«Proposte d’investimento senza abilitazione
e il bluff dell’affare del lingotto»
In due finiscono a giudizio

PROCESSO – L'udienza si è svolta davanti al Gup del tribunale di Ancona. Vittime due risparmiatori di Corridonia che si sono costituiti parte civile. Contestata anche l’aggravante di aver commesso il fatto avvalendosi del contributo di un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato. A giudizio anche una terza persona per un assegno

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Tribunale-Ancona-DSC_2717-650x432di Alessandro Luzi

Proposte di investimento ma senza avere l’abilitazione e il raggiro del lingotto a un risparmiatore di Corridonia: questa in sintesi l’accusa per due persone che sono finite a processo. Rinviati a giudizio dal gup del tribunale di Ancona un 49enne di Fabriano e un 65enne di Macerata. Oltre a loro a giudizio anche un 61enne di Fabriano che viene chiamato in causa per un assegno.

L’accusa parte da una contestazione che riguarda due degli imputati e il fatto che non sarebbero stati abilitati ad offrire i prodotti finanziari oggetto del processo.

Secondo la ricostruzione del pm, Gabriele Cacciamani, 49 anni, fabrianese, era amministratore di quattro società: la Ad Valorem Premium Ldt con sede a Londra, la Ad Valorem Consulting Sa con sede a Lugano, l’austriaca Grobus Mittel Gmbh e la Globus Img Sa in Svizzera. Tutte le società, secondo l’accusa, non erano abilitate a offrire i prodotti finanziari oggetto del processo, in Italia. A quel punto subentra, dice l’accusa, il maceratese Aldo Ciurlanti, 65 anni.

L’uomo si sarebbe qualificato come promotore finanziario nonostante, dice l’accusa, non avesse più l’abilitazione dal 20 agosto 2011 e avrebbe offerto in Italia prodotti finanziari e attività di investimento riguardo la compravendita di metallo prezioso, per tramite delle società di Cacciamani.

In particolare, avrebbe proposto dei contratti a due persone di Corridonia: uno di 18mila euro (in seguito attualizzato a 19.800 euro), l’altro di 106mila euro. Ai due imputati viene contestata l’aggravante di «aver commesso il fatto avvalendosi del contributo di un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato».

Sin qui il primo capo di imputazione che fa riferimento alla presunta mancanza di abilitazione, da parte di Ciurlanti e Cacciamani, a offrire prodotti finanziari.

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L’avvocato Alessandro Marcolini

Questa prima contestazione si lega poi all’accusa di truffa verso uno dei due risparmiatori. Secondo l’accusa Ciurlanti gli avrebbe fatto sottoscrivere una serie di documenti e lo avrebbe portato ad aderire a proposte di reinvestimento, tra cui: il trasferimento del contratto sottoscritto con la Ad Valorem Premium Ltd (nel 2014) in un nuovo firmato con Ad Valorem Consulting Sa, amministrata da Cacciamani. Il passaggio sarebbe avvenuto il 2 giugno 2016 per un importo pari al capitale versato inizialmente e alle cedole maturate e non liquidate.

Sempre quel giorno Ciurlanti avrebbe fatto sottoscrive al cliente l’acquisto di mezzo chilo di oro dalla Ad Valorem Consulting Sa per un valore di 20.800 euro.

Secondo l’accusa gli “artifizi e raggiri” sarebbero consistiti, da parte di Ciurlanti, nell’aver prospettato un investimento maggiormente appetibile al cliente e avergli fatto trasferire il contratto sottoscritto nel 2014 con la società Ad Valorem Premim ltd in un nuovo contratto con la società Ad Valorem Consulting Sa, richiedendo, per la sottoscrizione, un’integrazione di mille euro al capitale originariamente versato (che era di 18mila euro) e riconoscendo le cedole maturate non liquidate.

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L’avvocato Giovanni Cimarossa

Inoltre sempre Ciurlanti, prosegue l’accusa, il 2 giugno 2016, avrebbe consegnato il certificato di custodia di oro sottoscritto da Cacciamani corrispondente al capitale investito e avrebbe consegnato la chiave della cassetta di sicurezza al cliente, al fine di dare una parvenza di estrema affidabilità agli investimenti – dice l’accusa -. Il certificato però sarebbe risultato non corrispondente al vero «atteso che l’oro – si dice nel capo di imputazione – in parte non è stato acquistato e in parte è stato nel tempo ceduto da Cacciamani, in possesso dell’altra copia della chiave, a terzi soggetti sottraendolo alla disponibilità del cliente». Il cliente sarebbe anche stato accompagnato da Ciurlanti a Lugano alla sede della Ad Valorem Consulting Sa dove venne mostrato il “lingotto d’oro”, così inducendolo a ritenere affidabile l’investimento, prosegue l’accusa.

Nel lungo capo d’imputazione viene chiamata in causa una terza persona: Roberto Carmenati, 61 anni, di Fabriano, che avrebbe un ruolo marginale nella truffa. Al 61enne l’accusa prospetta la truffa o in alternativa il riciclaggio. Viene chiamato in causa per aver incassato un assegno ostacolando, continua il pm, l’identificazione della provenienza della somma. La sua posizione, come tutti gli altri fatti, dovrà essere verificata a processo.

«Il mio assistito è completamente estraneo a questa vicenda – ha detto l’avvocato di Carmenati, Claudio Brignocchi -. Non è partecipe in alcun modo a tutte le attività dirette a raccogliere gli investimenti. Ha solo posto all’incasso un assegno che ha fatto in qualità di legale rappresentante della società a cui era intestato l’investimento. L’assegno, che proveniva da un regolare contratto di finanziamento, non è stato né alterato, né utilizzato in conti diversi. L’operazione rientrava nelle sue competenze di rappresentante della società».
I due risparmiatori, tramite gli avvocati Alessandro Marcolini e Giovanni Cimarossa, si sono costituiti parte civile. Il processo si aprirà il 9 ottobre davanti al collegio del tribunale di Ancona. Oltre all’avvocato Brignocchi, gli imputati sono assistiti dagli avvocati Cristina Zinci, Francesco Nicasi e Massimo Spanò.



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