Visto che a me piace mettere in risalto le buone notizie – e malgrado il parere di molti non mi sembra un gran difetto – vorrei parlare dei successi ottenuti il primo dalla provincia maceratese, il secondo dallo Sferisterio e il terzo da tre ragazzi dell’istituto tecnico “Gentili” di Macerata. L’argomento è la cultura, quella che secondo un’opinione abbastanza diffusa non si “mangia”, nel senso che non darebbe lavoro né guadagni immediati.
Ebbene, secondo un’indagine dell’Unioncamere e di “Symbola” (leggi l’articolo), il Maceratese si piazza all’ottavo posto in Italia per ciò che riguarda la ricchezza – e la ricchezza si mangia – prodotta dalla cultura (le province sono centosette ed entrare fra le “top ten” non è da poco). Riassumo i dati. L’anno scorso il Pil dell’industria culturale maceratese ha raggiunto il 7 per cento di quello provinciale generale, superando i 506 milioni di euro e impiegando 11.500 persone, pari all’8 per cento di tutti gli occupati. Che cosa s’intende per industria culturale? S’intendono le “imprese creative”, quelle che operano nel design manifatturiero, nell’informatica, nel cinema, nella tv, nella radio, nelle arti figurative, negli eventi teatrali e musicali. Di tutto questo si è già data ampia notizia nei media, ma credo sia importante tenerne conto anche per porre ancora una volta in evidenza il ruolo non secondario giocato dallo Sferisterio.
Si è da poco conclusa la ventiquattresima edizione di Musicultura (leggi l’articolo), certamente una delle migliori, sia per la qualità dei cantanti e delle canzoni in gara, sia per il valore degli ospiti, sia per la grande partecipazione di pubblico. Ormai questa rassegna ha assunto il ruolo di faro nazionale nella canzone d’autore (lo dimostra lo spazio dedicatole dalla Rai nelle dirette radiofoniche quotidiane e presto, in differita, nelle riprese televisive) in un abbraccio fra musica, canto e poesia che affonda le radici nella tradizione popolare e al tempo stesso continuamente la innova diventando un’autentica espressione culturale della contemporaneità (le tre serate finali in arena sono state precedute dagli incontri “La Controra”, svoltisi nelle piazze, nei palazzi storici e nei cortili della città alla presenza di personaggi assai noti in campo musicale, letterario, giornalistico e perfino enogastronomico). Lo Sferisterio? Gremito, tre volte di seguito. Al direttore artistico Piero Cesanelli chiedo qual è stato il momento più emozionante per lui. Dice: “La presenza di Josè Feliciano, la star mondiale dai nove premi ‘Grammy’ – addirittura più di Frank Sinatra – che fra l’altro ci ha riproposto ‘Che sarà’, la celebre canzone composta da Jimmy Fontana, cioè Enrico Sbriccoli, uno di noi, uno della nostra terra”.
Fra dodici giorni e lungo tutto il mese di luglio si svolgerà la quarantanovesima stagione del “Macerata Opera Festival”, che resta fra le più quotate rassegne operistiche europee all’aperto. Stavolta si rischiava una partenza sottotono perché i tagli della “spending review” avevano imposto di rinunciare alla progettata riproposizione di un’opera di grande richiamo popolare come la pucciniana Bohème nel ricordo dell’edizione del 1984, alla quale il regista Ken Russell diede clamore internazionale. Ma alle verdiane “Nabucco” e “Trovatore” il geniale direttore artistico Francesco Micheli ha aggiunto due opere (“Il piccolo spazzacamino” e il “Sogno di una notte di mezza estate”) di un illustre compositore moderno come Benjamin Britten e, soprattutto, ha fatto sì che a far da traino allo Sferisterio si creasse un crescente interesse popolare e giovanile col “Festival Off”: oltre settanta appuntamenti pomeridiani, serali e notturni con ospiti di prestigio e su temi di varia cultura. E, infine, una lieta sorpresa che riguarda l’aspetto finanziario: il botteghino dell’arena ha registrato un aumento del 21 per cento rispetto all’anno scorso.
