di Giancarlo Liuti
A partire dal 2002, ancor prima dell’immigrazione di uomini, donne e bambini di pelle scura, c’è stata in Italia un’altrettanto massiccia immigrazione di animali anch’essi di pelle scura che sono giunti dall’Europa Orientale non sui barconi degli scafisti di mare ma sugli autotreni degli scafisti di terra quali sarebbero state – si dice – le associazioni venatorie cui ovviamente conveniva l’arrivo di nuove prede. Sto parlando, si sarà capito, dei cinghiali. Da circa 400.000, quanti erano quattordici anni fa, i cinghiali, una specie molto vorace, aggressiva e prolifica, son diventati, oggi, un milione. Con quali conseguenze? Nel Maceratese non passa settimana che un cinghiale non venga investito da un’auto con danni soprattutto a lui ma anche alla macchina e a chi la guida, che spesso ne resta ferito. Ma, a parte gli incidenti stradali, gravi danni riguardano l’agricoltura, negli orti, nei campi di mais, nei campi di cereali e nei vigneti anche in prossimità delle aree urbane. Un branco di cinghiali affamati è stato notato a Roma, sulla via Cassia, nei pressi della fermata del bus 301. E un altro è stato visto passeggiare indisturbato fra i palazzi del quartiere San Paolo di Bari. E lo scorso agosto un cinghiale ha ucciso un uomo di Cefalù, nel Palermitano, che tentava di difendere i propri cani.
E allora? Usare le maniere forti, condannarli a morte mediante fucilazione. Non solo per ridurne il numero ma anche per impedire che il numero torni a crescere grazie alla loro straordinaria prolificità (una cinghiala può partorire anche due volte l’anno dando alla luce, ogni volta, fino a dodici cinghialini). Dunque, ripeto, sterminarli. Il che piacerebbe agli agricoltori e ai cacciatori (la carne di cinghiale è molto appetitosa e di comoda commercializzazione) ma non piacerebbe agli animalisti che si battono per l’abolizione della caccia a tutela di ogni essere che voli, corra o salti, in cielo, nei boschi e nelle radure. A prescindere dagli estremismi delle rispettive associazioni (la Coldiretti punta all’apertura per tutto l’anno della caccia al cinghiale mentre le leghe animaliste – Lav e Lac – puntano all’abolizione di ogni tipo di caccia), un confronto “politico” che la dice lunga su tale questione si è avuto lo scorso settembre fra Valeria Mancinelli, sindaco Pd di Ancona, che contro i cinghiali auspica addirittura l’uso dei lanciafiamme (sic!) e Luca Ceriscioli, presidente Pd della Regione, che preferisce soluzioni più rispettose della naturale molteplicità degli esseri viventi. Un fatto, tuttavia, è incontrovertibile: il problema esiste e la sua complessità non consente soluzioni facili, a portata di mano.
Basti pensare agli alti costi dei risarcimenti , in capo a Regioni e Province, dovuti a coloro che sono stati danneggiati (765.000 euro, pare, nel 2015 rispetto ai 623.000 dell’anno precedente). Possibile andare avanti così?
Cercando qualche generica, non ufficiale e “super partes” notizia sulla situazione maceratese – quanti sono, all’incirca, i nostri cinghiali, e quali sono, attualmente, le misure per limitarne la crescita – mi sono rivolto ai competenti uffici della Provincia e mi son sentito cortesemente dire che, data la “delicatezza” della questione, avrei dovuto inviare una richiesta scritta alla quale, in tempi non brevi, mi sarebbe eventualmente pervenuta una risposta anch’essa scritta. Ebbene, nella mia pluridecennale militanza nel giornalismo una cosa del genere non m’era mai capitata. Sarebbe insomma più semplice chiedere informazioni al Pentagono sui bombardamenti americani in Iraq e in Siria? Ma cosa temevano i dirigenti di quegli uffici? Che io fossi un cinghiale? Poi, ripensandoci, mi sono reso conto che per la Provincia la questione è davvero “delicata” e tale da giustificare, per ora, quello stretto “riserbo”. Una “delicatezza” che probabilmente deriva dalla problematicità politica dei rapporti per un verso con la Regione e per l’altro verso con le associazioni locali di categoria, in particolare con la Coldiretti. La Provincia, insomma non è “super partes” ma “media pars”, ossia “parte di mezzo” fra posizioni difficili da conciliare. Mi sbaglio?
