Sferisterio, finalmente si torna al passato

Bohème, Carmen e Traviata nel rispetto della tradizione e del pubblico. Imperdonabili gli errori degli ultimi anni. Ed ora si parte in ritardo e con pochi mezzi

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Francesco Micheli, nuovo direttore artistico della stagione lirica maceratese

di Mario Battistini

Almeno nei titoli, si ha il sentore che qualcosa stia cambiando allo Sferisterio. Vedremo. Certo è che con <Bohème>, <Carmen> e <Traviata>, le tre opere scelte per la stagione lirica della prossima estate, si torna all’antico, alla riscoperta del melodramma romantico più popolare, dove le armonie e gli intrecci passionali accendono emozioni a fior di pelle affidando agli interpreti esercitazioni belcantistiche, ma anche stentoree prestazioni vocali. Gli italiani questo vogliono. E’ una forzatura ai limiti dell’arroganza cercare di imporre ciò che non piace o non convince. Infatti, un autentico fiasco si è rivelato negli ultimi tempi il tentativo di coinvolgere il pubblico in operazioni indigeribili, quali si sono rivelate a Macerata le varie <Maria Stuarda>, <Francesca da Rimini> o magari <Offmann> con i suoi pur pregevoli Racconti. Titoli importanti, ci mancherebbe, ma estranei agli amanti della tradizione che li rifiutano in blocco, tanto è vero che in commercio sono rarissime, perché non richieste, le edizioni discografiche di tali opere.

Il nuovo consiglio di amministrazione dello Sferisterio ne prenda atto. Sperimentazioni velleitarie, e fors’anche un po’ snobistiche, sono assolutamente da evitare soprattutto quando si lavora in un teatro all’aperto che, oltre alle schiere di eruditi melomani, ha l’esigenza di richiamare al botteghino famiglie in vacanza e gruppi di turisti, per nulla disposti ad assecondare proposte ritenute di difficile impatto e incomprensibili. Il melodramma è un prodotto Doc del Made in Italy e il repertorio popolare il fondamento più genuino da rispettare. Alfredo, Calaf, Figaro, Rodolfo, Turiddu e Radames sono gli <eroi> che non tramontano mai, assieme a Violetta, Tosca, Carmen, Turandot, Butterfly, Aida, Mimì e via di seguito. Teniamolo ben presente.

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sferisterioPer oltre due decenni, a partire dal 1967, anno di riapertura del Teatro dopo la complessa fase della ricostruzione post-bellica, sul repertorio operistico tradizionale si è sviluppata la politica dello Sferisterio, che seppe cogliere con una rapidità sbalorditiva successi impressionanti, diventando addirittura punto di riferimento in Europa (e non solo). Già nel 1970, infatti, commentando la memorabile e forse irripetibile <Turandot> di Franco Corelli e Birgit Nilsson, filmata da reti televisive tedesche e americane, il <Times> di Londra riservò un’intera pagina alla nostra città: <Mirabile Puccini in un fantastico teatro improvvisamente venuto alla luce e incastonato in un centro storico delizioso>.

Macerata si era di colpo proiettata oltre i confini nazionali guadagnando simpatie, spazi inimmaginabili e vasta popolarità.

Dopo quella <Turandot>, altri exploit si registrarono nelle Stagioni successive costruite sempre su opere di vasta presa popolare e con interpreti di primissimo livello: Luciano Pavarotti, Sherrill Milnes, Renata Scotto, Marilyn Horne, Cornell Mac Neil, Carlo Bergonzi, Montserrat Caballé, Alfredo Kraus, Josè Carreras, Placido Domingo e tanti altri. Quindi registi e scenografi del calibro di Ken Russell, Josef Svoboda, Mauro Bolognini, Hugo De Ana e Lindsay Kemp.

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Anni Settanta e Ottanta davvero importanti. La città fu emotivamente scossa da tanto clamore. Nei bar, sui bus, in tutti i luoghi di ritrovo lo Sferisterio era al centro dei commenti; costumi di scena e gigantografie degli artisti apparvero sulle vetrine dei negozi; fu costituita in quattro e quattr’otto l’Associazione <Amici della lirica> che in pochi giorni raccolse oltre mille adesioni, superando tutti gli altri sodalizi presenti nel capoluogo e nella regione.

In Italia si era ormai dispiegata una realtà operativa dirompente che spinse il Governo nazionale a certificarne la portata. Nel 1973, infatti, con decreto ministeriale lo Sferisterio fu promosso Teatro di tradizione. Altrettanto significativa, negli anni successivi, fu l’iniziativa del colosso multinazionale <Fuji Film> di Tokyo, che propose una collaborazione con lo Sferisterio per veicolare nelle sale cinematografiche del Giappone le rappresentazioni liriche maceratesi. Si mosse anche l’Enit, con le sue delegazioni sparse nel mondo, che fece proprio il marchio Sferisterio per propagandare le eccellenze del nostro Paese alle fiere e mostre internazionali del turismo. Da ricordare anche le ricorrenti pressioni sul Comune da parte delle Associazioni albergatori della Provincia e delle Marche perché si allungasse il periodo di svolgimento della stagione lirica, ritenuta decisiva per assicurare in estate il <tutto esaurito> negli hotel della regione. Ma qui fermiamoci, sperando tuttavia che i signori della politica locale rammentino quel che lo Sferisterio è stato in passato e che oggi non è più. Da un bel po’, infatti, si è spenta la luce.

