Alessandro Gori, “Lo Sgargabonzi”, così come apparso nella seconda stagione di “Una pezza di Lundini”
di Leonardo Giorgi
La sua voce e i suoi testi lo hanno portato ad essere definito da Internazionale il “miglior scrittore comico d’Italia”. Il suo volto è invece sconosciuto, la sua vita privata un mistero. Dice di avere un rapporto «umbratile e pirandelliano con la verità», tranne quando si parla dei suoi idoli, da Alfredo Cerruti degli Squallor a Liam Gallagher degli Oasis. Sappiamo però per certo che si chiama Alessandro Gori, che è conosciuto dal pubblico con il soprannome Lo Sgargabonzi e che domenica 27 alle 22 sarà al Circolo Dong di Piediripa (piazzale Mercurio), a Macerata. Lo spettacolo sarà aperto, alle 21, da Stefano Raspini con Crepa poeta. Trascinato dal successo dello show cult di Rai 2 Una pezza di Lundini, (dove, tra le altre cose, ha curato le “schede di presentazione” dei vari ospiti del programma) e dal precedente libro Jocelyn uccide ancora, Alessandro è stato intervistato da Cronache Maceratesi. Una chiacchierata sui temi più disparati, in attesa della sua prossima e imminente fatica letteraria (in uscita l’8 marzo), che si chiamerà come lo spettacolo in arrivo al Dong di Macerata: Confessioni di una coppia scambista al figlio morente.
Ciao Alessandro, come stai?
«Bene. Sto rientrando da Monte Carlo».
Domenica sarai a Macerata con Confessioni di una coppia scambista al figlio morente. Hai avuto modo di conoscere artisti e altri stand up comedian del territorio? Penso per esempio a Giorgio Montanini.
«Non ho mai conosciuto Montanini di persona. L’ho visto ne I Predatori, l’ho trovato bravissimo e mi ha emozionato molto. E I Predatori stesso è un film perfetto, per me il più bel film italiano dai tempi de L’Imbalsamatore di Garrone. Per il resto non seguo quasi per niente la stand up. Un minimo quella nostrana perché ci inciampo, zero quella estera, anche se purtroppo ho i neuroni occupati dai soliti nomi perché tutti quelli che seguono Louis C.K. o Bill Hicks devono farti una testa così se no si sentono in colpa.»
Alessandro Gori ospite di Battute su Rai 2
Un autore come te, quasi quotidianamente impegnato a scrivere materiale per la propria pagina social o per altri giornali, che metodo utilizza per scrivere invece uno spettacolo dal vivo, sicuramente diverso per modalità di fruizione, tempi e quant’altro?
«Scrivere un libro o allestire uno spettacolo in cui interpreto i miei monologhi non è troppo diverso. Invece ci tengo a dire che della pagina Facebook non me ne è mai fregato niente. Sono appunti, tracce, ghirigori che faccio per trastullarmi, come uno che scarabocchia su un blocconote mentre sta al telefono con Marcello Dell’Utri. Mi fa sempre girare i maroni il fatto di essere conosciuto e valutato più per quella pagina maledetta che per il resto, che è quello che realmente m’interessa, che mi rappresenta e che curo con un perfezionismo di stampo kubrickiano».
Nella tua scrittura fai riferimenti continui a frammenti di cultura pop, dal palinsesto della tv anni Ottanta al Mostro di Firenze (appunto non come evento tragico in sé, ma come evento “popolare”). È qualcosa di voluto oppure sono riferimenti che compaiono automaticamente mentre scrivi?
«Non forzo mai le cose, ma mi piace assecondare il flusso. Quei feticci pop sono le piastrelle che rivestono i miei meandri. Ogni tanto (anzi molto spesso) qualcuna si stacca e affiora nelle storie che racconto».
Jocelyn uccide ancora di Alessandro Gori
Cosa ti fa ridere?
