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L’ultimo canto della montagna

REPORTAGE - Renato Marziali a 74 anni resta il solo "pastore poeta" dei Sibillini maceratesi. Ogni giorno torna a Casali, frazione di Ussita quasi tutta zona rossa dopo il sisma, per curare l’orto e canta in rima ottava le storie del passato. Il libro “Pastorello”, che raccoglie le sue poesie, è stato ristampato da poco. La sua vita testimonia un’eredità millenaria che rischia di scomparire per sempre

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Luca Ballesi e Renato Marziali conversano nell’orto

 

di Federica Nardi

Nel tascapane un po’ di cibo e la Divina commedia, nel cuore una preghiera e negli occhi le montagne. Renato Marziali, 74 anni, è l’ultimo pastore poeta dei Sibillini maceratesi. Ogni giorno, nel quartiere di casette nato a Ussita dopo il sisma, guarda il monte Bove e canta storie e rime che dopo di lui rischiano di scomparire per sempre. Anche quei monti, senza più pastori, stanno diventando sempre più ostili a uomini e animali. «Non ci sono più lumache, non ci sono più pernici – spiega Marziali -. Anche al lupo servono le pecore».

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Renato Marziali firma alcune copie del suo libro “Pastorello” nell’area commerciale di Ussita

PASTORELLO POETA – Marziali è nato nel 1944 a Casali, frazione di Ussita che dal 30 ottobre del 2016 è quasi tutta zona rossa. Al pari del Polifemo a guardia del suo gregge, immagine marchio della sua azienda agricola, il 74enne è una figura quasi mitologica per chi frequenta Ussita e dintorni. A 12 anni Marziali, dopo aver finito la scuola, viene avviato all’attività di famiglia: la pastorizia. Solo una breve parentesi da carabiniere a cavallo lo porterà via dal mestiere. Lui, insignito nel 2007 anche del titolo di cavaliere della Repubblica, era e rimane un pastorello. Non un semplice vezzeggiativo ma una vera e propria qualifica: il pastorello è il pastore con un gregge di modeste dimensioni, da 40 a 70 pecore di cui si occupa dalla mattina alla sera, gestendo in autonomia insieme a qualche familiare tutto il ciclo. Mungitura, tosatura, vita e morte dei capi, produzione di formaggio. Da Casali, punto strategico della valle, Marziali per decenni prima di vendere gli animali, ha preso la strada dei pascoli lungo la Val di Panico, cosciali di pecora indosso e in spalla il tascapane. «La borsa dei pastori per portarsi da mangiare – racconta -. Solo che io ci portavo anche qualcos’altro».

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Renato Marziali in una foto di Mauro Pennacchietti

La Divina Commedia, la Gerusalemme Liberata, l’Odissea. La tradizione dei pastori poeti dei Sibillini, antica quanto la pastorizia stessa, si cristallizza negli ultimi due secoli grazie alle librerie di casa e nella vastità dei pascoli di montagna, dove il tempo è tutto da leggere, riflettere e cantare. La rima ottava, infatti, si intona anche. «Diciamo che la poesia ce l’ho nel dna. I classici li ho trovati a casa, ho cominciato così a leggerli – spiega Marziali –. E all’inizio leggevo, imparavo a memoria e non capivo bene il senso». Dai classici in rima ottava sono nati, nel 1800, i versi che compongono il corpus della tradizione dei pastori, racconti in versi frutto di una trasmissione orale che veniva rinnovata a ogni ritrovo. Come “La pastoral siringa” di Maccheroni, raccolta di aneddoti, tradimenti, matrimoni e funerali dei pastori del Centro Italia, da Leonessa in su, volume introvabile che Marziali conosce a memoria. Così per il pastorello, che per spiegarsi meglio infila rime ottave ogni due frasi anche quando si parla del più e del meno, è un attimo passare dal sacro (fortissimo il suo attaccamento religioso) al profano, dalla Clorinda di Torquato Tasso che chiede il battesimo in punto di morte alle bravate dei preti di paese che approfittavano dell’assenza dei pastori in transumanza per visitarne le mogli. Marziali sa bene di essere uno degli ultimi, se non proprio l’ultimo, della sua stirpe. La cultura della pastorizia sopravvive ancora, ma con un piede già nel futuro.

