La famiglia Volterra con il sindaco Matteo Pompei e i nipoti, consorti e pro-nipoti di Quirino Stortini e Sperandia Azzurri
Famiglia ebraica di Ancona si rifugia a Monte San Martino durante l’occupazione nazista nella Seconda Guerra Mondiale e dopo il conflitto emigra in Israele. I discendenti, oggi, tornano nel piccolo paesino dell’entroterra maceratese in segno di riconoscenza verso chi salvò la vita dei loro parenti. Ad accoglierli il sindaco Matteo Pompei e i nipoti e pro-nipoti di Quirino Stortini e Sperandia Azzurri (unici “Giusti tra le nazioni” riconosciuti dallo Stato israelino nella provincia di Macerata), ovvero coloro i quali diedero ospitalità alla famiglia ebraica dei Volterra.
Quirino Stortini e Sperandia Azzurri
LA STORIA – I Volterra sono una importante famiglia della comunità ebraica di Ancona. Virgilio, il papà, commerciava in tessuti. La mamma Gina Costantini discende dalla famosa famiglia ebraica dei Luzzato. Il primogenito porta il nome del pro-zio, Vito Volterra, il più grande matematico italiano degli anni Trenta, costretto ad abbandonare la vita accademica dalle leggi razziali del 1938. Completano la famiglia Viviana e il piccolo Vittorio. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, con l’esercito nazista alle porte di Ancona, Virgilio sceglie Monte San Martino come rifugio. Conosceva già quel piccolo paese in collina dove si recava per vendere i suoi tessuti all’amico Quirino Stortini. Quirino e Sperandia li ospitano segretamente mettendo loro a disposizione alcuni locali della loro casa, adattati per l’occasione. I coniugi Stortini possiedono un emporio dove si trova di tutto: generi alimentari, ferramenta e tessuti. Quirino è un uomo mite e generoso, Sperandia è una donna forte, di fisico e di carattere.
Il fronte della guerra avanza, si combatte sulla linea Gustav, dall’Abruzzo a Montecassino. Le retate della milizia e dei soldati tedeschi si fanno più frequenti. Ad ogni incursione i Volterra si rifugiano in cantina in un piccolo ambiente nascosto da una gran quantità di legna. Finalmente, dopo nove lunghi mesi di sofferenze e di paure, il 10 giugno 1944 le truppe scozzesi entrano a Monte San Martino. Vito va loro incontro come membro del Comitato di liberazione cittadino.
Nel 1948 i Volterra emigrano nel neonato stato di Israele. Vito, che durante la permanenza a Monte San Martino realizzerà, con mezzo secolo di anticipo, uno studio sul Parco dei Sibillini, diverrà uno dei più importanti studiosi di architettura sacra d’Israele. Viviana trascorrerà tutta la sua vita nel suo amato kibbuz. Vittorio, trasferitosi negli Stati Uniti, sfiorerà più volte il Premio Nobel per la Fisica.
Per sessant’anni nessuno di loro farà più ritorno in Italia, loro casa per oltre cinque secoli. Ai loro figli niente racconteranno di quella patria che li aveva prima umiliati, poi scacciati e perseguitati per motivi razziali.
Questo fino ad un giorno dell’estate del 2004 quando le due famiglie si incontrano di nuovo. Viviana con le figlie Ana e Hava riabbracciano a Monte San Martino le figlie di Quirino e Sperandia: Tommasina e Maria Pia. Le sorelle Stortini vengono contattate l’anno successivo dall’istituto “Yad Vashem”, che chiedeva documentazione sull’accaduto. Una commissione, guidata dalla suprema corte israeliana, ha valutato i fatti di Monte San Martino e ha concesso a Quirino Stortini e a sua moglie Sperandia Azzurri l’onorificenza alla memoria di “Giusti tra le Nazioni”.
L’inattesa comunicazione nel 2006. La cerimonia di consegna si svolge il 14 novembre 2006 nella sede della Provincia di Macerata, dove il consigliere dell’ambasciata di Israele in Italia, Rami Hatan, incontra le figlie superstiti Maria Pia e Tommasina.
Chi viene riconosciuto “Giusto tra le Nazioni” viene insignito di una speciale medaglia con inciso il suo nome, riceve un certificato d’onore e il privilegio di vedere il proprio nome aggiunto agli altri presenti nel “Giardino dei Giusti” nel museo “Yad Vashem” a Gerusalemme. Inoltre, ad ogni “Giusto tra le Nazioni” viene dedicata la piantumazione di un albero, poiché nella tradizione ebraica mettere a dimora un albero per una persona cara ne indica il desiderio di ricordo eterno.
OGGI – Il tempo ha portato via tutti i protagonisti diretti di questa storia. L’ultima è stata proprio Maria Pia, circa dieci giorni fa, appena una settimana prima del ritorno della famiglia di Viviana Volterra, della figlia Ana, di suo marito Ovadia, di suo figlio e tre dei dieci nipoti. Una lettera di Ana saluta la famiglia Stortini: «Per merito vostro oggi la nostra famiglia conta più di 50 persone. Siamo qui perché in punto di morte a mia mamma ho promesso che l’amicizia e la riconoscenza per gli Stortini durerà per generazioni e che avrei portato i nostri pronipoti a conoscere i vostri pronipoti. In Italia sento il profumo di mia madre».
I Volterra, per l’intera permanenza a Monte San Martino, hanno alloggiato a casa Stortini, proprio nella casa che ha ospitato i loro avi. «Nonostante il lungo viaggio, non sarà facile prendere sonno questa notte, sapendo che qui sotto la mia famiglia ha trovato salvezza». I Volterra hanno chiesto di recarsi al cimitero dove hanno deposto una pietra sulle tombe dei loro cari amici. Il sindaco Matteo Pompei li ha accolti nella sede comunale e con loro ha scambiato i benvenuti di rito e racconti di storie della loro vita e della loro famiglia.
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Invece di 34 commenti per le candidature del PD, mi sarebbe piaciuto vederne almeno la metà per questo articolo. Comunque sia, le maggioranze sono sempre (spero) “silenziose”.
Massimo Sileoni, non confondiamo le acque. Non perdiamo la speranza che i nuovi del PD siano migliori dei precedenti, per nulla paragonabili al Compagni del PCI, di cui molti combatterono in Spagna e nella Resistenza, nel Gruppo Bande Nicolò, come i Compagni Mario Pìanesi, mandato al confino, e il diciassettenne di allora Lucio Monachesi. Che ricordo sempre con commozione, come il Comandante Augusto Pantanetti. Anche essi sono la mia forza arriva alla fine della mia vita…
La storia di Monte San Martino mi riempie di commozione. Mentre italiani partecipavano ai rastrellamenti di Ebrei, anzi c’era chi li vendeva, altri Italiani li nascondevano col rischio della loro vita. Le leggi razziali di Mussolini, ormai lacchè di Hitler, furono una vergogna, per le quali egli pagò con la vita. Oltre che per altri misfatti. Pure se dovremmo riconoscergli alcuni fatti positivi.
Ma qui mi piace ricordare un mio concittadino – fascista e podestà di Corridonia – che salvò la famiglia ebrea Sinigaglia, nascondendola nel suo palazzo di Corridonia, in piazzale Col del Rosso, in un appartamento, attiguo a dove abitava la sua famiglia, la cui entrata era stata camuffata da un armadio. I viveri venivano passati da finestra a finestra, di notte. Il nome del “giusto”? Giuseppe Bartolazzi, Nobile, tra gli avi aveva il santo prevosto don Pietro Paolo Bartolazzi, che anticipò con le sue opere sociali per il popolo povero, ciò che fece poi il socialismo.
Chiedo a Giorgio Quintili e a Modestino Cacciurri, ultimi storici di Corridonia, di intervistare i figli di sor Peppe Bartolazzi, come lo chiamavamo, perchè nella storia di Corridonia, già Montolmo, rimanga scritta la sua umanità nel difendere la vita degli ebrei Sinigaglia, rischiando la propria. Che Dio lo benedica.