Franco Capponi (candidato presidente del centro destra) e Antonio Pettinari (candidato presidente del centro sinistra) un anno fa ... quando erano presidente e vice presidente della Provincia
di Giancarlo Liuti
Il principio per cui il fine giustifica i mezzi presuppone che il fine sia eticamente superiore ai mezzi usati per raggiungerlo. Se, per esempio, il fine è di soccorrere una persona in difficoltà, ben si giustifica che per tale scopo si rompa una vetrina. Non a caso il nostro codice penale stabilisce che non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo di un danno grave. Trasferito in politica, tale principio significa che azioni di per sé biasimevoli diventano pregevoli se sono indispensabili alla realizzazione di finalità superiori, come pace, libertà, democrazia. E’ giusto sostenere i fermenti popolari che scuotono la Libia del tiranno Gheddafi? Se è giusto, allora sono giusti anche i missili. Quei missili che in altre circostanze e con altri scopi non sarebbero giusti.
In Italia c’è una pur risicata maggioranza parlamentare per la quale la finalità superiore sta nell’impedire che il paese cada in mano – parole di Berlusconi – ai comunisti annidati fra i giudici, in certi giornali e in certi talk show televisivi. Con quali mezzi impedirlo? Contestare i valori della Costituzione, sfornare leggi ad personam, allestire strani plotoni di “responsabili”, lasciare che circolino veleni secessionisti e razzisti, far passare per buona la storiella della nipote di Mubarak. Mezzi poco nobili? A me, e forse anche a quelli che li praticano, paiono tali. E alimentano la sensazione che, come dice Marcello ad Amleto nella tragedia di Shakespeare, “c’è del marcio in Danimarca”. Ma nobile è, dal loro punto di vista, il fine. E il fine, come si diceva, giustifica i mezzi.
Veniamo a Macerata e consideriamo l’alleanza provinciale fra il Pd e l’Udc con la conseguente candidatura di Tonino Pettinari a presidente. Un’operazione che non cessa di suscitare malumori all’interno e all’esterno di entrambi i partiti, fra i quali vi sono diversità di sostanza, d’immagine e di storia che tuttavia non gli impediscono, oggi, di esercitare una energica opposizione parlamentare e di unirsi in una quantità di amministrazioni locali. In ballo, a Macerata, è finita soprattutto la figura di Pettinari, il quale, pur avendo già compiuto, come segretario dell’Udc delle Marche, una chiara scelta di campo a favore del centrosinistra in regione, è stato fino a pochi mesi fa una colonna della giunta provinciale di centrodestra (e Capponi, sarcasticamente, continua a definirlo “il mio vicepresidente”).
Ebbene, qual è la finalità di questa alleanza? Diffondere e rafforzare – dovunque sia possibile, Macerata compresa – uno schieramento che punti a due risultati: 1) superare l’ideologia del berlusconismo, che impera da diciassette anni e che, a comune giudizio del Pd e dell’Udc, produce crisi della legalità, disparità di diritti fra i cittadini, tendenze autoritarie, umiliazione del Parlamento; 2) dar vita a una grande coalizione di centrosinistra (Pd, Udc, Idv, Psi e altre forze, con apertura alla Sel e chiusura alla sinistra radicale) che, facendo breccia anche nei settori liberaldemocratici dell’elettorato fino a oggi di centrodestra, sia in grado di governare il paese ai vari livelli: nazionali, regionali (nelle Marche c’è già, e sta funzionando), provinciali, comunali. Questa è, per l’appunto, la finalità. Discutibile? Ovviamente sì, dipende dai punti di vista. Ma non campata in aria.
E i mezzi? La nascita di qualsiasi alleanza fra partiti comporta trattative sulla distribuzione dei ruoli, delle competenze, degli incarichi, diciamo pure delle poltrone. Scandalizzarsene non ha senso. Quella del “chi rappresenta chi” – con quali credenziali, con quale consenso popolare nel territorio – è, da sempre, una questione che la politica non può permettersi di ignorare. Nel caso di Macerata, dunque, tali trattative hanno imposto il peso non lieve di tormentate “cessioni di sovranità” (per il Pd la consegna all’Udc della candidatura alla presidenza provinciale) e di forti disorientamenti intestini (per l’Udc, oltre all’imbarazzo della sin troppo recente militanza nel centrodestra di Franco Capponi, la perdurante opposizione, in Comune, alla giunta Carancini). Ma questi sono, per l’appunto, i mezzi. Senza i quali il cammino verso quella finalità sarebbe stato impossibile.