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Il Teatro appare frenato, è scemata la tensione morale e, con essa, la voglia di fare e di emergere; il senso civico si è affievolito, mentre la politica, litigiosa e inconcludente, non sembra in grado di individuare obiettivi da inseguire e valori da difendere. Certo, in buona misura, questo clima di rilassatezza è figlio della crisi etica ed economica che ha investito l’Italia e l’Europa, imponendo anche alla Cultura di tirare la cinghia. Però, si è superato il segno e il prezzo che si paga è piuttosto salato. I contributi ministeriali sono ridotti al  lumicino e il Fus (Fondo Unico dello Spettacolo) è stato pressoché azzerato. Hanno chiuso i battenti centinaia di attività teatrali, sono scomparsi festival e manifestazioni di rilievo nazionale; il Colosseo perde pezzi, Pompei e altri prestigiosi siti archeologici si stanno sbriciolando, ma nessuno interviene; e sono a rischio musei e monumenti storici. In Italia, purtroppo, manutenzione e prevenzione sono concetti astratti e non ci sono mai i soldi per interventi riparatori. Perché questo è il Paese della corruzione e dell’abusivismo, il Paese delle ruberie, delle caste e delle corporazioni (ben presenti anche in Parlamento) che hanno in pugno il potere reale della nazione.

Tutto questo è vero, ma non deve rappresentare un alibi per i nostri amministratori che, dagli Anni Novanta, hanno gestito lo Sferisterio con distacco e quasi di malavoglia, delegando la politica del Teatro a figure esterne (direttori artistici) e avallando acriticamente ogni loro decisione. Anche la più discutibile, a cominciare dalla incomprensibile cancellazione del marchio <Macerata Opera>, per trent’anni logo dello Sferisterio nel mondo, e fino alla scelta di programmi spesso in contrasto con le esigenze del pubblico. E così si è riusciti nella imperdonabile impresa di stravolgere il  lavoro avviato dalle classi dirigenti del passato che, con felice intuizione, proprio nell’dea-forza Sferisterio – vetrina delle Marche – avevano investito risorse per qualificare l’immagine di Macerata e per vivacizzare la sua struttura socio-economica. Grigiore, rassegnazione e routine ci stanno oggi sovrastando e non è un bel vivere. Occorre reagire e il Teatro può rappresentare una molla preziosa per debellare la noia e la mala pianta del qualunquismo dilagante. Sì, la Cultura è una medicina efficace per vincere i tanti malesseri del nostro tempo.

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Fanno parte del rinnovato consiglio dello Sferisterio noti professionisti e personalità di enti e organismi accademici. Ci si augura adesso che vogliano tutti mettere in campo iniziative coinvolgenti per rilanciare il Teatro e per ricreare in città quel clima di fiducia e di sana operatività che da tempo è svanito. Nuovo è anche il direttore artistico, Francesco Micheli, giovane regista (40 anni) di Bergamo, per la prima volta alla guida di un ente musicale. Lo Sferisterio può e deve riemergere riportando Macerata e la provincia sul palcoscenico internazionale. Buon lavoro a tutti, ben sapendo, tuttavia, che la stagione 2012 va in cantiere in ritardo e con scarsissime risorse finanziarie. Sono handicap non da poco. Non bisogna disperare, illudiamoci (non costa nulla) che possa arrivare un qualche aiuto da privati e imprenditori, sospinti magari dal nobile esempio di quei <Cento Consorti> che quasi due secoli fa edificarono lo Sferisterio <ad ornamento della Città e a diletto pubblico>. Allora, fu la famiglia del grande economista Maffeo Pantaleoni a guidare la storica cordata. E oggi?

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P. S. – Nel ’29, dopo la spaventosa recessione negli Stati Uniti, Franklin Delano Rooswelt invitò istituzioni pubbliche e privati a sostenere la Cultura, che <non è un spreco – disse – ma una risorsa e un investimento per il presente e per il futuro. La Cultura per contribuire a rimettere in moto l’America>. In Italia la Scuola, l’Università, la Ricerca, la Formazione hanno subito di recente tagli indiscriminati, provocando giustificate proteste. <Ma la Cultura non si mangia>, ha candidamente replicato un ministro della Repubblica non più in carica. Viva l’ignoranza.

All’ex ministro, che in Parlamento siede fra aristocratici colleghi che fanno le corna, spernacchiano e alzano il dito medio (proprio la crema del Paese)  il Fai, fra gli altri, ha ricordato che la Cultura produce un valore per 5 miliardi di euro l’anno, pari al 2,6 per cento del Pil nazionale, e per ben 203 miliardi l’anno (13 per cento del Pil) se si considera anche il turismo culturale.

Vogliamo lasciar deperire le bellezze del nostro Paese, le tante eccellenze che il mondo ci invidia e che producono rilevanti entrate in campo economico? Provate a pensare quale ridimensionamento subirebbero le città d’arte (Firenze, Roma, Venezia…) e i tanti centri storici se di colpo si decidesse di chiudere gallerie, aree archeologiche e musei visitati ogni anno da milioni di studiosi e turisti, che alimentano, con le loro presenze, alberghi, ristoranti e negozi. Spegnere i  teatri e le grandi manifestazioni significa spegnere la vita delle città. E poi, signor ex ministro, se con la Cultura non si mangia, forse fanno aumentare l’appetito gli evasori che la fanno sempre franca, i patrimoni esportati illegalmente nei paradisi fiscali e i 131 cacciabombardieri F35 che costeranno allo Stato, cioè a tutti noi, 15 miliardi di euro? Ma poi, signor ex ministro, chi dovremmo bombardare? Forse le tasche dei soliti noti. Ettore Petrolini sosteneva che lo Stato sa bene, in ogni epoca, dove trovare il denaro. <Presso i poveri e i più deboli. Hanno poco, ma sono in tanti…>.  

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L’INCHIESTA DI CRONACHE MACERATESI SUI CONTI DELLO SFERISTERIO (leggi l’articolo)



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