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Renato Marziali all’ingresso della soluzione abitativa d’emergenza

In una delle poesie del libro ristampato grazie all’associazione Casali di Ussita e alla Pro loco, e che è in vendita nella zona commerciale di Ussita, Marziali spiega questo senso di dipartita da un mondo che vive solo nei suoi ricordi. “I pastorelli tutti partiranno/ con il destino chi lo sa se dove./ I turisti quassù sempre verranno,/ ma i pastorelli già saranno altrove/, poiché già nulla dritto tutto fila/ or che siamo alle porte del duemila”. Questo brano è una strofa della poesia “Il pastorello alle porte del duemila” e racconta di un incontro veramente avvenuto tra Marziali e un escursionista maceratese, che lo avvistò anni dopo il primo incontro sempre lì seduto a pascolare il gregge. Una vita che Marziali ha sempre amato e mai rimpianto (“Io vivo sempre e sol per quest’orgoglio / anche se pochi mi danno ragione / e finché Dio lo vuole e mi protegge / sarò sui monti a pascolare il gregge”) e che gli ha regalato, forse, il segreto della serenità che lo accompagna sempre. Anche se ha perso molto a causa del sisma. «Lo hanno portato a Porto Recanati e sta bene – dice di sé -, l’hanno portato a Montecassiano e sta bene, ora l’hanno portato nella casetta e sta bene lo stesso».

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Renato Marziali al lavoro nell’orto

 

IL BORGO CHE INDICA IL TESORO – Custode dei canti, Marziali è anche custode di Casali, essendo uno dei pochi che può raggiungere la frazione. La strada è ancora chiusa perché è in atto una frana complessa e vistosa che sta tirando giù mezza carreggiata.

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La strada che collega Ussita a Casali, nel punto in cui è franata

Qualche toppa è stata messa a fine aprile, in occasione del ritrovo dell’associazione Casali di Ussita, il 2 giugno. Ma di lavori veri e propri ancora nessuna traccia. Marziali ha il permesso per andare su ogni giorno per curare il grande appezzamento di orto che scende sul fianco del borgo. Decine di pali da pomodoro, cipolle. Un tubo per l’acqua e la fatica di gambe e braccia. Da lì si gode di una visione maestosa del monte Bove e della valle. Nella montagna circostante si possono leggere tutte le tracce lasciate dall’acqua e dalle slavine e, ovviamente, dal sisma. Tracce bianche come gesso a testimonianza delle scosse micidiali di due anni fa. Casali è nata con un insediamento di frati. La casa più antica si trova poco dopo la salita per accedere al borgo. A destra il rifugio, aperto poco prima del sisma e che ora sta tentando di delocalizzarsi in un terreno vicino, a sinistra la fontana.

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Il volto in pietra, dice la leggenda, indica il punto in cui è nascosto un tesoro sul monte Bove

Tra le pietre della prima casa spunta un volto, una sorta di gargoyles d’altri tempi: la leggenda vuole che indichi un tesoro nascosto sul monte Bove, dove i frati ripiegavano tramite altrettanto leggendarie gallerie in caso di pericolo. La chiesa invece, antica quanto il paese e di cui Marziali è stato custode per tanti anni, è stata puntellata all’inizio di giugno, e ora scintilla al sole con la sua impacchettatura di tubi di metallo e viti. Nel piccolo cortile retrostante, tra la chiesa e il campo giochi, restano ammassate le pietre cadute con le scosse. Le campane e la statua della Madonna che ogni anno d’estate veniva portata in processione, sono state portate da un’altra parte. Nel borgo vero e proprio l’erbaccia cresce nelle vie e molti orti che facevano l’orgoglio del paesello sono in rovina. Prima i turisti, usciti dal ristorante, andavano a piedi per smaltire il pranzo scoprendo con le loro macchine fotografiche incredibili cespugli di rose che sono andate a finire nell’album dei ricordi di migliaia di visitatori. E che adesso appassiscono al sole, in attesa del ritorno dei “casalotti”.