Veniamo alla Sel. Il partito di Nichi Vendola non condivide la distinzione tra fini e mezzi, perché ritiene che i mezzi debbano avere la stessa qualità etica dei fini. Se si vuole la pace, dice la Sel, è inammissibile che la si persegua con mezzi di guerra. E se si vuole una società progressista, non la si può edificare, a Macerata e altrove, facendo compromessi con forze politiche che progressiste, a suo giudizio, non sono.
E qui salta fuori un’altra distinzione, quella fra “Idealpolitik” e “Realpolitik”: la prima che riguarda i fini e la seconda che riguarda i mezzi resi disponibili, nel concreto, dalla realtà. La politica tradisce se stessa se perde di vista la necessità di un costante rapporto fra queste due facce della propria natura. Ignorando le condizioni imposte dalla realtà, la “Idealpolitik” diventa vuota utopia. E non facendosi guidare da stelle polari di ordine ideale, la “Realpolitik” diventa mera gestione del quotidiano e degenera in trasformismi, opportunismi, calcoli personali, fenomeni di corruzione.
L’importante è vincere, dice il Pd pensando alla finalità. No, dice la Sel, l’importante è vincere bene. Vincere male, cioè con una “Realpolitik” dissociata dalla “Idealpolitik”, è pessima cosa. Molto meglio, allora, perdere. Ma perdere bene. E poi, aggiunge la Sel, dove sta scritto che la coalizione Pd-Udc vincerà? Certo, questa è una scommessa. Resa ragionevole, però, dal fallimento, per il Pd, delle scommesse d’altro segno che si sono succedute negli ultimi anni. E comunque, si osserva nel Pd, la teoria del “meglio perdere bene” piuttosto che “vincere male”, una teoria tutta impostata sulle anime belle della “Idealpolitik”, non tiene conto del fatto nudo e crudo che perdere (bene o male importa poco) significa soltanto una cosa: perdere. E il Pd ne ha fatte parecchie, ormai, di queste esperienze.
E’ naturale che non tutti i lettori di Cm siano d’accordo con le mie considerazioni. Capita pure a me, ogni tanto, di non essere d’accordo con me stesso. Ma almeno su un punto invoco l’unanimità. Ed è che, proprio per la sua novità, la sua complessità e le sue difficoltà, questa vicenda avrebbe preteso un dibattito pubblico – convegni, assemblee, conferenze stampa – che ne ponesse in evidenza le vere motivazioni e ne seguisse l’accidentato percorso. Un dibattito, intendo, sui fini e sui mezzi. Niente. Il tema non è stato approfondito, non è stato fatto capire, si è lasciato che piovesse dall’alto, come un’imposizione, una manovra di palazzo, un diktat venuto da Roma e da Ancona. Ecco un brutto servizio, ahimè, alla dignità sia della politica in generale sia di una scelta che ha le sue ragioni e magari i suoi torti, ma ridurla così, senza che ci si assuma la responsabilità di spiegarne le ragioni e discuterne i torti, questa sì che è una pessima cosa. Col rischio, poi, di pagarne il prezzo nelle urne.
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coerenza
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I nostri politicanti devono andarsene tutti a casa….
Abbiamo la peggiore classe politica dell’Universo.
dott. Liuti, è proprio sicuro che il segretario regionale dell’UDC (Pettinari), a suo tempo, fece la scelta di allearsi col PD per le regionali? E’ ora altresì sicuro che lo stesso Pettinari oggi abbia potuto autonomamente fare la stessa scelta per le Provinciali? Mi sorge il dubbio che Pettinari non ha mai fatto scelte, come invece fece a suo tempo, in tutta solitudine e nottetempo l’attuale Presidente nazionale UDC Buttiglione che come segretario dell’allora PPI, e senza alcun mandato si alleò con Berlusconi. Concordo con Lei che, alla luce della storia umana, mai sono state fatte scelte ispirate da alti ideali, al più saranno state scelte ispirate “dalle dure necessità storiche” come ammoniva Karl Marx, o da ragioni meno nobili, come gli interessi economici dell’ “Impero”. Il fine, quindi, da sempre ha giustificato i mezzi. Ma perchè nobilitare le scelte oscillanti dell’UDC con questo criterio che può diventare meno immorale se fosse almeno apertamente dichiarato. E’ allora chiaro perché né il PD, né l’UDC hanno scelto di non consultare la base.
