“L’Italia che verrà: Rapporto 2012 sull’Industria culturale in Italia” elaborato da Symbola e Unioncamere con la collaborazione e il sostegno dell’Assessorato alla cultura della Regione Marche presentato a Treia, durante la prima giornata del Seminario estivo della fondazione indica una via italiana per uscire dalla crisi. I risultati, spiegano Symbola e Unioncamere, “smentiscono chi la descrive come un settore non strategico e rivolto al passato, e inquadrano la cultura invece come fattore trainante e di rilancio per molta parte dell’economia italiana, sicuramente una delle leve per ridare ossigeno ad un Paese messo a dura prova dalla perdurante crisi”. Basti guardare la tendenza del quadriennio 2007-2011: la crescita del valore aggiunto delle imprese del settore della cultura è stata dello 0,9% annuo, più del doppio rispetto all’economia italiana nel suo complesso (+0,4% annuo). Dato che si riflette anche sulla caparbia tenuta occupazionale dell’industria culturale, nonostante la crisi: nel medesimo periodo gli occupati nel settore sono cresciuti dello 0,8% annuo, a fronte della flessione dello 0,4% annuo subita a livello complessivo. Ancora: il saldo della bilancia commerciale del sistema produttivo culturale nel 2011 ha registrato un attivo per 20,3 miliardi di euro che ha permesso alla cultura di contribuire alla ripresa, seppur contenuta, del PIL tra il 2010 e la prima parte del 2011. A livello di economia complessiva, invece, la bilancia indicava -24,6 miliardi. L’export di cultura vale oltre 38 miliardi di euro e rappresenta oltre il 10% dell’export complessivo nazionale; l’import è pari a 17,8 miliardi di euro e costituisce il 4,4% del totale. Interessante anche la capacità attrattiva della cultura sul turismo: fatta cento la spesa turistica sul territorio italiano nel 2011, la componente attivata dalle industrie culturali è quantificabile nel 33,6% del totale, equivalente a 23,3 miliardi di euro.
A livello locale la nostra regione, con Pesaro e Urbino al quarto posto e Macerata all’ottavo nella classifica delle migliori dieci province italiane per ricchezza prodotta dalla cultura. è rappresentata più che bene, con 2 province nelle prime 10, nella graduatoria di Fondazione Symbola e Unioncamere della ricchezza prodotta in Italia dalla cultura. Un risultato raggiunto grazie all’intreccio tra bellezza, cultura, innovazione, saperi artigiani e manifattura che ha saputo rilanciare il made in taly e restituire all’economia marchigiana in generale, e a quella di Pesaro Urbino e Macerata in particolare, una prospettiva al di là della crisi. Nella provincia di Pesaro e Urbino, infatti, il valore aggiunto creato dalla cultura è il quarto più alto d’Italia: il 7,9% della ricchezza complessiva del sistema economico locale. In valore assoluto si tratta di oltre 700 milioni di euro. E sempre la cultura impiega quasi 16 mila persone, il 9,5% del totale degli occupati dell’intera provincia. Il contributo maggiore arriva della industrie creative (architettura, comunicazione e branding, design e produzione di stile, artigianato) con circa il 76% del valore aggiunto del settore. Le industrie culturali propriamente dette, invece, contribuiscono con circa il 21,4%, da performing arts e intrattenimento arriva un altro 1,6% e infine dal patrimonio storico-artistico viene lo 0,9%.
Macerata, invece, è l’ottava provincia in classifica e produce il 6,9% della propria ricchezza complessiva grazie alle industrie culturali. In questo territorio la ricchezza prodotta dalla cultura supero i 507 milioni di euro e il settore impiega 11.400 persone, ossia il 7,7% di tutti gli occupati del sistema economico locale. A trainare il valore aggiunto delle industrie culturali a Macerta, come nella provincia di Pesaro e Urbino, sono le industrie creative con circa il 65% del fatturato del settore. Alle industrie culturali propriamente dette si deve invece un sostanzioso contributo del 31,5% circa, fanalino di coda performing arts e intrattenimento e patrimonio storico artistico, rispettivamente con circa il 2,5% e l’1%. Se Pesaro Urbino e Macerata sono le ‘eccellenze culturali’ delle Marche, è tutta la regione ad aver puntato con decisione sulle industrie culturali. Non a caso le Marche si sono classificate al secondo posto anche nella graduatoria che considera l’incidenza dell’occupazione prodotta dalla cultura sul totale degli impiegati dell’economia regionale. Nelle Marche, infatti, il valore aggiunto creato dalla cultura è il secondo più alto d’Italia: il 6,3% della ricchezza complessiva del sistema economico locale. In valore assoluto si tratta di oltre 2,3 miliardi di euro. Una cifra alla quale contribuiscono in modo preponderante l’artigianato, il design e le produzioni di stile, libri e stampa e l’architettura. Nell’insieme la cultura impiega 50 mila persone, il 6,9% del totale degli occupati dell’intera regione. Il contributo maggiore arriva della industrie creative (architettura, comunicazione e branding, design e produzione di stile, artigianato) con circa il 70% del valore aggiunto del settore. Le industrie culturali propriamente dette, invece, contribuiscono con circa il 26%, da performing arts e intrattenimento arriva un altro 3% e infine dal patrimonio storico-artistico viene circa l’1%.