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La chiesa di Casali è stata messa in sicurezza a inizio giugno

LUPI, AMBIENTALISTI E PASTORI – Negli anni cinquanta a Ussita i pastori erano più di 70 (adesso se ne contano più o meno cinque). Greggi sterminate, con migliaia di pecore che «rasavano la montagna – racconta Marziali, che ha assistito negli anni al declino di un mestiere vitale per l’ambiente -. L’erba era buona grazie alla presenza delle pecore, anche altri animali la mangiavano. Adesso la montagna è tutta falasca, non prende più l’acqua, la neve ci scivola sopra». Insomma «prima le pecore dicevano che erano troppe – sorride Marziali – e adesso sono troppo poche. C’era un equilibrio che non c’è più, secondo me anche i lupi hanno cambiato abitudini».

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La fontana all’ingresso del borgo di Casali

Per Marziali il lupo non è certo un amico ma nemmeno un nemico. E’ la controparte del pastore. Tolti i pastori, la montagna va in decadenza. «C’è stato uno studio dell’università di Camerino – spiega Marziali – che dimostra che hanno capito quello che dicevamo noi 30 anni prima». Di studi, in realtà, ce ne sono stati molti. Numerosissimi studi botanici hanno dimostrato che «le nostre praterie sono un habitat di importanza europea – spiega Andrea Catorci, docente Unicam di Botanica applicata che si occupa di ecologia dei sistemi della montagna -. Per la presenza di una biodiversità tra le più importanti a livello mondiale. Inoltre, non bisogna dimenticare che queste praterie hanno forgiato la cultura degli appennini che è una cultura pastorale, non agricola. Le specie che vivono in queste praterie sono in gran parte arrivate con le pecore, e parliamo del Neolitico. Per questo la presenza delle greggi è un elemento imprescindibile per la loro conservazione. Certo però – aggiunge Catorci -, non si può più pensare di gestire l’allevamento in montagna come nel Medioevo. Bisogna ammordernare i sistemi tenendo conto anche delle esigenze turistiche, del benessere animale e della sostenibilità ambientale. Unicam e Parco dei Sibillini hanno sperimentato negli anni passati tecniche di gestione più efficaci che hanno mostrato eccellenti risultati proprio nella capacità di coniugazione dei temi ambientali e produttivi – spiega il docente -. La zootecnia deve entrare nel terzo millennio. La sfida con l’ambientalismo esiste, ma bisogna trovare un nuovo patto di coesistenza che porti vantaggi e preservi uno dei nostri patrimoni più importanti: il connubio tra paesaggio e cultura di montagna».

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Il rifugio di Casali

Tra gli amici di Renato Marziali c’è Luca Ballesi, titolare del rifugio Casali. Insieme hanno condiviso tutto lo strazio di vedere il borgo deserto dopo il terremoto e ora la fatica di restituirlo a chi vuole tornarci. Per Ballesi la pastorizia è la chiave stessa della sopravvivenza ambientale e culturale della montagna. «Senza pastorizia parliamo di una perdita immane a livello umano, sociale e ambientale – dice Ballesi -. La presenza dei pastori era fondamentale per tutto l’ecosistema. E lo dimostra il fatto che ci sono strade che arrivano fino a 2mila metri: la montagna era fortemente antropizzata. Le politiche per preservare l’ambiente hanno creato grandi controsensi, con intere zone inaccessibili per periodi dell’anno in modo da non disturbare gli animali. Ma il passato ci insegna che è la presenza delle persone a garantire l’equilibrio ambientale».

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Lo scorcio spesso immortalato dai turisti

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