Nell’ottobre dell’anno scorso questo giornale si rese promotore di un pubblico dibattito presso la Camera di commercio a proposito di un tema che allora era di grande attualità: il decreto del Governo Monti sulla riduzione delle Province da ottantasei a cinquantuno e la conseguente abolizione della nostra. Ho detto dibattito ma in realtà fu un plebiscito, perché tutti gli esponenti istituzionali e di partito che vi parteciparono furono d’accordo nel sostenere le ragioni storiche, culturali, economiche e sociali in virtù delle quali la Provincia di Macerata aveva il sacrosanto diritto di salvarsi (e immagino che la stessa unanimità in difesa di Ascoli o Fermo ci sarebbe stata se un’analoga iniziativa avesse avuto luogo ad Ascoli o a Fermo). In quell’occasione saltò fuori un’unica voce difforme: quella, via telefono, dell’autorevole giurista Piero Alberto Capotosti, già presidente della Corte costituzionale: attenzione, signori, la linea per cui ognuna delle trentacinque Province a rischio di soppressione faccia leva sui propri pur validi ma particolari punti di forza è destinata al fallimento e molto più fondata sarebbe invece una linea comune, su scala nazionale, che eccepisse l’incostituzionalità di quel decreto.
Ebbene, otto mesi dopo la Consulta gli ha dato ragione: non si può metter le mani della “spending review” sulle Province col sistema delle soppressioni e degli accorpamenti se prima non si vara una legge di revisione dei sei articoli della Costituzione nei quali si parla, appunto, di Province (il più importante è il 114: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”). E il premier Letta ne ha preso atto annunciando che sarà percorsa la via indicata dall’articolo 138 sulle revisioni costituzionali: due successive deliberazioni di ciascun ramo del Parlamento a intervallo non minore di tre mesi l’una dall’altra e approvate a maggioranza assoluta nella seconda votazione, con l’eventualità, se la maggioranza non raggiunge i due terzi, che si debba ricorrere a un referendum. Dopodiché, tolta di mezzo la parola “Province”, la strada verso la creazione di enti intermedi (non elettivi, non sospetti di “casta politica”) fra Regioni e Comuni potrà avvalersi di una dialettica che tenga conto delle varie esigenze territoriali. Strada complicata? Abbastanza. E, soprattutto, lunga. Per conoscere il suo destino, dunque, la provincia di Macerata (e le altre, tutte con la lettera minuscola, tutte da riferire ad affinità di carattere territoriale) dovrà attendere un anno, probabilmente di più, o magari in eterno.
Non sono ancora note le motivazioni del pronunciamento della Corte costituzionale né oso sostituirmi – sarebbe assurdo – al professor Capotosti nel valutare i molteplici aspetti giuridici della questione, ma mi auguro che lungo il nuovo percorso vengano abbandonati i parametri del decreto di Monti (almeno 2.500 chilometri quadrati di territorio e almeno 350.000 abitanti), parametri di cui torno a sottolineare la farraginosa astrattezza ragionieristica e la sostanziale iniquità socioeconomica. Per quanto riguarda casa nostra, infatti, basti pensare che essi avrebbero imposto l’abolizione sia della Provincia di Macerata (in regola per il territorio ma con un deficit di 30 mila abitanti), sia di quella di Fermo (fortemente in deficit su entrambi i parametri), sia di quella di Ascoli (in deficit sui chilometri), sia di un’eventuale fusione fra Ascoli e Fermo (anch’essa in deficit sui chilometri). E allora? Unica soluzione: il ventilato Distretto Marche Sud con dentro Macerata, Fermo e Ascoli, un “mostro” di cinquemila chilometri quadrati e 670 mila abitanti, a capoluogo del quale i ragionieri montiani avevano in mente la “baricentrica” Fermo.
Tornando all’autunno dello scorso anno, si ricorderanno le polemiche, le manovre, le proposte e i rispettivi calcoli elettorali che animarono i rapporti fra Macerata, Ascoli e Fermo, col vacillante possibilismo di una Regione nella quale per ragioni di peso politico prevalgono gli interessi di Ancona e Pesaro, e il resto, dal Musone al Tronto, si arrangi come può. Ciascuna di queste tre Province “meridionali” sbandierava il proprio diritto a salvarsi e quasi ogni giorno c’era qualcuno che escogitava operazioni aritmetiche su chilometri e abitanti apparentemente destinate a rispettare quei parametri e ad accontentare tutti (ma non era vero, giacché ci voleva poco a capire verso quale mulino tirava l’acqua chi di volta in volta se ne faceva paladino, e non si dimentichi la misteriosa trasferta nell’allora Bar Pierino del senatore ascolano Amedeo Ciccanti che esibendo carte geografiche e dati demografici tentò di sedurre i maceratesi con fantasmagoriche ipotesi di annessioni o concessioni di terre e migrazioni o immigrazioni di persone, ma in realtà il suo scopo puntava a proteggere il proprio consenso elettorale). E adesso? La questione non può che diventare nazionale e non può che cambiare da tecnica a politica: stabilire quanti e quali saranno gli indispensabili enti intermedi – non elettivi, ripeto – fra Regioni e Comuni, e con quante e quali competenze amministrative. Non mancheranno discussioni e magari polemiche, ma l’asticella si è alzata e dovrebbe prevalere l’interesse generale.
