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Un libro dedicato a Raffaele Curi:
“Sono marchigiano e me ne vanto”

Presentato alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma “Circolarità”, il lavoro di due dottorandi della "Sapienza" dedicato al percorso dell'attore di Potenza Picena

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(In alto la galleria fotografica di Guido Picchio)

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Raffaele Curi alla “Biblioteca Nazionale” di Roma

di Maurizio Verdenelli

Tutto avrebbe pensato Raffaele Curi da Potenza Picena che un giorno della sua bellissima esistenza (mai parlare d’età per un ‘attor giovane’) percorsa da un’irredenta giovinezza, sarebbe stato storicizzato dalle autorità accademiche di una delle migliori università italiane: La Sapienza di Roma. E così incluso difilato nell’empireo delle Scienze dello Spettacolo attraverso un libro a cura di due bravissimi dottorandi: Samuele Briatore e Dalila D’Amico. Presentato nei giorni scorsi alla Biblioteca Nazionale Centrale della Capitale, in viale Castro Pretorio. Il titolo: “Circolarità”. Sottotitolo: “Percorsi tra le performance di Raffaele Curi”. Magnifico! E perfettamente meritato da questo ‘ardente’ artista marchigiano che, finito il liceo classico ai Salesiani di Macerata (dove i suoi pantaloni alla zuava ne testimoniavano il creativo anticonformismo) s’iscrisse all’Accademia d’arte drammatica ‘Silvio D’Amico’ classificandosi poi come l’allievo più meritevole, superando un certo Michele Placido. Diventato suo grande amico. Fu un pass per il film da Oscar ‘I Giardini dei Finzi-Contini’ -1970- tratto dal capolavoro di Giorgio Bassani con un regista cult come Vittorio De Sica. Raffaele doveva esserne il protagonista, ruolo che tuttavia ebbe quello che sarebbe diventato un altro dei suoi grandi amici: Lino Capolicchio. Divenne famoso lo stesso, Raffaele ospite abituale al ‘Maurizio Costanzo show’. Mi raccontò lui, divertito, in una delle nostre sere estive nella villa di famiglia a Potenza Picena in compagnia della madre Regina Elena e dell’adorata sorella Edelweiss: “Al Maurizio Costanzo show mi chiesero di una storia divenuta notissima, che mi era capitata a Parigi. Ben volentieri! Nella capitale francese ero stato invitato con Dominique Sanda ed altri attori del cast. Una delle ospiti, una signora dagli occhiali scuri, molto gentile, cominciò a farmi incuriosita una serie fitta fitta di domande sul film. La signora era insomma interessata al mio ruolo di attore, dimostrava d’esserne affascinata. Mi sentii importante, insomma me la tiravo. Tanto lei era umile e modesta, tanto io mi sentivo  una star consacrata, un vip al confronto di quella sconosciuta, alta, ossuta, un po’ triste, barricata dietro quelle lenti affumicate. Seppi dopo, sentendomi sprofondare, che la ‘sconosciuta’ piena di attenzioni per me  era Greta Garbo! Capisci?! La Divina. Una lezione, quella dell’umiltà che non ho mai dimenticato”.

raffaele curi (20)Fu così per Raffaele. Per tutta la sua carriera. Dapprima nei film (di Pupi Avati interpretati con Capolicchio) e  in tv (soprattutto quelli storici) che lo lanciarono anche grazie alla sua ‘pulita’ bellezza da ragazzo ‘perbene’ sulle prime pagine dei giornali d’evasione. In quelle stagioni, irripetibili ed irrepetute (Raffaele sogghignerebbe: per fortuna) Curi figurava come l’uomo segreto, l’accompagnatore galante di ogni starlet che emergesse… e puntualmente scomparisse. Lui invece no, non è stato una meteora. Non solo perché ricordava la lezione della Garbo ma anche perché non ha mai dimenticato d’essere un marchigiano con i piedi per terra. Che, morto il padre, aveva dovuto farsi da solo. Esaurita la carriera cinematografica, andò poi con un mazzo di fiori in mano da Giancarlo Menotti e ne divenne per 18 anni l’uomo delle pubbliche relazioni al Festival di Due Mondi di Spoleto. Curandone inoltre l’ormai leggendaria ‘Festa di compleanno’ per i suoi 80 anni. Per due anni (me pronubo, in qualche modo insieme con Davide Calise) fu il pierre della Stagione lirica maceratese con al centro l’irripetibile ‘Boheme’, nell’84, di Ken Russell -reduce, guarda caso, dalla Butterfly, l’anno prima, a Spoleto. La griffe di Karl Lagerfend, la sponsorizzazione Fendi impreziosirono quel cameo che lanciò l’Arena fino in Australia. L’immagine di Raffaele mano nella mano con l’icona, allora, della bellezza italiana, Laura Antonelli (scollatissima in abito lungo rosso) a ‘fendere’ la platea dello Sferisterio un secondo dopo l’abbassarsi delle luci, mi resta ancora impressa negli occhi. Con Fendi, infatti Raffaele aveva iniziato infatti un percorso che tuttora dura. Era l’uomo-immagine, una definizione creata sartorialmente addosso a lui da egli stesso, il marchigiano con i piedi per terra, come un’altra grande marchigiana (che tuttavia a differenza di Raffaele e della conterranea Valeria Moriconi i non richiamava nelle sue dichiarazioni ufficiali la sua terra, la sua città Jesi): l’indimenticabile Virna Lisi. Virna era sorella di Esperia, moglie del più grande attore maceratese: Franco Graziosi, con cui lei aveva recitato nel primo grande sceneggiato della Tv in bianco e nero: Il caso Maurizius. Anche Franco, come Raffaele anni dopo, aveva primeggiato all’Accademia ‘d’Amico’. E con Raffaele (tagliato però nel comtaggio finale) Graziosi ha recitato nel film premiato con l’ Oscar ‘La Grande Bellezza’. Altro punto d’incontro: il film ad entrambi non è affatto piaciuto.

