San Giuliano
Patrono misterioso

Storia e curiosità

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di Alessandra Pierini

Un uomo riccioluto e barbuto, a cavallo di un bel destriero e circondato da animali tra i quali un cervo. Così San Giuliano appare nella statua lignea (copia dell’originale risalente al XVIII secolo, trafugata anni fa) conservata nella Cattedrale della città.  Aldilà di questa opera in cui Giuliano si mostra in tutta la sua fierezza, il giovane nobile che uccise entrambe i genitori, pensando fossero sua moglie e il suo amante per poi redimersi accogliendo i pellegrini sulle rive di un fiume, presumibilmente il Potenza,  è il  patrono della città sin dalla fondazione di Macerata  nel 1138 ed  è anche protagonista dell’arte cittadina. A Macerata è rappresentato dappertutto, come protagonista o come santo laterale, nelle chiese, sulle porte d’accesso intorno alle mura, nelle opere conservate in pinacoteca, nell’antico sigillo dell’università, nelle medaglie commemorative del comune, nei palazzi signorili, sugli stendardi.
La sua immagine più antica, a cavallo, è del 1326, una scultura in pietra un tempo nella Fonte maggiore e oggi nell’atrio della pinacoteca comunale; la più scenografica nelle chiesa delle Vergini mentre tiene in mano il modellino della città; la più moderna nel ciclo della vota del presbiterio del Duomo dove negli anni 30 è stata affrescata la storia della sua redenzione dopo un tragico, incredibile evento.

E’ quindi facile avere un’idea concreta dell’immagine del santo, non si hanno invece certezze sulla figura storica e sul fatto che il Santo venerato fosse proprio San Giuliano l’Ospitaliere, basta pensare che di San Giuliano ce n’erano più di 50 in tutta Europa. Misterioso  è anche l’episodio del ritrovamento delle reliquie del suo braccio conservate in Duomo. Secondo la tradizione locale, Giuliano morì nei dintorni della cittadina, sulle rive del fiume Potenza. Sepolto in Macerata, il suo corpo fù portato verso l’anno 740 nel Belgio da san Bonifacio, vescovo di Magonza, il quale lasciò nella cattedrale soltanto le reliquie del braccio sinistro;  successivamente, per sottrarle alle invasioni ricorrenti, si nascosero in un luogo conosciuto a pochi. Nel medioevo se ne era persa ogni traccia finchè il 6 gennaio 1442, vennero miracolosamente ritrovate dopo la messa pontificale celebrata nella cattedrale dal vescovo Nicolò dell’Aste, si presentò davanti a lui un notabile maceratese molto anziano, che disse di avere inteso da un suo concittadino morto da qualche anno che la reliquia del braccio di San Giuliano era celata fra due colonne davanti all’altare maggiore. Il vescovo ordinò di scavare nel luogo indicato, dove si ritrovò un cofanetto, che a sua volta conteneva il sacro braccio e un vasetto intorno al quale era avvolta una pergamena antichissima con le parole “hoc est residuum brachii sancti juliani”. Il sacro braccio era anche avvolto da un drappo di seta antichissima e da un’altra pergamena con la scritta: “hoc est brachium sancti juliani qui patrem et matrem interfecit”.
San_Giuliano_di_Macerata1-194x3001L’atto notarile che  descrive il ritrovamento è depositato nell’archivio priorale mentre le ossa, dopo varie collocazioni, sono conservate in una urna d’argento cesellata dall’orafo Domenico Piani.
Si trattava proprio di San Giuliano l’ospitaliere? E se così non fosse a chi appartiene il santo braccio? Secondo il bollandista, Baudouin de Gaiffier, il suo culto ha soppiantato quello più antico di San Giuliano martire questa sostituzione si è riscontrata anche in Francia con Giuliano di Le Mans e con Giuliano de Brioude. In Italia il San Giuliano che precedette nel culto l’ospitaliere, fu sulla costa orientale il martire, nato ad Istria, e morto a soli 18 anni.
Di San Giuliano l’ospitaliere nulla sappiamo di certo la sua prima menzione la troviamo nel martirologio dell’Usuardo, un monaco francese vissuto nel IX secolo, che ricorda il suo dies natalis al 31 agosto, ma la leggenda giunta fino a noi risale al XII secolo fu scritta in Francia da Vincenzo de Beauvais e ricopiata in Italia, da Jacopo da Varagine nella leggenda aurea.
Un giorno, si narra, un giovane nobile stava cacciando un cervo. ad un tratto l’animale che fuggiva fece dietrofront e gli andò in contro dicendo “come osi inseguirmi tu che ucciderai il padre e la madre?” A quelle parole Giuliano non soltanto abbandonò la caccia ma, atterrito dalla profezia, decise di allontanarsi dal suo paese senza avvertire i suoi genitori.
Dopo un lungo peregrinare arrivò in un luogo lontanissimo, dove entrò al servizio di un principe che aveva intuito di avere a che fare con un nobile. si comportò così bene in pace e in guerra da diventare presto capo della milizia e da sposare una nobile che aveva in dote un castello.
Nel frattempo i suoi genitori, disperati per la inspiegabile scomparsa, si aggiravano per il mondo alla sua ricerca; finchè un giorno arrivarono per caso nel castello abitato da Giuliano furono ricevuti dalla sposa perché il marito era in viaggio quando i due vecchi ebbero narrato la loro storia, la donna immaginò che fossero i suoceri perche questi gliene aveva parlato a lungo ma non disse loro nulla per prudenza e  si limitò ad ospitarli affettuosamente, cedendo la camera da letto e andando a dormire altrove.
All’aurora lei si recò in chiesa per assistere alla messa, mentre Giuliano rientrò dal viaggio recandosi subito nella camera da letto per svegliare la moglie,  ma quando nella penombra intravide due persone che dormivano nel letto matrimoniale, credendo che fossero la moglie e un amante, si precipitò su di loro uccidendoli in un impeto d’ira.
Quando Giuliano, uscendo di casa, incontrò la moglie che stava tornando dalla chiesa, le domandò meravigliato e preoccupato chi fossero quelle due persone che aveva trovato sul letto “sono i vostri genitori che tanto vi hanno cercato” rispose lei “e che io stessa ho invitato nella vostra stanza”.
Giuliano, preso dallo sconforto e dal dolore scoppiò a piangere mormorando: “Misero me, che cosa ho mai fatto! Ho ucciso i miei amatissimi genitori, la profezia di quel cervo si è avverata, e io che volevo evitare il misfatto fuggendo, l’ho compiuto con queste mie mani addio, sorella mia dolcissima, me ne andrò per il mondo e non avrò pace fino a quando il signore non si degnerà di manifestarmi il suo perdono per il mio pentimento.”
“Mio dolcissimo fratello,” rispose la donna “non ti permetterò di partire senza di me: ho condiviso la tua gioia, ora voglio condividere il dolore”, dopo un lungo peregrinare giunsero sulla riva di un grande fiume la cui traversata presentava molti pericoli, dove si trovasse quel luogo è controverso.
Che il braccio ritrovato in Cattedrale sia o non sia di San Giuliano l’Ospitaliere, Macerata si è dimostrata nei secoli città accogliente verso i pellegrini e gli stranieri e che sia lo spirito dei maceratesi ad aver influenzato  la scelta del Santo da venerare o che sia stato il protettore ad ispirare i maceratesi in un atteggiamento benevolo nei confronti dell’altro a volte esaltato all’ennesima potenza, come è accaduto a Padre Matteo Ricci, possiamo tranquillamente dire che il legame tra la città e il suo patrono è così forte da rendere vano ogni dubbio.



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