La fiaccolata
di Marco Pagliariccio (foto Fabio Falcioni)
Giulia Cecchettin era una ragazza come loro. Anzi era una di loro, alla soglia di una laurea mai raggiunta per colpa di uomo che diceva di amarla e che invece le ha tolto tutto. E allora come poteva la pioggia, leggera ma incessante, fermare oltre 400 studenti (ma anche docenti) e le loro fiaccole dallo scendere in piazza per dire basta, ancora una volta, ancora più forte, visto che quest’anno sono già 106 le donne che hanno perso la vita per mano di coloro che dovevano essere loro più vicini.
Unimc ha lanciato la sfida di radunare tutti in piazza della Libertà, a Maceratat, il Comune l’ha sostenuta, il resto l’hanno fatto loro: i ragazzi. Esserci, farsi sentire, piangere in alcuni casi: ognuno ha reagito a modo proprio. Perché ognuno di loro poteva essere Giulia Cecchettin.
«Ci riuniamo nel cordoglio della famiglia di Giulia, di tutte le donne vittime di femminicidio e dell’Università di Padova – ha detto il rettore John McCourt aprendo il raduno dalle logge del palazzo comunale – servono azioni concrete per estirpare la violenza di genere nella nostra società, ma ho voluto questo momento di comunità per mandare un segnale forte e unico. La violenza di genere continua ad essere una piaga nella nostra società. La morte di Giulia ci ha sconvolto tutti, ma è solo l’ennesimo episodio di questo tipo, ogni giorno ne scopriamo uno nuovo.
Genitorialità, rispetto reciproco, ascolto, necessità di accettare la parola “no”: sono valori che dobbiamo ritrovare. La nostra comunità deve essere un luogo sicuro in cui le donne possano vivere libere e dove possano godere della loro vita in tutta serenità e dignità». McCourt ha dato lettura del messaggio di Gino Cecchettin, padre di Giulia, che hanno fatto da prologo a un minuto di silenzio. «Il vero amore non umilia, non delude, non calpesta, non tradisce, non ferisce il cuore. L’amore vero non urla, non picchia, non uccide».
A spezzare il raccoglimento, il duro messaggio dei rappresentanti degli studenti, il presidente Dario D’Urso e la vice Lucrezia Cinella, che ha chiamato in causa media, Governo e pure il Comune: «Una morte già annunciata – hanno detto i due leggendo un comunicato a nome di tutta la componente studentesca dell’ateneo – basta parlare di mostri, li si definisce così perché allontanandoli ci si deresponsabilizza. Coloro che uccidono sono uomini. Ma mentre ci si sforza per differenziarsi, due giorni fa a Fano è morta Rita Talamelli. Chiediamo di astenersi da commenti sulla vicenda a tutti coloro che cercano comprensioni o assoluzioni dalle responsabilità. Il diritto di parola non è diritto di violenza attraverso la parola. Le terribili parole che si continuano a sentire soprattutto di uomini che mirano all’assoluzione di se stessi è tribuna politica, assenza di spirito critico, immaturità, violenza.
La responsabilità dei singoli è responsabilità collettiva e chiunque tenti di smorzare la portata rivoluzionaria della lotta di Elena Cecchettin e di tutte noi che urliamo “se domani sono io, voglio essere l’ultima” è nostro nemico. La lotta di Elena è la lotta di tutti noi, una lotta di civiltà. E le istituzioni sembrano non voler essere parte di questo cambiamento. Quando un ministro invece di condannare un uomo si chiede se esso sia effettivamente colpevole perché bianco, bravo ragazzo e di buona famiglia, quella è violenza. Quando i media e l’opinione pubblica si concentrano sullo stato psicologico di Elena, quella è violenza. Quando in consiglio comunale si bocciano proposte riguardo la violenza di genere e fin quando il Comune non deciderà di entrare davvero nella proposta scolastica anche quella è violenza. Fin quando si dirà che sono le donne a dover riconoscere i comportamenti tossici, quella è violenza. Fin quando non si interverrà sull’educazione affettiva e sessuale, ci sarà sempre un’altra Giulia Cecchettin».
La prorettrice Natascia Mattucci ha portato il messaggio della componente dei docenti: «Giulia Cecchettin oggi sarebbe una laureata in ingegneria e probabilmente per lei si aprirebbero tutte quelle strade che la libertà ci apre – ha ricordato Mattucci – Giulia non potrà mai percorrerle, perché la violenza è innanzitutto interruzione di una via, di un percorso. Nella morte, per sempre. Ma la violenza ha tante altre forme, più subdole, meno evidenti, che possono terminare con la morte o portare tutta la vita ad essere morta culturalmente. Perché chi subisce violenza si rende conto di non poter percorrere una strada. La sorella Elena ha fatto un uso politico delle parole per invitare a una presa di coscienza, per invitare i nostri corpi ad essere nelle piazze a fare quello che non abbiamo fatto per anni. Il 25 novembre è diventata un rituale, una giornata tra le giornate. Ma ciò che è capitato questa settimana ci ha riportato ad interrogarci davvero sul peso e la responsabilità di ognuno».