Fendi

Alda Fendi

Corsi e ricorsi storici. Mi disse Franca Fendi: “Dobbiamo molto alla creatività di Raffaele, al suo entusiasmo, alla sua energia”. Energia che lui mise, purtroppo senza esito, nell’incarico (me pronubo, ‘confesso’) che nel ’97 il sindaco Anna Menghi gli conferì per un ufficio Cultura & Spettacolo a Roma insieme con Dante Ferretti dove studiassero un festival cinematografico a Macerata. Tutto saltò con le dimissioni di Anna, ma l’amicizia tra Dante e Raffaele ha generato prima di quest’estate una delle performance più belle di Curi: ‘Oceano Adriatico’. Performance annunciata da Alda Fendi il 20 marzo scorso all’Accademia di Belle arti, a Macerata, dove lei volle condividere con il suo ‘immaginifico’ direttore artistico il Premio ‘Svoboda’. Già, non poteva non essere Curi il direttore artistico della Fondazione ‘Aldo Fendi’, scintillante mecenate dell’arte italiana? Certo che no ed è stata, giovedì scorso, una giornata speciale per ‘il marchigiano’ con i piedi per terra, ma finalmente salito nel ‘cielo’ che gli spetta. Non solo come attore, regista, uomo-immagine, arbiter elegantiarum e codificatore della difficile disciplina dell’intrattenimento (c’è un manuale scritto da lui, illuminante), ‘scopritore’ con Maurizio Costanzo di un altro grande amico. Vittorio Sgarbi (in uno dei suoi primi libri, lui ha dedicato a Raffaele un capitolo) ed infine performer d’eccellenza assoluta.

raffaele curi (2)“Sono marchigiano e me ne vanto –ha detto Curi alla folta platea della Biblioteca nazionale di Roma- questo Dna mi ha aiutato in modo sostanziale. Ho imparato dalla vita, con umiltà, fedele alle amicizie e agli affetti”. E pure al suo talento, che è rimasto, sempre ardente e giovane. Una perfetta circolarità, senza errori di percorso. In Biblioteca presente la Cultura (C maiuscola per favore, proto) nazionale. Dal grande prof. Antonio Paolucci, ora direttore dei Musei Vaticani; la presidente di Roma Europa Festival, Monique Veaute, il professor Alberto Castelvecchi, docente alla Luiss. Un’ illustre ‘scuola siciliana’ che insieme con il professor Luca Ruzza, docente di Scienze dello Spettacolo de ‘La Sapienza’ hanno presentato il libro di Samuele Briatore e Dalila D’Amico con al centro l’artista marchigiano ‘affacciato sul Conero’ (“Tutte le estati al mare, tra Porto Potenza  e Portonovo” ricorda con nostalgia, lui).

raffaele curi (8)Poi tutti a casa di Alda, in via Giulia, a due passi dalla casa di Raffaele. Una casa-museo senza arredi, dove anche gli alberi –nel terrazzo-giardino- sono criptati. Con la Fendi, Giorgio Albertazzi (allo Sferisterio, anni fa, guidando la regia di un Macbeth, glorioso, sotto le stelle senza …ballare), il direttore de ‘Il Sole-24 ore’ ed ex de ‘Il Messaggero’, Roberto Naspoletano; la giornalista-scrittrice Antonella Borallevi, l’editorialista Marcello Veneziani. Ed inoltre Marisela Federici, ‘regina’ dei salotti culturali romani, di cui è generosa mecenate. Una serata nel nome della Cultura da Grande Bellezza, anche se a sentire parlare del film di Sorrentino, Curi torna ad essere caustico a stento trattenuto dalla materna Alda (“E pensare che avendo cominciato con un Oscar tenevo a chiudere con un altro Oscar”!). Sì,  una serata vissuta nel ‘caldo buono’ di un inverno primaverile romano, alla Sorrentino dove non mancava anche un Jepp Gambardella maceratese, il fotoreporter Guido Picchio. Perché Macerata e le Marche restano sempre l’eterno ritorno di Raffaele Curi, da Potenza Picena.  Ed infine a festa finita (“Lui fa talvolta, è lo ‘star sistem’, bellezze” mi confidò sorridendo qualche anno fa, Raffaele) anche Vittorio Sgarbi, l’amico di sempre, di meravigliose serate, a Spoleto spesso nello entourage di Raul Gardini, a Macerata, Roma ed in giro per l’Italia con quel golfino rosso annodato intorno al collo, fintamente negligè, su grisaglie inappuntabili. Da eterni, ragazzi di provincia. Terribili e di talento. (Anche se Raffaele, di Vittorio non volle essere l’assessore alla Cultura a San Severino: fu proibizione da parte della madre che del figlio conosceva l’eccesso di ‘anima’ e di contro gli ostacoli invisibili della provincia maceratese).



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