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Delitto Gentiana, “l’Effetto spettatore”
«Spesso più persone ci sono
e meno siamo spinti ad intervenire»

IL COMMENTO - Carlotta Cerquetti, avvocato, esperta di criminologia: «In base agli studi svolti sul tema, l’inerzia dello spettatore al crimine può dipendere da molteplici fattori: primo tra tutti il fatto che, in presenza di più persone, ciascuno crede o spera che sia l’altro ad intervenire al posto suo. Si riduce il senso di responsabilità individuale. Inoltre molte persone pensano di non essere adeguate o “preparate” a quel tipo di intervento in difesa della vittima». L'avvocato Roberta Bizzarri: «Solidarietà alla collega Lucia Testarmata per i commenti che ha ricevuto come donna che assiste l'assassino. La vicenda per certi versi mi ricorda il caso di Alika»

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L'omicida seduto sulla panchina tenuto sotto controllo dall'avvocato Mauro Chiariotti
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L’avvocato Mauro Chiariotti si è posto di fronte all’assassino

«Si assiste ad un omicidio e nessuno interviene? Si parla di “Effetto spettatore”. Spesso più persone ci sono e meno siamo spinti ad agire. Diversi i motivi per cui accade», così l’avvocato Carlotta Cerquetti, esperta in criminologia e scienze forensi, dopo il femminicidio di Tolentino.

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La criminologa Carlotta Cerquetti

Diverse persone sono rimaste colpite dal fatto che non sia intervenuto quasi nessuno lo scorso sabato Gentiana Kopili (Hudhra era il cognome assunto dopo il matrimonio) è stata accoltellata alle spalle dall’ex marito, il 55enne Nikollaq Hudhra. E non è successo in un luogo isolato o in un orario in cui non c’era nessuno. Eppure pochi sono intervenuti (l’avvocato Mauro Chiariotti che si è posto davanti all’assassino seduto sulla panchina, un uomo che prima di lui aveva cercato di contenerlo, ma entrambi sono intervenuti dopo che il delitto si era consumato) e una donna che ha assistito alla scena e si è messa a chiamare aiuto.

«Non siamo di fronte a un fenomeno sociale nuovo – dice Cerquetti –, anzi, si tratta di qualcosa di talmente diffuso da essere stato oggetto di studio da parte di psicologi e sociologi che lo hanno denominato “Effetto spettatore” (dall’inglese Bystander Effect). Gli studi sul tema sono iniziati negli anni ‘60, proprio a seguito dell’omicidio di una donna, Kitty Genovese, aggredita, stuprata e uccisa di notte a pochi metri da casa sua.

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Le urla furono udite da molti vicini di casa che, tuttavia, non intervennero per fermare l’azione omicidiaria. In quel caso fu eclatante la reazione dei media e della gente che si domandava, appunto, perché nessuno è intervenuto? Ebbene, gli studi fatti partendo dal caso Genovese, hanno descritto questa tendenza delle persone a non intervenire in situazioni di emergenza, quando vi siano altri soggetti presenti.

In pratica, maggiore è il numero di spettatori al crimine, minore è la probabilità che qualcuno di loro intervenga in aiuto. Questo crea un certo stupore e una certa indignazione e porta a riflettere su quanto egoiste e poco empatiche siano le persone che, invece di aiutare, restano inermi e l’unica cosa che pensano di fare è filmare la scena con il cellulare.

In realtà, proprio in base agli studi fatti sul tema, si è visto che l’inerzia dello spettatore al crimine può dipendere da molteplici fattori; primo tra tutti il fatto che, in presenza di più persone spettatrici, ciascuno crede o spera che sia l’altro ad intervenire al posto suo. In altre parole, nel singolo spettatore si riduce il senso di responsabilità individuale e si innesca una sorta di legittimo affidamento sull’altro, magari ritenuto più capace di agire in quella circostanza.

