L’addio a Carlo Vittori,
storico allenatore di Mennea

Figura di spicco dell'atletica italiana, è morto ad Ascoli a 84 anni. Un mese fa è stato l'ospite d'onore del Panathlon Macerata (IL VIDEO)

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L'intervista a Carlo Vittori, ospite del Panathon club di Macerata lo scorso 21 novembre

 

(In alto il video con la premiazione del Panathlon Macerata a Carlo Vittori lo scorso 21 novembre)

Carlo Vittorio durante la premiazione del Panathlon Macerata dello scorso 21 novembre

Carlo Vittori durante la premiazione del Panathlon Macerata dello scorso 21 novembre

 

Ascoli Piceno dice addio oggi a Carlo Vittori, lo storico allenatore di Pietro Mennea. Il tecnico, figura di spicco dell’atletica italiana, è morto il 23 dicembre a 84 anni ad Ascoli, dove era nato.

L’ultima apparizione pubblica di Vittori risale al 30 novembre, al Coni per ricevere il 1/o Premio del concorso letterario.  Pochi giorni prima, il 21 novembre, Carlo Vittori era stato premiato dal Panathlon Club Macerata. “L’atletica italiana distrutta da dirigenti buoni a nulla”, fu l’amaro commento del decano dei tecnici azzurri (leggi l’articolo). “Non ci sono gli uomini adatti per motivare i giovani, purtroppo – aggiunse –  Ho iniziato a 6 anni seguendo i miei fratelli al campo, per questo la mia amarezza è grande”. 

Carlo Vittori premiato da Roberto Toninel, presidente del Panathlon Club Macerata

Carlo Vittori premiato da Roberto Toninel, presidente del Panathlon Club Macerata

 La figura di Vittori è legata indissolubilmente a quella di Pietro Mennea, scomparso due anni e mezzo fa. Insieme hanno dato lustro all’atletica italiana. Si erano conosciuti nel 1970 e il loro sodalizio portò a vittorie e record diventati leggendari. “Di Pietro – disse – ho un ricordo lungo una vita. Lo vidi correre per la prima volta ai campionati italiani giovanili, sulla pista di Ascoli Piceno, nel 1968, nei 300 metri: lì capii che era un talento naturale, una forza della natura. Lo conobbi nel 1970, quando il suo allenatore Mascolo lo portò a Formia. Le doti che gli riconosco sono l’impegno e la testardaggine: era davvero un martello pneumatico. Un esempio? Se per caso arrivavo con 5′ di ritardo all’allenamento, si faceva trovare con il dito indice che batteva sull’orologio. E questo accadeva anche dopo nove o 10 anni di attività”. Nemico giurato del doping, per Vittori, che il 23 novembre scorso era a Formia per le celebrazioni del 60/mo anniversario del centro di preparazione olimpica della cittadina pontina, non c’era bisogno di assistere all’ultima bufera doping per scoprire che ”l’atletica italiana era finita. Gia’ a Pechino non abbiamo raggiunto alcun risultato di rilievo – aveva spiegato – Non so perche’ si tratti l’atletica cosi’. E’ – aveva concluso amaramente il ‘padre’ dei grandi successi di Mennea – l’unica disciplina sportiva capace di riempire gli stadi per 8-9 giorni quando ci sono le Olimpiadi ed invece e’ trattata con le pezze ai piedi”.

Nato ad Ascoli Piceno il 10 marzo del 1931, si era affermato in gioventù come sprinter, arrivando a vestire la maglia azzurra per otto volte, tra il 1951 e il 1954 (nel 1952, anche la partecipazione ai Giochi di Helsinki); ma solo successivamente, a bordo pista, nel ruolo di allenatore, il professore contribuì a scrivere pagine memorabili per la velocità italiana. L’approccio metodologico innovativo, il rigore applicativo, avevano bisogno di un interprete: il cerchio si chiuse all’inizio degli anni ’70, quando Vittori prese in mano il talento di Pietro Mennea, elevandolo all’ennesima potenza sportiva. Tanto crebbe Mennea sotto la guida di Vittori, tanto crebbe il prof nella sua conoscenza della materia, in un’evoluzione che rese entrambi pilastri di una vera e propria scuola italiana della velocità internazionalmente riconosciuta. Fu l’età dell’oro della velocità italiana culminata, al di là degli straordinari successi di Pietro nella medaglia d’argento mondiale della staffetta 4×100 a Helsinki 1983, con il quartetto azzurro (Tilli, Simionato, Pavoni, Mennea) subito dietro gli sprinter Usa e davanti i russi. Per quei successi L’atletica italiana gli aveva conferito solo poche settimane fa la sua onorificenza più alta, la Quercia al merito di III grado.



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