Da sinistra: il sindaco Sandro Parcaroli, la vicesindaca Francesca D’Alessandro, l’assessora Katiuscia Cassetta
Presente anche il vescovo Nazzareno Marconi e gran parte della giunta comunale, con il sindaco Sandro Parcaroli che ha lasciato il microfono alla vice Francesca D’Alessandro. «Quest’ultimo episodio ci ha imposto riflessioni a livello personale, collettivo e istituzionale – ha concluso l’assessora – il femminicidio è un qualcosa che sconvolge e sul quale le istituzioni devono impegnarci. Tanta strada è stata fatta, ma i fatti dicono che non è stato sufficiente. Abbiamo una sfida educativa da combattere tutti insieme con le nuove generazioni, coi giovani e con le famiglie che sono disorientate in casi come questo. Personalmente ho avuto paura immedesimandomi nei genitori di Giulia, ma anche di quelli di Filippo. Chi ha un ruolo genitoriale non può che restarne sconvolto».
E dopo il silenzio, il rumore: centinaia di chiavi hanno risuonato sotto le fiaccole, per ricordarci di tenere sempre alta l’attenzione e non soltanto quando un’altra Giulia morirà per mano di un altro Filippo.
(Clicca per ascoltare la notizia in podcast)
Il rettore John McCourt con Francesca D’Alessandro
Ti vogliamo bene Giulia...
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Volevo ringraziare l’università e tutti gli studenti per l’evento di sensibilizzazione contro la violenza sulle donne.
Volevo semplicemente chiedere perdono sia a Giulia che a tutte le donne vittime di femminicidio, poiché non mi sembra che stiamo facendo di tutto per evitarli. Donne giovanissime che avevano un futuro davanti, spezzato dalla società che ci trasciniamo dietro, ma che realmente non riusciamo o non vogliamo cambiare…
È inutile negarlo l’Italia ha un problema sistemico con la violenza di genere e il femminicidio, complice una politica che non si fa carico della responsabilità di adottare misure di prevenzione,un sistema patriarcale che ogni giorno produce violenza.
Lo si urla da anni nelle piazze italiane: finchénon verranno attuate strategie di seria e sistematica formazione, e non occasionale, affidata a dei progetti scolastici, la violenza sulle donne sarà responsabilità dello Stato.
Da sempre ho sostenuto e sostengo a gran voce che per combattere gli stereotipi culturali e sociali bisogna intervenire sui pilastri sociali, che sono la scuola e la famiglia, che formano l’individuo sin da piccolo.
Non è inasprendo le pene che si smettere di essere prevaricatori, violenti, possessivi e maschilisti, è l’esempio che danno le famiglie, la scuola e la società, che sono i formatori delle nuove generazioni.
Come consigliera comunale, insegnante, mamma e Presidentessa del consiglio delle donne, penso che l’educazione all’affettività e alle relazioni sociali vada insegnata sin da piccoli.
La rappresentante degli studenti ha sottolineato che quando il comune continua a bocciare proposte contro la violenza di genere, quella è anche violenza! Durante lo scorso consiglio comunale, è stato bocciato un ordine del giorno che chiedeva al governo proprio la possibilità di inserire nei programmi scolastici alcune ore riguardanti argomenti come l’educazione all’affettività e alle relazioni sociali. Lo scorso anno inoltre è stato bocciato un altro o.d.g. che chiedeva la possibilità di apporre il doppio braccialetto sia al carnefice che alla vittima, che ne avrebbe fatto richiesta.
Con l’auspicio che tutti dimostrino con i fatti la volontà di cambiare, e con l’augurio di non ripetere mai più …’speriamo che sia l’ultima’.
Purtroppo siamo in fondo consapevoli che non sarà l’ultima, ma nessuno ha la forza di ammetterlo.
Non sarà l’ultima finchè il governo non mette in atto soluzioni risolutive.
Non sarà l’ultima perchè le famiglie non sempre educano, formano e danno il buono esempio ai propri figli.
Finchè tutti, anche nel nostro piccolo, non prendiamo realmente coscienza di voler dire basta non solo con le parole ma anche con le azioni, probabilmente solo allora si inizierà realmente a cambiare qualcosa.