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Oltre a questo, va considerato anche che molte persone pensano di non essere adeguate o “preparate” a quel tipo di intervento in difesa della vittima e quindi non si attivano per paura di sbagliare o perché, come nel caso di Tolentino ove l’indagato era armato di coltello, temono per la propria incolumità. Non agiscono, quindi, perché in quel momento, scatta in loro una valutazione razionale che le porta a riflettere sul fatto che quella sua azione potrà avere, in qualche modo, un “costo”.

Teniamo poi presente che, più in generale, le persone che assistono al crimine quasi mai vogliono essere coinvolte come testimoni nelle successive vicende giudiziarie e, anche per questo, non si attivano in prima persona». Capita però che le persone, magari non intervengono, ma nemmeno se ne vanno, filmano. «Come mai? E’ difficile dare una risposta compiuta che possa valere in generale, però ritengo che di fronte al crimine, la persona che non interviene in aiuto rimane sul posto per accertarsi che qualcun altro lo faccia e per quel minimo di curiosità di vedere come andrà a finire. Il filmare la scena con il cellulare potrebbe essere determinata dalla volontà di documentare l’accaduto per fornire comunque un proprio aiuto, nella consapevolezza che non si è stati capaci o in grado di intervenire direttamente».

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L’avvocto Roberta Bizzarri

Le immagini di quanto accaduto, all’avvocato Roberta Bizzarri hanno ricordato quanto avvenuto a Civitanova il 29 luglio del 2022 quando è stato ucciso Alika Ogorchukwu. L’avvocato Bizzarri è il legale dell’assassino di Alika, Filippo Ferlazzo. Ci tiene anche a mandare un messaggio in sostegno della collega Lucia Testarmata, che assiste Nikollaq.

«Non mi permetto di disquisire su un caso che non conosco nei dettagli e che, tra l’altro, è in piena fase di indagini; tuttavia, un paio di osservazioni che sono “a latere” di quanto accaduto lo scorso fine settimana le faccio volentieri. Per prima cosa mi permetto di prestare tutta la mia solidarietà alla collega Lucia Testarmata perché leggere dei commenti così negativi sui social nei suoi confronti, solo perché è una donna, lo trovo a dir poco abominevole o, se vogliamo essere più tecnici, quantomeno anticostituzionale. Insultare una professionista solo perché è donna è anche questa una forma di violenza grave che non può essere accettata e che certifica quando sia ancora lunga la strada da percorrere per la semplice conquista del rispetto.

Chiarito questo, dell’omicidio di Tolentino mi ha colpito l’indifferenza delle persone, della gente lì presente. Così come per il caso che ho seguito professionalmente dell’omicidio avvenuto a Civitanova, questo reato è stato commesso in luogo pubblico e frequentato, eppure, anche qui, nessuno è intervenuto. A differenza del caso Ferlazzo dove l’omicidio segue ad una colluttazione a mani nude dove, tutto sommato, la gente che si è trovata ad assistere può aver pensato che si stesse trattando di un litigio, qui la situazione è indiscutibilmente chiara. L’uomo brandiva un coltello, la sua intenzione era oltremodo intuibile. Nonostante ciò, nessuno è intervenuto prima né dopo, a cose fatte. Questo immobilismo nell’assistere a scene violente non mi lascia indifferente e mi preoccupa».

Il legale sottolinea che, certo, l’uomo impugnava un coltello e che chi si trovava a passare poteva aver paura di prendersi una coltellata: «È vero. È difficile intervenire tentando di bloccare un aggressore armato, ma quantomeno, dopo i fatti si deve intervenire. Vedere una persona camminare a fianco della vittima, oramai morta e non fermarsi minimamente, non nego che mi ha scioccata e mi ha riportato a pensare al caso Ferlazzo. Se la gente ha paura di intervenire per non subire una aggressione, mi domando come hanno fatto a star lì a riprendere l’azione ad un metro di distanza, ma ancor più, nel caso Ferlazzo ove non vi era una arma, a non intervenire per tentare di bloccare l’azione».

(Redazione Cm)

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