La strage di Capaci a scuola,
l’agente della scorta di Falcone:
«Il bullismo è mafioso»

CINGOLI - Angelo Corbo, ex poliziotto nella squadra del giudice scampato all'attentato, ha incontrato i ragazzi dell'istituto alberghiero Varnelli nell'auditorium Santo Spirito: «Fu lasciato solo dalla società. Quel giorno sono morto anch'io»

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Angelo Corbo, in piedi, nell’auditorium Santo Spirito di Cingoli

 

«Quel giorno sono morto anch’io». Queste le parole con cui Angelo Corbo ha aperto ieri mattina il suo intervento all’auditorium Santo Spirito di Cingoli, alla presenza dei ragazzi delle classi seconde dell’alberghiero Varnelli. Una toccante testimonianza quella di Angelo Corbo, poliziotto della scorta del giudice Giovanni Falcone sopravvissuto alla strage di Capaci, che ha raccontato prima la sua infanzia in un quartiere difficile di Palermo, poi la scelta di entrare in polizia che per lui significava dare qualcosa di concreto al suo ideale, quello di cercare di portare la sua città a ritrovare dignità in quegli anni di piombo. Insieme agli studenti, Corbo ha parlato in presenza della dirigente scolastica Maria Rossella Bitti, del sindaco di Cingoli Filippo Saltamartini, del presidente dell’associazione Agende Rosse Alessandra Antonelli e del comandante dei Carabinieri della sezione di Cingoli.

angelo-corbo2-325x184A soli 23 anni, senza alcuna specifica preparazione o esperienza, venne chiesto a Corbo di entrare nella scorta di Falcone. «Ho accettato perché per me il giudice era un’icona e perché pensavo l’incarico fosse provvisorio». Corbo ha rievocato gli anni con Falcone, i turni di lavoro estenuanti, l’impossibilità di avere una vita privata, il sentirsi invincibile, quasi un supereroe. E poi il giorno della strage, di cui Corbo ricorda ogni particolare: un bellissimo sabato di maggio, l’arrivo all’aeroporto di Capaci, l’attesa nel bar della caserma dei vigili del fuoco dell’arrivo da Roma di Falcone su un aereo militare, la sua strana euforia perché aveva giocato una schedina del Totocalcio e la convinzione che avrebbe fatto una grossa vincita che gli avrebbe cambiato la vita. Troppo grande da sopportare il peso di quelle morti, del trauma subito: essere sopravvissuto dall’attentato di Capaci, costato la vita al giudice anti-mafia Giovanni Falcone, alla moglie Francesca Morvillo e ai tre uomini della scorta, e non capirne il motivo. In un certo senso era morto anche lui. La sua vita è ricominciata solo quando ha capito che la sua missione era quella di continuare a dare voce ai compagni di scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e al giudice Falcone , ed è per questo che da alcuni anni Corbo incontra i ragazzi delle scuole e parla loro di mafia. «Giovanni Falcone – ha ricordato – è stato un grande uomo, ha tentato di ridare dignità ai siciliani combattendo i mafiosi, ma è stato lasciato solo dalla società. La mafia infatti si combatte facendo squadra, dicendo “no” e denunciando, cambiando la mentalità. I mafiosi hanno più paura della scuola che della giustizia». Corbo ha inoltre sottolineato ai ragazzi che il mafioso non è solo chi uccide, anche il bullismo è un «comportamento mafioso» perché il bullo, come il mafioso, calpesta i più deboli con il sostegno dei suoi “soldatini” che lo incitano e proteggono con un atteggiamento omertoso e ha raccontato come lui stesso sia stato vittima di atti di bullismo in età adolescenziale. «Sento il dovere di ringraziare questo servitore dello Stato – ha aggiunto il sindaco a fine giornata – che oggi, con la sua drammatica testimonianza, ha rivolto a tutti noi una bellissima lezione di educazione civica e di legalità». La dirigente Bitti ha concluso l’incontro sottolineando che parlare direttamente ai ragazzi, che rappresentano il nostro futuro, scuotendo le loro coscienze, è uno dei modi più efficaci per fare cittadinanza attiva e vincere la mafia.



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