Ma c’è qualcosa di più profondo e significativo che attiene proprio alla vocazione culturale dello Sferisterio, e mi riferisco ai passi avanti compiuti stavolta verso una sempre più evidente vicinanza tra Musicultura e Opera Festival, da una parte con l’accentuazione della creatività poetica della canzone d’autore (il vincitore, Alessio Arena, si autodefinisce “cantascrittore” e l’evocativo titolo del suo brano non contiene “amore” che fa rima con “cuore” ma allude ai “satelliti di Urano”) e dall’altra parte, come dimostra la scelta delle due opere di Britten, con un audace ma stimolante salto nella contemporaneità (Britten è scomparso nel 1976, all’età di 63 anni). Mi pare di cogliere, insomma, un’emergente consanguineità tra le due manifestazioni. E lo Sferisterio ringiovanisce, trova nuove energie che esaltano la sua naturale “missione” di teatro di cultura. Il tutto sollecitato dalle numerosissime occasioni d’informazione, formazione e dibattito: quelle di “Controra” di Musicultura e quelle del “Festival Off” per la stagione lirica.
Da ultimo vengo a un ulteriore successo certamente culturale che è stato ottenuto dall’Istituto tecnico commerciale “Gentili”, dove Nicola Perugini, maceratese puro sangue, ha superato il quarto anno sfiorando la media del dieci (9,8), la più alta in città e forse in provincia. E nella sua stessa classe – questo è il punto che voglio sottolineare – due ragazze hanno avuto pressappoco i medesimi voti, e non sono maceratesi puro sangue, visto che si chiamano Maria Georgiana Dancianu e Morena Habibaj, discendenze rumene la prima e albanesi la seconda. Dunque l’integrazione, il superamento delle barriere, il futuro del mondo. Un applauso a tutti e tre, alle loro famiglie, agli insegnanti del “Gentili” e al civismo di Macerata.
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Su questo concetto che la cultura si mangia si sta insistendo molto, ma non si scende mai abbastanza nei dettagli pratici dell’operazione, mentre sarebbe necessario farlo, visto che le domande sorgono spontanee e sono molte. Io per esempio mi domando, dato che in famiglia ne abbiamo una discreta scorta in soffitta e qualcuno anche fresco: i 10 in pagella come conviene cucinarli? E un’altra domanda è: se un affamato riesce a mettere le mani su un geniale direttore artistico di festival – e si sa che di questi ultimi in giro ve ne sono molti, tanto che sembrano proliferare in proporzione diretta a quella degli affamati stessi – lo può mangiare anche crudo?
Caro Giancarlo,
ti so persona troppo delicata d’animo per lasciarti imbrigliare anche tu nell’errata dizione del “Con la cultura ci si mangia”. Mi auguro sia un refuso e non un sigillo ulteriore alla battuta molto d’effetto ma davvero di poco gusto dell’onorevolessa Manzi.
Avendo ben presenti i Pagnanelli, i Morselli, le Rosselli, le Pozzi, le Plath, i Bindi, i Ciampi, etc., credo si rivoltino nella tomba ogni volta che l’infausto mantra viene ripronunciato (loro che il nome di “cultura” l’hanno scontato nella propria carne senza farne un passpartout per facili guadagni). La loro memoria, inoltre, mi ricorda che ancora oggi bisogna stare molto attenti nell’uso delle parole: una cosa, infatti, è la cultura. Un’altra (tutt’altra, vorrei aggiungere) i prodotti culturali. Coi prodotti culturali ci si mangia, è vero. Si chiamano “prodotti culturali” proprio perché sono merci sottoposte alle leggi di mercato. Si progettano per poterli vendere, per poterci guadagnare. Non a caso, si parla di “industria culturale”. Alcuni addirittura ci si strafogano.
Ma con la cultura… sei davvero sicuro che si mangi con la cultura? La cultura non è un prodotto che si può vendere, bensì è il patrimonio che riempie uno “slargo” (Heidegger), dandogli un’identità attraverso tutto ciò che fa degli uomini una collettività pensante e in grado di pensarsi e di raccontarsi (Milosz docet). “La cultura”, in questo senso, “si mangia”, ossia nutre la coscienza di un popolo. Ma viene prima del prodotto culturale. Sta a monte. E non si lascia imbrigliare (e imbrogliare) da qualcosa d’esterno che si usa per raggiungere un obiettivo (come quello del “mangiare”, ma sarebbe più semplice e meno equivoco chiamarlo col suo nome: “guadagnare”, “fare soldi”).