Il cuore della ricerca sta nel non limitare il campo d’osservazione ai settori tradizionali della cultura e dei beni storico-artistici, ma andare a guardare quanto contano cultura e creatività nel complesso delle attività economiche italiane, nei centri di ricerca delle grandi industrie come nelle botteghe artigiane, o negli studi professionali. Attraverso la classificazione in 4 macro settori: industrie culturali, industrie creative (architettura, comunicazione e branding, artigianato, design, made in Italy), patrimonio storico-artistico architettonico, e, infine, performing art e arti visive. Al corpo centrale della ricerca, inoltre, è stata affiancata anche un’indagine su tutta la filiera delle industrie culturali italiane, ovvero quei settori che non svolgono attività culturali, ma che sono altresì attivati dalla cultura. Una filiera articolata e diversificata, della quale fanno parte: attività formative, produzioni agricole tipiche, attività del commercio al dettaglio collegate alle produzioni dell’industria culturale, turismo, trasporti, attività edilizie, attività quali la ricerca e lo sviluppo sperimentale nel campo delle scienze sociali e umanistiche. Allargando lo sguardo alla filiera delle industrie culturali, come anticipato in apertura, il valore aggiunto prodotto dalla cultura cresce dal 5,6 al 15% del totale dell’economia nazionale e lievita anche l’occupazione, il settore allargato infatti impiega ben 4 milioni e mezzo di persone, equivalenti al 18,1% degli occupati a livello nazionale. Monitorato anche il turismo alimentato dalla cultura.
In una classifica per macroaree geografiche, è il Centro a fare la parte del leone con il 6,1% del valore aggiunto. Seguono da vicino e Nord-Ovest, che dall’industria culturale crea il 5,9% della propria ricchezza, e il Nord-Est, che sempre dal settore delle produzioni culturali vede arrivare il 5,5% del valore aggiunto. Il Mezzogiorno fa invece la parte della cenerentola, con appena il 3,8%. Quanto alle Regioni, in testa alla classifica per incidenza del valore aggiunto della cultura sul totale dell’economia c’è il Lazio (6,8%) seguito a stretto giro da Marche, Veneto e Lombardia (tutte e tre le regioni attestate sulla soglia del 6,3%), e quindi dal Piemonte (5,8%). Mentre per il Lazio sono le industrie culturali a fare la parte del leone, nel caso di Marche, Veneto e Lombardia sono le attività più tipiche del made in Italy (industrie creative e manifatturiere) a fornire un contributo fondamentale. Considerando, invece, l’incidenza dell’occupazione delle industrie culturali sul totale dell’economia la classifica regionale subisce quale variazione: il Veneto è in testa a quota 7%, seguito dalle Marche (6,9%), dal Friuli Venezia Giulia (6,4%), e dal Lazio e dalla Toscana (entrambe al 6,3%). “L’Italia deve fare l’Italia – commenta Ermete Realacci, presidente di Symbola- Fondazione per le qualità italiane –. È necessario fronteggiare la crisi finanziaria e il debito pubblico senza lasciare indietro nessuno, ma per risanare l’economia serve un’idea di futuro. Non possiamo che puntare su innovazione, ricerca, green economy, e incrociarle con la forza del made in Italy, con la qualità, con la bellezza. La cultura è l’infrastruttura immateriale fondamentale di questa sfida”. “In risposta alle sfide dell’economia si sta affermando progressivamente un nuovo modello di sviluppo – aggiunge Ferruccio Dardanello, Presidente di Unioncamere -, in cui è crescente l’interesse verso la valenza strategica della cultura e della creatività quali fattori decisivi per una nuova politica dell’innovazione, della qualità, del benessere e della sostenibilità. Le imprese figlie di quei ‘saperi’ propri del nostro territorio sono le protagoniste di questo modello. Esse, attraverso i loro prodotti, contribuiscono alla diffusione dei valori e significati che caratterizzano la società italiana e, per questa via, alla ricchezza del Paese”.
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