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Quando il dialetto
raggiunge la poesia

TRADIZIONI - Gli “Scherzi de l’età” di Giordano De Angelis riguardano, in versi e non senza ironia, i vari aspetti della nostra vita quotidiana

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Giancarlo Liuti

 

di Giancarlo Liuti

Il “dialetto” è considerato di minor prestigio culturale della “lingua”. Ma per quanto concerne l’autenticità e l’immediatezza nell’esprimere e comunicare ad altri i nostri sentimenti sono invece alla pari. E, anzi, il dialetto precede la lingua e si può dire che ne sia il padre, nel parlare, nello scrivere e perfino nel fare poesia (non a caso, del resto, l’italiano proviene dal dialetto di Firenze). Lascio però questo argomento in cui si rischia troppa teoria e vengo alla poesia dialettale, che a Macerata ha avuto “maestri” della “classe” di Mario Affede, Giovanni Ginobili, Flavio Parrino e ultimamente Goffredo Giachini, che ha vinto a Terni un premio per il dialetto in versi.
E adesso? I tempi attuali sono quelli che sono, così presi dagli interessi materiali e assai meno dalle magari più indispensabili voci del cuore. Ma non manca qualche eccezione e stavolta parlo proprio di un attuale e ben noto “poeta dialettale” come il maceratese Giordano De Angelis, la cui antologia di liriche s’intitola “Li scherzi de l’età” e tocca ogni aspetto dell’esistenza quotidiana. Un esempio: “Lu calendariu”. Ed ecco il mese corrente: “A ottobre, le jornate se fa corte. / Quistu adè u’ mese de malingunja. / Quello che fu colore è foie morte, / lu vendu e lu scupì le porta via”. Poi la fine dell’anno: “Quanno a dicembre tu fai l’inventariu, / tiri le somme e poi vedé li guai / che l’omu fa. Cuscì lu calendariu / adé un bilangiu che non quatra mai”. E la speranza nel futuro? “Quesso de la speranza è u’ ritornellu / che sendo a fà da quanno che so natu. / Speri che l’annu nou sia u’ moccongéllu / più mejo de quill’addru ch’è passatu”. La speranza, già. E dobbiamo tenercela cara, perché “adé / lo sale de la vita, pe’ la jende. / Se te la pirdi, (pénzece mbò vè) / te ‘rmane, appena, pòco più de gnende …” e “te devi ccondendà / de quello che te passa lu convèndu”. Ma “finghè stai in piedi e la poi raccondà / cerca, più che se po’, da stà condèndu. / La vita adè ccuscì. Che voli fà? / Non è pianura. C’è da ji su e gghiò”. / Ma “se non je chjdi troppo poi scanzà / tande amarezze e tande delusiò”.



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