Ora, che col “prodotto culturale” ci si mangi lo sappiamo tutti da sempre. Nasce proprio per far mangiare, sarebbe grave che non raggiungesse lo scopo. Raccoglie sotto la sua egida le mode letterarie (ai nostri giorni il noir, ad esempio), la cosiddetta musica commerciale (e quanti cantautori hanno anch’essi “tradito”, in un certo senso, per dedicarsi a sonorità e testi commerciali abbandonando i linguaggi dei loro esordi?), etc.
Eppure, il cachet di certi jazzisti stratosferici rimane risibile: perché? Perché tutti sanno chi è Umberto Eco e Alda Merini, mentre quasi tutti ignorano chi è Tommaso Landolfi e chi Fernanda Romagnoli? E’ un fatto di cultura, che esilia alcuni a vantaggio di altri? Oppure, più semplicemente, alcuni non soddisfano le larghe sacche del pubblico pagante che cerca svago? Oppure, altrettanto, non rispondono alle cordate giuste dei pret-a-penser?
Pensavo a Musicultura di quest’anno: facilissimo fare l’omaggio a Enzo Jannacci. Ma Franco Califano? E Bruno Lauzi? Non erano bravi, Califano e Lauzi? Non facevano cultura? Oppure il loro “prodotto culturale” non rientrava nelle cordate e nei dettami dell’industria culturale vigente?
Ecco dunque perché, caro amico Liuti, mi innervosisco se sento dire che con la cultura ci si mangia. Coi prodotti culturali ci si mangia (anche se poi, a ben guardare, ci mangiano sempre gli stessi). La cultura si mangia e nutre. Non passa di moda. Non è comprabile né vendibile. Forse per questo ci si dedicano così pochi…
la distinzione che fa Davoli fra cultura e prodotti culturali mi trova sostanzialmente d’accordo ma proprio la sua distinzione non fa che confermare l’assunto di partenza e cioè che con la cultura si mangia . Penso che quando Davoli fa questa distinzione si riferisce essenzialmente, vista la sua formazione che mi sembra di intuire , alla cultura e ai prodotti culturali di natura umanistica (musica, lettere, teatro pittura , video etc) ma le sue categorie possono essere applicate ovviamente anche alla cultura tecnologica e scientifica. Anche qui abbiamo la “cultura” con cui non si mangerebbe se rimanesse fine a se stessa, è la ricerca di base, che però viene considerata essenziale per arrivare ai “prodotti culturali” che sono le innovazioni di prodotto e di processo che arrivano concretamente sul mercato e che generano i redditi che danno da mangiare. Quindi senza la cultura “di base” (la conoscenza) non si arriva ad ottenere i “prodotti culturali” che danno da mangiare siano essi un nuovo cellulare oppure la mostra degli impressionisti con presentazioni multimediali del periodo storico (tanto per dire). Per cui comunque la vogliamo distinguere con la cultura si mangia eccome
@ Filippo
Anche per i prodotti culturali dove, come giustamente dici tu, tutto dovrebbe essere finalizzato con un occhio soprattutto alla pecunia (e solo uno sguardo distratto alla Cultura 🙂 ) ci deve essere, però, una qualche distorsione economica, se dentro al calderone degli introiti ci finisce anche il denaro pubblico..
Questo perchè in molti prodotti culturali, inspiegabilmente, qualche curva IS-LM sembra venir colpita da qualche maligno virus, soprattutto se parte del finanziamento è reperito mediante denaro pubblico..
Probabilmente in certi prodotti culturali, soprattutto se è coprotagonista il denaro pubblico, deve esserci qualche male interpretazione di qualche teoria post-keynesiana in quanto i saldi sono solo positivi per alcuni, ma sempre passivi per la collettività….
Infatti capita, sempre un pò troppo spesso, che a fine pagina (dove si tirano i conti e si fanno i profitti e perdite, anche senza aprire mastrini e sottomastrini) in alcuni prodotti culturali c’è un utile (talvolta anche grosso) per ciò che riguarda l’interesse privato ma c’è sempre un debito (talvolta anche eccessivo) per ciò che rigurda l’interesse pubblico….
Eppure, quando talvolta qualche folle si arrischia a realizzare un qualche prodotto culturale senza la co-partecipazione della mammella pubblica, il saldo è positivo….
Quindi dovrebbe essere possibile, “ricavare”, anche senza l’intervento Statale.
