di Donatella Donati
Oggi 6 novembre in molti cinema italiani e stranieri sarà proiettato il film di Ermanno Olmi “Torneranno i prati” dedicato all’inverno di guerra tra il 1916-1917 sull’altopiano di Asiago. Ermanno Olmi nella tragedia di quell’anno avrà sicuramente fatto entrare il mite chiarore della poesia. Nel 2007 a Recanati ha ricevuto il premio Leopardi “una vita per la poesia nel cinema” proprio perché non è mai mancata nella sua regia l’emozione poetica. Nei giorni del premio, era la fine di giugno, venne insieme con la moglie a visitare il Centro nazionale di studi leopardiani e io lo condussi attraverso l’orto-giardino del Santo Stefano fino al punto dove si crede fosse la famosissima siepe al di là della quale Giacomo Leopardi aveva immaginato interminati spazi e infiniti silenzi. Entrambi rimasero molto colpiti dal paesaggio che si coglie al di là di quella poetica siepe, tutto l’arco degli Appennini fino al Gran Sasso; era una giornata molto limpida con il distendersi delle colline in modo quasi delicato e la pianura attraversata dal fiume Potenza, “e chiaro nella valle il fiume appare”.
Questa aderenza tra paesaggio e poesia, un modo nuovissimo e realistico da parte di Leopardi di vedere la natura che lo circonda mi spinse a chiedere a Olmi se avesse mai pensato a un film su Leopardi. Mi rispose che vari registi lo avevano già tentato ma la materia della poesia è troppo alta per essere rappresentata in immagini. La coppia era signorile e riservata ma accettò di essere fotografata proprio nel punto del colle che è l’osservatorio privilegiato di quel magnifico paesaggio. Pubblico ora questa foto che ho conservato con molta discrezione perché penso che sia il momento giusto per mostrare il confronto di Olmi con la poesia e con l’affetto familiare.
In questi giorni ho avuto tra le mani, riportato sul computer da un insieme aggrovigliato di fogli scritti con il lapis copiativo, il diario di un anno sull’altopiano di un recanatese Guglielmo Capodaglio chiamato alle armi a trent’anni dotato di buone capacità di scrittura e di sintesi, che ha raccontato l’anno più terribile trascorso dai soldati italiani prima della ritirata di Caporetto, costretti dagli ordini del generale Cadorna che non lasciavano spazio ad altre soluzioni che a quella di morire: “Cadorna ha telegrafato a tutte le truppe di questo settore che il nemico non deve prendere la pianura, egli esige da tutti l’ultimo il massimo sforzo”. Durante quell’ultimo sforzo perse la vita il loro capitano sempre il primo ad esporsi :”le grida dei soldati mi fecero comprendere che qualche cosa di tremendo era accaduto. Infatti una granata nemica caduta in batteria aveva preso in pieno il nostro capitano e ferito diversi soldati. Qualcosa di tremendo doveva accadere dopo aver resistito per quattro giorni consecutivi al fuoco incrociato di numerose batterie nemiche. Povero capitano, così buono, affettuoso ed energico, ti si è comandato di sacrificarti, e tu senza esitare col sorriso sulle labbra che anche da morto hai conservato, hai ubbidito.” Penso che il film di Olmi avrà successo pur nella tristezza della rievocazione perché aggiunge alla voce di altri, come quella di Emilio Lussu che hanno raccontato la violenza di quegli anni di guerra e l’ecatombe che ne è derivata, immagini di poesia.
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati