Munedaiko
di Marco Ribechi
I tamburi giapponesi incontrano la poesia di Ovidio e scocca la magia. È stata una notte davvero memorabile quella andata in scena ieri sera all’Anfiteatro Romano di Urbisaglia per la rassegna Tau – Teatri Antichi Uniti. Sullo splendido palco, come al solito molto suggestivo e incantevole, il gruppo Munedaiko che insieme alla voce narrante Nina Pons ha dato vita a una solenne interpretazione de Le Metamorfosi di Ovidio, con la puntuale regia di Andrea Baracco. In un teatro gremito per l’occasione, si sono alternate delle recitazioni dei brani di Ovidio a dei momenti musicali carichi di solennità, di marzialità per usare un termine caro alle discipline orientali.
Nina Pons
I tamburi, vibrati molto violentemente con movimenti rituali codificati, hanno saputo esprimere tutta la carica dell’origine della vita ma anche l’inseguimento di Apollo e Dafne e la disfatta di Fetonte che cade dal carro del sole. «Abbiamo deciso di concentrare la nostra attenzione sugli episodi più emblematici – spiega la compagnia – La prima, L’Origine, in cui si descrive, in una sintesi abbagliante, l’inizio, prima che ci fossero le “cose”, in cui la natura mostrava ovunque un volto uniforme, un peso inerte, in una parola il Caos. La seconda, l’amore di Apollo per Dafne, qui ci troviamo nell’universo dell’eros più incontrollabile che sfocia nella violenza. La terza, Fetonte, è sostanzialmente la storia di un clamoroso disastro aereo causato dal folle ardire del giovane che compie il volo».
Un momento dello spettacolo
Un viaggio sonoro nel profondo dell’animo umano capace di unire realtà a prima vista estremamente distanti e avulse tra loro: quelle del poema epico-mitologico romano, che racchiude alcune tra le storie emblematiche della mitologia antica occidentale, e l’arte del Taiko, ovvero le antiche percussioni giapponesi. Realtà che però, ad un’analisi più attenta, trovano le loro valide ragioni per convivere. Per prima cosa l’epoca storica di nascita, sia il poema che lo strumento musicale infatti sono ricollegabili a circa 2mila anni fa in una loro antica contemporaneità. Ma similitudini si possono trovare anche nei significati.
Mentre il poema di Ovidio muove dall’origine dell’universo, dall’organizzazione del caos, dalla mutevole trasformazione delle cose, allo stesso modo anche la via del tamburo, considerato lo specchio dell’anima in grado di risvegliare la vita in chi lo pratica, può essere vista come l’origine dell’arte musicale e culturale dell’uomo, il gesto più atavico per creare ritmo, suono. Esso rappresenta inoltre Il dio del tuono (per Ovidio Giove), il tamburo, portatore di pioggia e tempeste, carico di energia dell’universo, veniva battuto per creare fulmini ad ogni colpo. Infine il paragone con la vita stessa in quanto animato da un battito ritmico, proprio come il cuore.
I tre percussionisti Mugen Yahiro, Naomitsu Yahiro, Tokinari Yahiro, hanno quindi dato vita ad una performance energica, a tratti epica, in cui hanno suonato differenti tipologie di tamburi ma sempre, con forte energia e pathos, sposati alla perfezione con la suggestione delle splendide rovine romane ammutolendo, per lungo tempo il pubblico rapito. Moltissimi i meritati applausi per uno spettacolo che senza dubbio ha lasciato in tutti qualcosa di emotivamente differente, grazie alla sua capacità di unire differenti tradizioni all’interno di una stessa ricerca, ovvero quella portata avanti dagli uomini di ogni tempo e ogni luogo.
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