Forse tu, che sei più addentro culturalmente di me a queste cose, ne comprendi gli arcani meccanismi??? 🙂
😉
Questo stesso dibattito è un “prodotto culturale di qualità”, affatto scontato, ma reso possibile a costo zero da un editore illuminato (cm).
I prodotti a costo zero non esistono.
(vedi http://mazzetta.iobloggo.com/cat/demagogie/312748 )
Bla bla bla… che ne sapete, con la cultura si mangia eccome!!! Certi politici ci mangiano a palate!!! 😛
Produzioni culturali “top ten” … va bene … più di 11000 occupati e un fatturato pari a circa mezzo milardo … va bene. Non domando certo a chi è andato il fatturato e di dove sono gli occupati … ripeto va bene … !! Spaccato economico della provincia di Macerata: Le ore di cassa integrazione nella Proncia di Macerata rispetto al 2012 sono aumentate di circa il 65% e il tasso di disoccupazione è di circa il 13%. Il tasso di occupazione è sceso del 5% attestandosi a quelo di 15 anni fa a circa il 60%. Il tasso di occupazione giovanine e crolato ai livelli di 25 anni fa, passando dal 35% circa al 21%. Il solo fatturato nel settore edile è crollato di più del 20% rispetto al 2012, solo nel primo trimestre 2013 il fatturato delle aziende e sceso del 5% circa.
“Top Ten” per le produzioni culturali .. Ok! N.B. “produzioni culturali”, non indotto dalle attività culturali!
@Munafo
Tutto il dibattito che in questi giorni si è concentrato sul tema delle produzioni culturali è stato sacrificato sull’altare della contestata posizione di privilegio della provincia di macerata . Sarà vero oppure no ? saranno stati taroccati i dati di una ricerca svolta da organizzazioni nazionali (Symbola e Union camera) per appoggiare Pettinari o Carancini ? Mettiamo da una parte questo aspetto . facciamo finta che in provincia di macerata la produzione culturale sia uguale a zero , cosi siamo tutti contenti e alla fine il dato nazionale non cambierebbe un granché . Ma appunto cosa dice il dato nazionale ? Dice che c’è un settore economico che crea ricchezza a partire dalla cultura , le arti e la creatività e che può rappresentare una opportunità di rilancio dello sviluppo del nostro paese (una , non l’unica ). perché questo ? perché si basa su vantaggi competitivi storici del nostro paese, perché è in grado di generare un indotto (proprio quello che cercava lei sig.Munafo) come pochi altri settori (per ogni euro di prodotto dell’industria culturale ce ne sono altri 1,4 generati in settori affini come turismo,trasporto etc), perché vanta un avanzo della bilancia commerciale secondo solo alla filiera meccanica (22miliaridi di euro nel 2012) perché infine è coerente con l’opzione che chiede di consumare meno oggetti e più beni immateriali per rendere lo sviluppo più sostenibile. Tutto questo non ha niente a che fare con la provincia di Macerata…. che sospiro di sollievo!!
@Iesari
Signor Iesari, forse le è sfuggito che, come sottolineo alla fine del mio intervento, si sta parlado e parlo di “produzione” culturale (ad esempio produrre uno spettocolo teatrale, un evento e così via) cosa ben diversa dalle attività culturali che creano anche indotto economico e occupazione, direttamente o indirettamente ( ad esempio attività muesaili collegate all’apertura di un museo per particolari mostre, ecc.). La produzione è una spesa che grava nella maggior parte dei casi sulle casse publiche: lo stabile che produce uno spettacolo che poi vende o mette in scena, lo sferisterio che produce un’opera e ne rivende l’allestimento, e così via. Il mio intervento è centrato lì, perché di questo aspetto si parla nell’articolo “topo ten” ….. da primi della classe
@ Munafo
Non so da dove prende la distinzione fra produzione e attività culturale che sembra essere un po’ evanescente. Personalmente le mie considerazioni , come quelle presenti nell’articolo di Liuti si basano sulla ricerca di UNIONCAMERE e SYMBOLA che può scaricare da questo link
http://www.symbola.net/html/article/IosonoculturaLItaliadellaqualitaedellabellezzasfidalacrisi#
se avrà modo e voglia potrà verificare che si tratta della elaborazione di dati statistici nazionali che fanno riferimenti a precise ed individuabili categorie economiche . In questa ricerca non c’è nessuna distinzione fra produzione (cattiva) e attività (buona) culturali.