dott. Liuti, è proprio sicuro che il segretario regionale dell’UDC (Pettinari), a suo tempo, fece la scelta di allearsi col PD per le regionali: E’ ora sicuro che lo stesso Pettinari oggi ha fatto la stessa scelta per le Provinciali? Mi sorge il dubbio che Pettinari non ha mai fatto scelte, come invece fece a suo tempk Buttiglione alleandosi, da segretario dell’allora PPI, con il Berlusca poi ripudiato. Concordo con Lei che, alla luce della storia umana, mai sono state fatte scelte ispirate da alti ideali, al più saranno state ispirate dalle dure necessità storiche (Vedi Marx,che giustifica l’innesto salvifico del comunismo ad ogni costo o, il più delle volte, da ragioni molto meno nobili, come gli interessi economici dell'”impero”. Il fine, quindi, da sempre ha giustificato i mezzi. Ma perchè nobiltare le scelte oscillanti dell’UDC con questo criterio che può diventare meno immorale se viene apertamente dichiarato. E’ allora chiaro perché né il PD, né l’UDC hanno consultato la base.
Non esiste piu’ la politica ma solo oligarchie cooptate e cooptanti. I vecchi partiti selezionavano persone almeno in grado di esprimere un ragionamento, dovendo confrontarsi con assemblee: oggi ascoltando il parlamento sentiamo il vuoto e nel vuoto tutto accade perche’ ogni direzione e’ libera.
non c’e’ visione, non c’e’ politica, ma solo partitica.
La colpa naturalmente e’ da dividere in parti uguali tra tutti noi troppo sazi e ignari del valore altissimo della politica per la realizzazione personale di ciascuno di noi.
REAL POLITIC O …..REALITY POLITIC ?
Come sempre, Dott. Liuti, non faccio fatica a seguirla nelle sue riflessioni e condividerle, dal primo all’ultimo rigo. E data la domenica di mezzo, con il suo articolo già bello e pubblicato, val la pena quindi per me , voler cogliere da questo un aspetto saliente della sua analisi, dove si sofferma nella diversità tra Ideal Politic e Real Politic, che messa così, sembrerebbero essere due cose contrapposte e inconciliabili, ma io non penso siano tali e provo a spiegarmi, scusandomi anche per la lunghezza eccessiva del commento, ma devo sviluppare il mio pensiero, non c’è altro modo.
Intanto mi chiedo, se è l’Ideal che dovrebbe generare la Real Politic o se invece è la Real , che dà imprinting a quella dell’Ideal Politic. Questa risposta, ci aiuta meglio a decifrare che tipo di politica si sta praticando e dove vogliamo arrivare; e non parlo solo di elezioni per la Provincia di Macerata, ma in generale. Non c’è dubbio che la seconda traccia, oggi sia quella che più viene inseguita, poichè andando a ritroso negli insuccessi di quella dettata da soli ideali, è parsa a molti della nostra classe politica dirigente, la strada maestra per divincolarsi dalle loro briglie, in quanto sostanzialmente non produttivi di effetti sul piano pratico, anzi paralizzanti.
Sta bene.
Però, resta il fatto, che abbiamo un Parlamento nazionale e i vari organi al pari democratici degli Enti locali, dove i rappresentanti eletti dal Popolo , continuano a sedere nei banchi divisi in settori tra destra, centro e sinistra. Allora ecco, che la Real Politic con i suoi meriti, li avrà anche indipendentemente (apparentemente, ci arrivo) da quelli ideali , si scontra in prima battuta con i limiti di organi democratici rappresentativi di Popolo, gente, questa sì reale, vera, che li ha voluti ben distribuiti nelle loro precise postazioni, quando sono stati chiamati ad eleggere i loro deputati o senatori o presidenti di regione, di provincia o sindaci.
Real Politic? Va bene ancora.
Ma allora andiamo oltre, facciamolo questo enorme passo in avanti, fino a farla diventare davvero reale questa politica e quindi cambiamole le regole di questa democrazia com’è, come l’abbiamo ereditata, altrimenti vi è necessariamente uno scollamento tra volontà popolare e la sua espressione parlamentare o locale, con conseguente sbandamento degli elettori,che sempre più spesso si ritrovano ad avere eletto un rappresentante che a fine legislatura, non ha più lo stesso simbolo che ostentava orgogliosamente dal manifesto o nel santino , a cui avevano consegnato il loro mandato. Facciamo una diversa collocazione negli scranni , per cui, dove ti siedi ti siedi, senza farsi tanti problemi, basta che fai politica e la fai per farla, come si deve, per andare da qui a lì, fin dove vuoi arrivare. Lascia pure a casa le tue idee, che qui tanto non servono; qui si lavora a montaggio e basta, ma che ideali! Mi si dirà a questo punto, ma non serve intervenire in tal senso, perché già questa impostazione che va , dalla realtà all’ideale, è essa stessa capace per sua natura concettuale , di modificare gli assetti democratici esistenti.