La società genera mostri..da quando la nostra società ha perso paletti importanti..morale,etica,identità culturale,famiglia ed il suo ruolo ,il tutto sacrificato sull altare del dio soldo,del tutto e subito,del menefreghismo associato all egoismo piu sfrenato,dell essere sempre mentalmente e furiosamente ventenni etc.. tutto si è sfasciato.bisogna riconoscere da parte di tutti istituzioni,famiglie,entità economiche,e ragazzi la necessità di fare un robusto passo indietro per cercare di riprendete il timone di una nave oramai abbondantemente alla deriva
La vostra fiaccolata è una robetta di fronte alle “adunate oceaniche” del Ventennio. Mussolini era il Duce e poi il Dux… Ricordo quella ultima del 1943 in piazza Filippo Corridoni a Corridonia: erano tutti vestiti di nero; pure io ero vestito con una camicetta nera e due fasce bianche sul petto, insieme ai complimenti e i buffetti delle signore vestite di nero. Una piccola parte degli adunati andò nella RSI. Gli altri si levarono “la cimice”. Nel 1945 nessuno di costoro era fascista, né lo era mai stato. Erano stati tutti antifascisti, e magari pure “partigiani”…
Ricordo da ventenne le manifestazione per il Vietnam e quelle antifasciste contro il pericolo di un golpe di Estrema Destra. Erano epoche belle in cui i giovani entravano nei partiti politici, si battevano nelle piazze, partecipavano alla vita dei partiti e lottavano nei consigli comunali. C’erano poi quelli che lottavano nei sindacati, quando i sindacati, pur politicizzati, combattevano realmente per le loro categorie di lavoratori.
Oggi tutto è cambiato: siamo in una società fluida, senza più le barriere morali del passato, senza più gli esecrabili “patriarcati”. Viviamo in un pianeta in confusione e sempre di più nel pericolo di una qualche soluzione finale.
Adesso fate manifestazioni nelle piazze con le torce. Ricordano quelle della dittatura antisemita… Chiedo: serviranno a qualcosa le informazioni psicologiche nelle scuole? Poiché, quando l’inconscio prende il sopravvento con le motivazioni di “tradimento” e di “perdita” per superare l'”afflizione per la perdita”, tutte le informazioni degli esperti sui comportamenti civili da utilizzare alla bisogna non impediscono di compiere il misfatto cruento.
L’umanità è a metà del percorso evolutivo. Quindi una parte dell’umanità è rimasta a l'”occhio per occhio”, alla vendetta. E va più giù di tono quando vede che la Costituzione diventa carta straccia, con i signori della guerra e con i produttori di armi, che continuano a fomentare guerre per fare affari.
Finite le manifestazioni, le chiacchiere delle buone intenzioni, le proposte di leggi più dure… E magari ritorna un giudice che trova una motivazione umanitaria, o psichiatrica, e che poi rimanda l’assassino a spasso, libero come una farfalla. E intanto la vittima è morta, con la famiglia umiliata, e col giudice che invece continua la carriera…
Io, da “patriarca”, chiedo ai giovani manifestanti di oggi.
E se chi commette il crimine violento venisse ripagato con la stessa moneta, i crimini di quel genere diminuirebbero?
Ad esempio, se ad un crimine vile quale è quello di sfregiare la sua ex-donna con dell’acido si rispondesse fregiando l’autore, o l’autrice, con lo stesso acido e in quella stessa parte del volto che egli ha colpito, lo considerereste una soluzione contraria ai vostri principi democratici e umanitari? Mastro Titta, l’ultimo boia dello Stato Pontificio, annotava le storie che gli raccontavano i condannati al patibolo la sera prima dell’esecuzione. A Macerata ci fu uno che, per compiacere l’amante, uccise il proprio figlio bambino. Fu condannato pubblicamente alla ghigliottina; le membra furono poi sezionate e appese nei punti strategici di Macerata, con la testa esposta sulla finestrella di Porta Montana.
O la strada da percorrere è quella della pena capitale. Oppure l’alternativa sarà sempre quella di vedere gli assassini a spasso, redenti per buona condotta, o con altre giustificazioni psicologiche, grazie ad un giudice molto umano… Tanto il morto giace e al vivo si dà pace, scarcerandolo e risparmiandoci il mantenimento in galera.
Giovani di belle speranze, rispondete con la vostra opinione ad un “patriarca” di ottantaquattro anni quale io sono.
Perché ” Se domani sono io voglio essere l’ultima ” …L’ultima deve essere la povera Giulia nessun altra dopo di lei !!
Aggiungerei anche che una delle colpe ulteriori del nostro stato è che con l idea balzana del dover riabilitare tutti coloro che finiscono dentro siamo diventano il paese del volemoce bene e scurdemoce o passato…mentre chi commette delitti atroci deve pagare buttando via la chiave…le pene devono tornar ad essere afflittive in tutti i campi di applicazione altrimenti è facile parlare se poi chi ci governa da anche questa idea
Grazie Università di Macerata, la città Ti ringrazia per questa giusta – sincera manifestazione.