Buffa racconta a Overtime,
da Scirea a Chamberlain:
«I geni fermano il tempo»

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Federico Buffa a Overtime

 

di Leonardo Giorgi (Foto di Fabio Falcioni)

«I geni fermano il tempo» spiega Federico Buffa, giornalista e presentatore, dal palco di Overtime. Non è un caso allora che le centinaia di persone che hanno riempito piazza Cesare Battisti a Macerata questa sera abbiano viaggiato in religioso silenzio tra i racconti e le riflessioni sullo sport del «cantastorie» più amato d’Italia.

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Calcio, basket, atletica, vita e numeri. Come il 9 di Alfredo Di Stefano, la cui storia è legata al territorio marchigiano. «Cesarini, di origine marchigiane – racconta – ha spiegato per primo a Di Stefano che cosa significasse giocare al River Plate. Gli disse che la palla era fatta di cuoio e che il cuoio si ricava dalla mucca, che mangia l’erba. E quindi, al River, si giocava con la palla a terra, sull’erba». Un 9 che, se rovesciato, racconta un’altra storia di calcio e di vita: quel numero 6 bianconero di Gaetano Scirea. «Gaetano era il giocatore di tutti, a prescindere dalla tifoseria – spiega commosso Buffa -. Era un campione che ti faceva giocare senza sbatterti in faccia il suo essere migliore degli altri, vedeva un calcio diverso, era convinto che fosse possibile un calcio diverso». Visioni e vite diverse, ai limiti (ed oltre) l’impossibile. Come Wilt Chamberlain, unico giocatore Nba ad aver fatto 100 punti in una partita. «Chamberlain era il re di Los Angeles. C’è una possibilità su un milione che nasca un altro Michael Jordan, ma nessuna che nasca un altro Chamberlain. La sua vita potrebbe essere un film di Tarantino. Tra l’altro, tra le 20mila donne che ha raccontato di essersi fatto, c’era anche la madre di Tarantino». Personaggi che hanno segnato lo sport, e non solo, anche se rimasti per anni nell’ombra. Uno di questi è stato Arpad Veisz, storico allenatore del Bologna. «Ebreo, fu costretto a fuggire in Francia e alla fine in Olanda durante la seconda guerra mondiale. In Olanda venne catturato e morì, si dice, nel 1944 ad Auschwitz. Lui amava talmente tanto il calcio da voler continuare ad allenare fino alla fine». La serata prosegue con Pierluigi Pardo (domani mattina il resoconto).

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