Può darsi anche che sia così, ma dubito. Ammettiamo anche. Col permesso di chi però , si procede a questi rovesciamenti di sistema, che non provengono dalla base elettorale costretta a decidere nella con-fusione delle proposte e senza una legge che abiliti i nostri bravi e indaffarati politici verso il cambiamento delle regole di gioco? La nostra macchina costituzionale, sarà anche da ritarare secondo l’evolversi e le necessità dei tempi, ma dentro questa, resta un motore ben congegnato, che invece a me pare, con tale modalità di guida spregiudicata, ci si limita soltanto a manometterlo costantemente, a sforzarlo con l’acceleratore, , a fargli mancare la giusta quantità d’olio, a truccarlo per le corse, col rischio di farlo ingrippare e andare in avaria.
E adesso a noi, al caso locale del c.d. laboratorio UDC-PD, prima regionale poi provinciale, che si inserisce bene in questo orizzonte di politica pratica, spiccia o “razionale”, come dice il candidato Pettinari col suo PD al seguito. E qui, riprendendo i termini del discorso sopra, la cosa si fa ” sfacciata” ,nel senso non di giudizio mio personale, ma di manifestazione delle reali intenzioni delle rispettive segreterie di partito. Si direbbe allora…più reale di così questa politica? Merita proprio di essere premiata per la meravigliosa epifania , non in itinere , non a valle delle posizioni assunte, ma addirittura in partenza. E infatti, che sia lecito andare in questa direzione non è in discussione, ma naturalmente può piacere o non piacere, a un elettorato poco avvezzo ai colpi di scena ad apertura di sipario. Ma questo è quanto si vedrà il 17 aprile. M’importa capire ora, riallacciandomi al filo che mi ha portata fin qui, se il meccanismo elettorale, sia in grado di supportare tali decisioni a monte.
Qui la risposta per me, è secca: NO, e per tutto quanto ho detto sopra. Passato il primo turno, parlando di provinciali ovviamente, fine della fase sperimentale, si ritorna alle regole del gioco che sembrava superato e gli elettori vengono chiamati a schierarsi definitivamente, o di qua o di là; o con me o contro di me. Non c’è zona grigia.
E in questa seconda fase, rieccoli, tornano anche i bistrattati ideali, esorcizzati, scacciati dalla finestra, che rientrano prepotentemente dalla porta, dopo essere stati liquidati a favore del sur-reale. E allora, si fa un ultimo, estremo patetico tentativo fra le parti, di ritrovarsi tutte nella necessità di riaccorparsi per poter governare, fine ultimissimo della Real Politic: scherziamo? E si torna a discutere, seriamente, responsabilmente intorno ai famosi programmi, sempre quelli, che avevano indotto le stesse parti ora in gioco alla sfida finale, a percorrere inizialmente strade solitarie o compagnie diverse , perchè è su questi che proprio non si era trovata un’ intesa. Ma per la “Real Real Politc”, diavolo, questo ed altro. Ritroviamoci su almeno alcuni punti di programma, se non su tutto tutto, almeno una sua parte. E si fa. Di solito si fa , per la nobile causa degli “effetti reali”. Magicamente, ecco infatti che tutti assieme appassionatamente , gli ex divisi e invisi , ora più realisti del re, si siedono uno di fronte all’altro, discutono, si accordano a porte chiuse tra di loro, come mai era avvenuto prima dello scrimen del ballottaggio. Più che magia, miracolo elettorale.
Ma se per caso, qualcuno ragionando fra sè e ritrovando un po’ della sua coerenza pre-ballottaggio dicesse, no, non mi sono accordato prima, ma perchè dovrei farlo adesso col credito dei voti in tasca ?
Perchè?? Come perchè ? Perché tu sei di destra, tu sei di centro, tu sei di sinistra! Perchè, sei chiamato con la responsabilità degli ideali di cui ti vanti e sei portatore, a stare dalla tua parte. Dalla parte dei tuoi ideali. Perché se non lo fai, favorisci l’avversario e scontenti i tuoi elettori.
