Opere d’arte sottratte dalle macerie lasciate in magazzino e ancora imballate come due anni fa. Ma anche affreschi a rischio, organi storici in chiese inagibili e patrimoni librari che non trovano sistemazione. A due anni dal terremoto, nelle Marche, «è ancora in corso una vera e propria emergenza sul loro stato di conservazione». Parola di Legambiente che per voce della presidente regionale Francesca Pulcini, punta il dito contro un mancato coordinamento sui beni culturali delle aree terremotate. «Aspettiamo ancora un piano concreto di messa in sicurezza, di gestione dei beni recuperati e una prospettiva per la loro fruibilità futura – dice Pulcini -. È giunto il momento di pensare e ragionare, insieme alla comunità e a tutti i portatori di interesse, su quella che sarà la nuova geografia dei beni culturali in questa regione e di disegnare uno scenario di nuovi edifici e contenitori in cui mettere in mostra le opere, che già ora sono in condizione di essere esposte, che veda il coinvolgimento delle comunità locali. Ciò significherebbe dare una prospettiva forte e concreta per costruire piani di promozione turistica e punti di riferimento per la cittadinanza colpita».
Francesca Pulcini
Legambiente presenta la relazione di luglio dell’Unità di crisi regionale, riguardante i beni artistici. «Sono 13.211 i beni mobili complessivamente recuperati, solo 1.563 si trovano in due depositi gestiti dal Mibact – spiega l’associazione -. Uno è quello della Mole Vanvitelliana di Ancona e ospita 1.423 beni, l’altro è il Forte Malatesta di Ascoli di proprietà del Demanio, dato in concessione al Comune, sede del Museo Civico che ai piani inferiori ospita i restanti 140 beni. Gli altri 11.648 sono in luoghi di ricovero dispersi: tre depositi nella diocesi di Camerino, due depositi nella diocesi di Ascoli, uno nella diocesi di Fermo, un deposito nel comune di Amandola, uno nell’Istituto Campana a Osimo. Altri addirittura si trovano attualmente in “luoghi di ricovero temporaneo”, come “conventi annessi alle chiese danneggiate”, siti non tutti adeguatamente attrezzati per garantire la sicurezza ai beni salvati. Nella relazione, inoltre, riguardo il deposito della Mole di Ancona, è specificato che solo per una parte delle opere, quelle in condizioni più “gravi”, si è provveduto a sostituire gli imballi di prima emergenza e sono state oggetto di un pronto intervento in attesa del restauro definitivo». In tutto ciò, dal 2015, l’Unità di crisi delle Marche si è attivata per cercare un luogo da destinare a deposito dei beni recuperati da eventi calamitosi di proprietà statale-demaniale ma, nonostante gli ultimi solleciti di marzo, non ha ancora ricevuto risposte.
Molte, secondo Pulcini, le falle nella gestione dell’emergenza del recupero del patrimonio culturale. Oltre a mancato coordinamento e sopralluoghi doppione, «l’azione svolta dal mondo del volontariato è stata contrastata e bloccata per molti mesi, mentre le opere rimanevano sotto macerie e neve – spiega la presidente -. Ci preme ricordare al ministro Bonisoli che le Marche sono ancora in emergenza e ci aspettiamo un suo deciso interessamento, perché una buona parte del patrimonio culturale marchigiano aspetta ancora di essere messo in sicurezza». Infine la relazione dell’Unità di crisi evidenzia che «a causa della mancata individuazione del deposito, non è possibile esaudire le richieste di trasferimento di fondi archivistici e librari per permettere gli interventi sugli edifici, provocando ulteriori ritardi nella ricostruzione. Mancano spazi adeguati per ricoverare i numerosi organi storici che giacciono nelle chiese danneggiate e numerosi sono gli affreschi su cui intervenire con velinature o con la raccolta dei frammenti dalle macerie».
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