Allora cambio discorso e scelgo la chiave del paradosso scherzoso, una chiave che quando le cose serie si fa fatica a sbrogliarle è il sistema migliore per tirarsi fuori dall’impiccio. Ebbene, lo scorso gennaio, l’anticaccia (Lac) marchigiana suggerì la distribuzione fra i cinghiali – anzi, fra le cinghiale -di un farmaco contraccettivo simile a quello usato talvolta dalle donne umane per evitare di rimanere incinta dopo un rapporto intimo con un uomo. In che modo distribuirlo? Presuppongo spargendolo nell’immediato sottosuolo fra i tuberi e le radici che costituiscono il cibo prediletto dai cinghiali. Purtroppo, però, sembra che tale sperimentazione non stia avendo il successo sperato. Mi perdoni dunque la Lac se immagino che assai meglio funzionerebbe intervenire sui cinghiali maschi – fra l’altro pieni di un farmaco naturale simile al Viagra – applicando loro un profilattico, o come più comunemente si chiama, un preservativo. Ma in che modo avvicinarsi a questi bestioni e convincerli a infilarselo senza correre il rischio di essere sbranati?
C’è poi un altro problema, stavolta dovuto al sempre più probabile incontro – notturno, nelle aie coloniche – fra cinghiali e maiali, soprattutto fra cinghiali maschi e maiali femmine. Queste due specie non sono molto diverse, tanto che in varie popolazioni i cinghiali son considerati “maiali rinselvatichiti”, per cui il cinghiale maschio, attirato dalla morbidezza e dalla rosea nudità del maiale femmina, non resiste alla voglia di accoppiarsi con lei, che a sua volta è sedotta dall’irruenza erotica di lui, tanto maggiore a quella di suo marito. Così nascono dodici cuccioli il cui aspetto – irsuto e nerastro – fa infuriare il legittimo sposo della maiala, che, convinto di essere stato tradito, si rifiuta di riconoscerli come figli. La cosa è complicata, specie se la si paragona a quanto sta accadendo nel Parlamento italiano sul disegno di legge della senatrice Cirinnà per la regolamentazione delle unioni di fatto. “D’accordo”, dice la maiala al marito, “ti sono stata infedele e ti chiedo perdono”. Ma aggiunge: “Che vuoi fare, adesso, di questi dodici figli? Perché non li adotti?”. Peggio che andar di notte, signori! Qui, infatti, si profila una specie di “stepchild adoption” che tanto turba le coscienze dei nostri cattolici. E anche per maiali e cinghiali non è facile venirne fuori.
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Caro Giancarlo,
ottima ed efficace la descrizione della situazione e dei guai scaturenti dall’abnorme numero di cinghiali in circolazione.
Aggiungerei solo che questa disastro è dovuto all’immissione massiccia di cinghiali, provenienti dall’est Europa e di stazza anche superiore alla nostrana, effettuata nei decenni passati dalle associazioni venatorie.
Saria bbuscía de dí che cquasi tutto
quello che ss’è inventato er padreterno
nun zii cor zu’ perché. L’istate è assciutto
perché vvòrze creà zzuppo l’inverno.
Perché ha ccreato er porco? p’er presciutto.
Perché la carn’umana? p’er governo.
Perché li turchi? pe ccavà un costrutto
dell’antro Monno e nun spregà l’inferno.
Ma cquanno fesce er zanto madrimonio,
pe nnun fajje sto torto che ddormissi
bisogna dí cche lo tentò er demonio.
Certo chi ppijja mojje è un gran cazzaccio:
e ha rraggione er francese che ssentissi
ch’er madrimonio lo chiamò marraccio.
Quindi ” la maiala ” considera il cinghialone più ” porco ” del marito e a lui facilmente si concede. Ehh, dove andremo a finire, signora mia!
Va bene tutto ma arrivare alla stepchild adoption interspecifica proprio no, si esca dal riserbo e dimostrandosi finalmente super partes si mobilitino sentinelle in piedi di notte nelle aie coloniche, armate di tomi di grosso calibro dissuaderanno a suon di librate sul groppone i nemici della famiglia tradizionale porcina dal farsi i loro cinghialeschi comodi.
Come faranno a sapere che sono un milione?! Mah!
@iacobini
sicuramente avranno fatto i conti a…PIG!!!!