Convincente? Per me no. Per me dovrebbe seguitare lo stesso interrogativo nella mente di chi ha avuto la meglio al primo turno e ora siede al tavolo con l’interlocutore interessato ma premuroso, che sta lì a ricordargli che gli serve i suoi voti equivalenti pari pari ai suoi ideali e quindi ripassare tra sé la sua storia , che ormai sa a memoria : Ma come..non si era detto che se io tiravo dritto per la mia strada senza tanti compromessi, i miei elettori mi avrebbero seguito perché altrimenti, mai mi avrebbero votato, e ora se io cedo per la realizzazione di poca parte del mio programma improntato a ideali, perché dovrei farli contenti? E se finirà, che adesso non torneranno a votare affatto, né felici né scontenti, perché diranno….potevi accordarti subito anziché farlo adesso, così se sapevo, non ti votavo affatto.
Vai a capire ora, la distanza e l’abisso tra le due, la separazione che c’è, tra . i due diversi protocolli che fanno capo ai sostenitori del ” Real o dell’ Ideal Politic. E va a capire soprattutto, se questo vestito cucito addosso per l’occasione, tiene i punti; Qual è la mano che scrive e chi è che detta il copione. E’ la politica degli ideali a soccombere quindi, oppure è la politica, chiamiamola reale, che alla fine lascia il posto alla sua coprotagonista ,che ritorna sempre in scena sul finale?
Concludo con una nota di ottimismo. Eppure una terza via c’è , ci sarebbe, ma qui ci vuole coraggio davvero, altro che ” REALITY POLITICK “!
Arriviamoci al ballottaggio e ne riparleremo.
Remo Appignanesi scrive:
“La colpa naturalmente e’ da dividere in parti uguali tra tutti noi troppo sazi e ignari del valore altissimo della politica per la realizzazione personale di ciascuno di noi.”
No, non sono d’accordo: la colpa non è da dividere in parti uguali tra tutti. Se i partiti sono strutturati come oligarchie cooptate e cooptanti la colpa è di chi li dirige, di chi si fa le regole a modo suo, le applica come gli conviene o le viola senza ritegno. La colpa dei singoli militanti, che spesso subiscono le decisioni prese da altri in modi che escludono la base e riducono i partiti stessi a meri comitati elettorali e a strumenti per la realizzazione delle loro meschine ambizioni personali è molto, molto minore; per non parlare delle “colpe” di chi, per non fare il portatore d’acqua e l’utile idiota, dai partiti, quali che essi siano, si tiene ben alla larga e si costringe a coltivare il proprio orticello perché, alla dimensione pubblica e civile della propria vita, è costretto a rinunciare anche suo malgrado.
Stefano: siamo cittadini e non possiamo dare le colpe agli altri. il dividendo di favori sui quali troppi svendolo il loro voto e’ un fatto e comunque un regime si regge sul consenso dei cittadini. dei piu’ certo, ma dei piu’ dei cittadini.
PS: visto l’ottimo lavoro di contenimento delle spesa… forse si sarebbe dovuto candidare il commissario prefettizio!
Il regime sovietico si reggeva sul consenso dei suoi cittadini?
L’ottimo Liuti scrive:
“…Proprio per la sua novità, la sua complessità e le sue difficoltà, questa vicenda avrebbe preteso un dibattito pubblico – convegni, assemblee, conferenze stampa – che ne ponesse in evidenza le vere motivazioni e ne seguisse l’accidentato percorso. Un dibattito, intendo, sui fini e sui mezzi. Niente. Il tema non è stato approfondito, non è stato fatto capire, si è lasciato che piovesse dall’alto, come un’imposizione, una manovra di palazzo, un diktat venuto da Roma e da Ancona. Ecco un brutto servizio, ahimè, alla dignità sia della politica in generale sia di una scelta che ha le sue ragioni e magari i suoi torti, ma ridurla così, senza che ci si assuma la responsabilità di spiegarne le ragioni e discuterne i torti, questa sì che è una pessima cosa. Col rischio, poi, di pagarne il prezzo nelle urne.”
Concordo pienamente.
… “Ebbene, qual è la finalità di questa alleanza?”
ma perchè questa domanda dovrebbe valere solo per il locale? a livello nazionale il programma della sinistra & co. è meno di 0 conta solo l’antiberlusconismo.