Sfruttamento in sei opifici cinesi:
Tod’s e tre manager indagati.
Chiesto il divieto di pubblicità

INCHIESTA - Contestati alla catena di comando aziendale non solo controlli insufficienti, ma comportamenti ritenuti dolosi. Spetterà alla Cassazione stabilire se il procedimento debba restare a Milano o essere trasferito ad Ancona, dato il coinvolgimento di laboratori marchigiani. Il magistrato ha chiesto di vietare al brand di promuovere i propri prodotti per sei mesi

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Diego Della Valle

Nuovi sviluppi nell’inchiesta della Procura di Milano che da mesi indaga sulla catena dei subappalti legati alla produzione di Tod’s. Oltre ai filoni già emersi in autunno, la magistratura milanese ha iscritto nel registro degli indagati tre dirigenti del gruppo e ha coinvolto anche la società stessa, in base alla normativa sulla responsabilità amministrativa degli enti, come anticipato sul Corriere della Sera.

Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, coordinati dal pm Paolo Storari, nei controlli effettuati dal Nucleo Ispettorato del Lavoro dei carabinieri sarebbero emerse situazioni di sfruttamento in sei opifici gestiti da imprenditori cinesi tra le province di Milano, Pavia, Macerata e Fermo. Si tratta di laboratori esterni impiegati per diverse lavorazioni, tra cui la produzione delle divise dei commessi dei negozi e alcune fasi della realizzazione delle tomaie.

Il pm, che nei mesi scorsi aveva già chiesto l’amministrazione giudiziaria per Tod’s, come avvenuto per altre aziende del lusso, ora contesta alla catena di comando aziendale non solo controlli insufficienti, ma comportamenti ritenuti dolosi. Gli investigatori sostengono infatti che i responsabili del gruppo avrebbero «ignorato gli esiti degli audit e delle ispezioni, i quali – secondo gli atti – evidenziavano numerosi indicatori di sfruttamento: turni estremamente lunghi, retribuzioni irregolari, carenze nelle misure di sicurezza e condizioni abitative definite degradanti per i lavoratori, tutti cittadini cinesi in condizioni di forte bisogno». I dirigenti coinvolti nell’indagine sono Simone Bernardini, Mirko Bartoloni e Vittorio Mascioni. Secondo l’accusa, la direzione aziendale avrebbe agito nella piena consapevolezza di quanto avveniva, anche alla luce delle relazioni redatte da un certificatore esterno tra il 2023 e il 2024, che – si legge negli atti – «avrebbero messo nero su bianco numerose irregolarità».

Sul fronte dei provvedimenti, lo scorso ottobre era emerso che Storari avesse già chiesto al Tribunale l’amministrazione giudiziaria di Tod’s. La questione però si è arenata per un dubbio di competenza territoriale: spetterà alla Cassazione, che ha discusso il caso ieri, stabilire se il procedimento debba restare a Milano o essere trasferito ad Ancona, dato il coinvolgimento di opifici marchigiani. Nel frattempo, il magistrato ha depositato al gip Domenico Santoro una nuova e più dura istanza: una misura interdittiva che, se accolta, vieterebbe a Tod’s di promuovere i propri prodotti per sei mesi. La decisione verrà presa dopo l’udienza fissata per il 3 dicembre. 

LA NOTA DELLA TOD’S – Dal canto suo, Tod’s fa sapere che «prende atto che la Corte di Cassazione ha rigettato ieri le richieste e il ricorso del dottor Paolo Storari. In merito alle nuove contestazioni sulla medesima vicenda, la società sta ora esaminando con la stessa tranquillità l’ulteriore materiale prodotto da Storari».

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