, con cui saluta un pubblico che pende dalla sue labbra e dalle sue movenze.
Sferisterio Live+ ora passa dalla musica allo spettacolo: mercoledì all’arena si tornerà a parlare napoletano con Serena Rossi e la sua “SereNata a Napoli”.
E stato grande !!! Un vero Maestro
Bravissimo artista
Uno showman veramente completo!
Bravissimo
Visto l'anno scorso ad Ancona, super bravo
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