Da ultimo ammetto che anch’io, in quei mesi caldi, mi battei per Macerata. E forse esagerai, magari con un pizzico di campanilismo. Ma pensavo soprattutto alle sorti del centro storico della città, che aveva già perduto la sede della Banca d’Italia e quella della ex Cassa di Risparmio, e se, come sembrava, avesse finito col perdere pure le sedi della Prefettura, della Questura e dell’Amministrazione provinciale, avrebbe compiuto un fatale passo indietro anche in termini occupazionali, con tanti saluti a qualsiasi progetto di sostegno e rilancio della sua anima urbana. La questione, intendiamoci, resta aperta. Ma torna la speranza che alle alchimie ragionieristiche dei tecnici possa sostituirsi la politica, intesa come buona politica. Staremo a vedere.
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Con il senno dell’oggi si può anche sostenere che quella del Presidente Pettinari sia una buona Amministrazione; un ente che, seppur martoriato dai tagli (necessari per certi versi), ha trovato una proficua sinergia con il Sindaco Carancini.
Se poi ci sarà una riforma, ne prenderemo atto e ci adegueremo ma, come ricordato dall’editorialista, questa vicenda dimostra che i dibattiti intelligenti sono utili.
Caro Giancarlo,
ti sei dato troppa pena per il centro storico di Macerata, abbinandolo (come nella Lotteria di Capodanno) al biglietto vincente della persistenza della provincia. Come puoi registrare agevolmente, la provincia non è ancora morta ma il centro storico è in zona riesumazione. In realtà, risolverne i mali solamente con gli uffici, le macchine e qualche notte bianca, tradisce la mancanza di progettualità (ripopolamento, agevolazioni fiscali per le ristrutturazioni, etc.; come farebbe qualunque buon padre di famiglia che, per portare avanti la baracca, si trovasse a dover rilanciare le azioni del proprio esercizio commerciale di frutta e verdura: oggi le mele a un prezzo stracciato, abbonamento con regalo a chi viene sempre da noi, grandi sconti ai clienti fedeli, etc.). Sposare le notti bianche e le castagnate significa aprire un teatrino per uno spettacolo e richiuderlo al suo termine. Anche i parcheggi, in quest’ottica, servirebbero solamente ai visitatori: invece, nel centro storico, non mancano i visitatori: mancano gli abitanti!
Quanto alle province, io sopprimerei le regioni e farei un organo regionale (non retribuito) costituito dai presidenti delle province, lasciando che i sindaci facciano solo i sindaci. La greppia sarebbe giocoforza ristretta. Ma anche stavolta cambierebbe poco: quella che cerchiamo, un po’ tutti, di allontanare, è invece la consapevolezza di una decadenza inarrestabile, la certezza della fine di una civiltà, di un’epoca. Non siamo alla frutta, caro amico: ormai siamo già all’amaro. Forse è il momento di procurarsi un antiacido. Per la digestione. E non solo.
Io invece, per andare più sul sicuro, chiederei l’annessione dell’Italia alla Francia o alla Germania.
Sinceramente non ho capito bene l’attuale posizione del Dr. Liuti in merito alle Province. Ma poco importa, dato che ad oggi è importante far capire alla gente la realtà e non i singoli giudizi.
Punto numero 1: la precedente riforma. Normale che ci sia stato campanilismo se il potere centrale decide di qualche provincia di chiuderla ed altre di salvarle. Vecchia politica, favoritismi e basta. Ed intanto qualcuno al sud gongolava perchè, con la riparametrazione dei conti e del personale, avrebbe tutelato la propria “casetta”. E poi vi dirò anche il perchè. Bastava dire: le chiudo tutte. Aveva più senso, ma poi avrebbero dovuto dire come facevano a risanare i conti pubblici con questa operazione quando ce ne sono altre di tale rilevanza che, se non si vedono, è perchè si hanno gli occhi accecati.
Punto numero 2: sending review. Dati pubblici, io sono consigliere provinciale e per la mentalità delle persone dovrei essere un nababbo. Conti alla mano, ho preso dalla provincia 2.070 Euro annui, tolte le tasse sono 1.200 nette, 100 euro al mese. Se facciamo i calcoli, in pratica un parlamentare, dico uno, prende in un mese quanto 3 consiglieri provinciali in tutti i 5 anni di mandato. In pratica, un parlamentare in quattro mesi prende come tutto il consiglio provinciale in tutto il mandato dei 5 anni. Perchè non rimodulare il numero di parlamentari? Forse per loro è troppo scomodo votarsi contro i loro privilegi.
Punto numero 3 : Ormai l’orientamento è quello che i soldi vanno al governo centrale e regionale; le province ed i comuni sono diventati enti solo per fare da esattore allo Stato. Macerata ha nelle proprie casse 20 milioni di euro che non può spendere per il patto di “stupidità”, però per fare qualche piccola opera sul patrimonio pubblico, tipo strade e scuole, dobbiamo alzare le imposte sull’auto quando invece potremmo attingere dal conto corrente. Vi sembra giusto? E poi dicono che la colpa è sempre di chi amministra gli enti locali. Ne siete proprio certi? Però questo gruzzoetto faceva comodo a chi doveva ripianare i propri deficit di bilancio, cosa che le amministrazioni maceratesi attuali e precedenti non hanno mai avuto.
Meditate, gente. Meditate
il centro storico maceratese è deprimente
Ora toglieteci anche la residenza…
Liuti ho molta stima di lei ma, essendo ultrasessantenne Le chiedo:”La buona politica in Italia da dove mai potrà venire? Le hanno forse comunicato che tornerà Gesù Cristo?” Cari saluti e tanta stima.
Mi è sfuggito un passaggio caro Liuti, quando sono state abolite le province????
Cmq fare la buona politica con cosa? Coi nostri politici???????