«Una psicologia seducente e magnetica dell’Io narrante. Delle battute m’interessa pochissimo, della riflessione ancora meno. M’interessa quello che c’è intorno e in filigrana: l’astratto, l’esoterico, l’indescrivibile. E mi affascina più quello che mi sfugge rispetto a quello che capisco, che contengo e che mi sazia. Credo non ci sia sentimento più sterile della sazietà».
Nell’ultima stagione di Una pezza di Lundini hai evocato la presenza di David Bowie tramite un rito di magia nera, il quale tra il serio e il faceto ha rivelato la sua passione per i Coma Cose. Se potessi parlare con un personaggio storico non più in vita, chi ti piacerebbe contattare?
«Non ho dubbi: Alfredo Cerruti degli Squallor, la mia cometa comica e umana. Non ho purtroppo avuto la possibilità di conoscerlo, eppure le ho provate tutte ma non sono riuscito mai a stanarlo da casa sua nemmeno parlandoci. Non è servito nemmeno dedicargli il mio terzo libro. Un altro che avrei voluto conoscere meglio è anche Carlo Peroni, un fumettista geniale, unico e che andrebbe riscoperto. Nel 2007 installai Facebook solo per poterci parlare. Trovai un ottantenne curiosissimo, ciarliero e totalmente inconsapevole del suo genio. Te ne dico un terzo: Franco Califano».
Negli ultimi tempi, dalla tua pagina Facebook, hai iniziato il movimento dei “cinabropillati”, hai riflettuto sul rapporto tra erotismo e pornografia, hai parlato della tua presunta moglie Stefania di 50 anni, hai prodotto invettive contro gli hater, le “tipe-crush” e molto altro. C’è un argomento in cui peró non riesci a non dire l’assoluta verità: Liam Gallagher. È uno dei tuoi artisti preferiti?
«Assolutamente sì. Gli Oasis sono sempre stati la mia passione, a mani basse il mio gruppo preferito di sempre. Anche se devo ammettere che sono sempre stato più dalla parte di Noel che di Liam. Ma l’ultimo album di Liam solista (Why Me? Why Not) mi ha sconvolto. Uno dei dischi che più ho amato di sempre. Sto aspettando con trepidazione il suo nuovo album, che esce a maggio».
Terzultima domanda collegata a quella di prima. Mark Twain diceva che la menzogna era virtù, ricreazione, conforto, amica immortale dell’uomo. Nel tuo caso “la menzogna” è anche un modo per mantenere separato, per quanto possibile, il tuo lavoro dalla tua vita privata?
«Sono molto geloso della mia vita privata. Mi dà noia la troppa confidenza e quest’invadenza imperante, perfettamente assorbita e spacciata per una cosa normale e financo ragionevole. Oggi se non metti la tua vita in piazza, se non ti fai fotografare, se non ti rendi disponibile, se non rispondi alle domande che ti fanno devi sentirti in colpa e giustificarti. Io invece sono un fondamentalista del contrario. Sono laureato in Psicologia Clinica, non ho mai esercitato anche perché fermerei ogni paziente che mi dicesse: “Guardi dottore, le voglio raccontare una cosa che non ho mai detto a nessuno”. Come il miglior Morelli, penso che i grandi uomini e le grandi donne sono quelli che muoiono con i propri segreti. Detto questo, ho un rapporto umbratile e pirandelliano con la “verità”. Non la trovo affatto un valore assoluto, anzi».
Cosa bolle in pentola?
«Un maestoso e misterioso libro con lo stesso titolo del nuovo spettacolo, Confessioni di una coppia scambista al figlio morente. Esce l’8 marzo, il giorno della festa della donna. Curiosa scelta per un’opera grondante patriarcato accelerazionista, sovranismo tossico, maschi CISL, manspreading nei pulmini della Bofrost e percolato».
Ultima domanda. Un aforisma che ti ispira ad essere quello che sei?
“Con me muore lo Stato di diritto” (Alexia).
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