di Marco Pagliariccio (foto di Fabio Falcioni)
«In fondo sono contento che non ci sia il pienone qui oggi: è segno che non ci sono curiosi, ma solo persone che vogliono partecipare veramente a questo momento di dolore». Le parole del parroco don Fabio Moretti al funerale di questa mattina hanno dato la misura di quanto la tragedia di Pasqua nella quale Bruno Cartechini ha prima ucciso la moglie Palma Romagnoli per poi spararsi nell’intento di togliersi la vita, spirando qualche giorno dopo in ospedale, abbia sconvolto la comunità corridoniana.
Palma Romagnoli e Bruno Cartechini
Non è stato un bagno di folla alla chiesa dei Santi Pietro, Paolo e Donato, è vero. Un centinaio, forse qualcosa in più, le persone presenti, tra le quali gli ultimi tre sindaci della città: l’attuale primo cittadino Giuliana Giampaoli, la sua vice ed assessora ai servizi sociali Nelia Calvigioni e Paolo Cartechini che, pur portando lo stesso cognome di uno dei due coniugi, non era loro parente ma un semplice conoscente. Hanno accompagnato Bruno e Palma all’ingresso, fianco a fianco, nella navata centrale della chiesa fino ad arrivare ai piedi dell’altare. Hanno fatto lo stesso uscendo dall’edificio per poi prendere la strada del cimitero comunale.
Una funzione breve, avvolta in un silenzio cupo, rotto solo dal pianto della figlia Stefania. Una cupezza a cui proprio don Fabio Moretti ha cercato di dare una forma nella sua omelia.
«La nostra comunità è stata toccata da questo evento così forte e in questi giorni sta facendo fatica a leggere nella fede un fatto del genere – ha detto don Fabio Moretti – ho ancora in mente la messa pasquale delle 10,30, nella quale celebravamo con gioia l’affermarsi con forza della resurrezione di Gesù e poco dopo abbiamo appreso la notizia dell’accaduto. Purtroppo le feste spesso acuiscono certe situazioni, certe mancanze, certe difficoltà. Alla nostra comunità non viene chiesto un giudizio sull’accaduto, ma un sentimento di umanità e di comprensione. Quello che sfugge alla nostra razionalità ci fa istintivamente paura, per cui abbiamo la necessità di creare una cornice entro la quale inserire ciò. Anche fatti di sangue come questo possono trovare posto dentro la grande cornice della misericordia di Dio. La malattia logora dentro, consuma, a volte ci porta a chiuderci anche se abbiamo persone intorno a noi che ci vogliono bene. Non c’è un’oggettiva solitudine, eppure sentiamo la solitudine pervaderci spingendoci a chiuderci sempre di più. E a volte, come in questo caso, porta a gesti estremi. Ma dobbiamo anche ricordare la bellezza della vita, che va celebrata e rispettata sempre. E quando la vita viene minacciata dalla malattia, ancora di più la comunità deve stringersi intorno ai suoi membri».
Nelia Calvigioni e Giuliana Giampaoli
L’ex sindaco Paolo Cartechini
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Certe situazioni devono fare riflettere no giudicare
Spesso i familiari sono lasciati soli ,quando votiamo ricordiamoci invece di favorire le banche cerchiamo di favorire i malati e le situazioni come questa.Basta abbassare le tasse chi ha di più che dia di più dopotutto può capitare anche alla nostra famihlia
infatti certe situazioni si comprendono solo dall'interno e ce ne sono molte. Riposate in pace
Stare vicino una persona malata ci vuole un coraggio più di essere malati.
Sicuramente non sta a noi giudicare, solo tanta tanta misericordia
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Forse non sarebbe finita così se si avesse la possibilità del fine vita senza tanti orpelli per accedervi….quando si vive con malattie irrisolvibili, dolorose che necessitano constantemente di assistenza si può facilmente deragliare, non dimentichiamo che il marito data l’ età anche lui aveva bisogno di supporto sicuramente psicologico…..R.I.P.
Anche in questa occasione, con la sua omelia, don Fabio ha espresso parole di conforto, non di giudizio. Ricordando, però, che la vita deve essere sempre rispettata.
Molti di noi si sono chiesti come ci saremmo comportati di fronte ad una situazione simile. Oppure, quando una persona cara, con un dolore fisico insopportabile, ci chiede di ucciderla… Parlo di una situazione realmente avvenuta. Dove, però, nessuno ha ucciso… Siamo contro l’accanimento terapeutico, ma con quali limiti? Quando una dose di morfina non serve più, simo pronti a dare una dose maggiore, che forse uccide?
Ancora non mi abbandona il pensiero di quella figlia, e di suo marito, che si sono trovato di fronte al fatto compiuto… Una prova tremenda di fronte alla visione spaventosa… Al funerale rari momenti di pianto dignitoso. Sappiamo che figlia e genero si erano trasferiti nella casa paterna per gestire la situazione. Si poteva e si doveva fare di più, come da diverse parti si è detto? Ma Palma e Bruno non erano stati abbandonati. Di abbandonati ce ne sono molti in giro. Molti, circondati da alte mura di solitudine. Lo Stato, gli enti assistenziali hanno le loro colpe. Ma questa società che abbiamo resa frenetica e disumana ha pure le sue colpe. Allora, che fare? Alcune persone sanno affrontare situazioni estreme. Altre diventano psicotiche. Altre ancora apatiche.
La religione ci viene ancora in soccorso? Il Cristo, tra gli spasimi atroci della Croce, ci viene ancora in soccorso nei nostri momenti estremi? Ci sarà nostra Madre “nell’ora della nostra morte?” Ma chi ha solo il buio davanti come affronta il suo momento estremo?
C’è chi è morto molte volte, e non teme il dopo che ha già vissuto… Quando, però, l’affronta di nuovo è come se fosse la prima volta…