Dal nostro lettore, Giovanni Bonfili, riceviamo:
“Risiedo a Recanati e mi collego quotidianamente al Vostro giornale. Ho letto l’interessante articolo di Carlo Cambi imperniato sulle teorie economiche di Keynes adottate anche ai livelli periferici, parzialmente se non totalmente in termini impropri, come mi è sembrato di capire sostenga l’articolista. Ho avvertito lo stimolo di dedicargli qualche considerazione. Premetto di non essere un economista titolato ma attento ai temi economici da sempre anche per i miei,ormai lontanissimi,trascorsi sindacali.
Mi è sembrato di capire, altresì, che l’estensore dell’articolo nutra, di fatto, qualche riserva di fondo sulla complessiva teoria di Keynes,soprattutto per lo spazio che questa riserva all’intervento pubblico in economia,almeno per l’utilizzo che ne è stato fatto nel nostro Paese. E’ sicuramente da condividere l’affermazione che in questa nostra Italia,purtroppo sempre troppo approssimativa e superficiale,l’adozione delle politiche keynesiane non ha dato risultati brillanti, ma questo è, secondo me,solo un difetto nelle modalità di applicazione di quelle linee.
L’obiettivo di fondo della teoria keynesiana a me pare sia lo sviluppo del Pil che,comunque,per varie ragioni non dovrebbe e non potrebbe durare all’infinito. Se il Pil cresce, crescono le risorse economiche e finanziarie a disposizione dei consumatotri,la domanda aumenta con beneficio del livello di benessere,con il conseguente incremeto della produzione.
Non disdice, pertanto, che a questo processo concorra anche l’intervento pubblico in termini, beninteso, appropriati e ben pianificati.
Ma l’intervento dello stato, se ben equilibrato e ponderato, non diventa un intervento a perdere con grave danno per le casse pubbliche se,concorrendo alle sviluppo del Pil e grazie allo stesso,può beneficiare di maggiori entrate fiscali,come dovreebbe essere naturale.
Ecco il punto, la nota dolens: in Italia la filosofia economica keynesiana non ha dato grandi risultati soprattutto per lo sbilancio tra intervento pubblico ed entrate fiscali,dovuto ad una propensione ad un’evasione annuale gigantesca che ha radici antiche.
Basti pensare,con una nota di colore,che da secoli in giro per l’Italia si dice che è meglio un morto in casa che un marchigiano alla porta perchè nei tempi andati esattori delle imposte erano prevalentemente marchigiani.
Il bello è anche che viga tutt’ora una legislazione che opportunamente utilizzata favorisce l’evasore.
Keynes aveva come punto di riferimento una società ben diversa dalla nostra, con un’educazione ed una mentalità pubblica di tutt’altro tipo, dove trovi, magari, il contribuente che fa causa allo Stato perchè è stato tassato meno del dovuto. Allora forse è giusto: o si lascia perdere Keynes o, con le buone o con le cattive,si convince il cittadino italiano ad essere un contribuente onesto e fedele.
Io sarei per la seconda alternativa”.
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Gianni ha pienamente ragione, però c’è da farsi una domanda e cioè perchè gli Italiani evadono? Solamente per intascarsi più soldi o perchè sono dei delinquenti patentati? Io non penso di essere un cittadino modello ma pago le tasse e do lavoro a diverse persone, però molto spesso mi capita di vedere che pur pagando pagando pagando, la zona industriale dove lavoro alla prima pioggia si allaga, la strade per arrivarci è dismessa, non passano pulman, ecc..ecc.. e soprattutto chi mi governa ha un curriculum che neanche come uomo o donna delle pulizie lo metterei nella mia azienda… e viene votato solamente perchè non ha un c….o da fare e può andare in giro a suonare i campanelli mentre io lavoro dalla domenica alla domenica…e sapete una cosa se io oggi andassi via dall’Italia potrei vivere tranquillamente i Romania come un principe…voi che cosa fareste? A premetto che non ho mai preso un soldo dallo Stato Italiano o dall’Unione Europea…e in più molto spesso quando vado a parlare con qualche amministratore mi fa pure aspettare un’ora in sala d’attesa perchè ha da fare, cosa non lo so!!!!
Sarebbe bello, in una società come descritta da Keynes, parlare solo se si è seriamente titolati.
Soprattutto in economia, infatti, chiunque si sente autorizzato a dire la sua, pur non avendo fatto studi specifici e esperienze approfondite nel settore, a costo di dire enormi castronerie, un pò come avviene anche nei bar.
Mi dispiace ma in democrazia, fatevene una ragione, tutti hanno diritto di parola, anche chi dice enormi castronerie.
Sempre in democrazia, se ci si candida a ruoli istituzionali, non si deve presentare alcun curriculum: tutti, come dice la costituzione, hanno pari diritto di accesso alle cariche pubbliche. Gli uncici deputati a giudicare i candidati sono gli elettori che sono liberi di scegliere chi vogliono, sulla base del curriculum o di altri criteri che ritengono opportuni.
Forse il problema della politica di oggi è che c’è troppa gente dai curricula roboanti…
In economia non ci sono verità assolute ma modelli coerenti sotto il profilo logico-matematico che riescono a descrivere piccole porzioni di realtà partendo da degli assiomi e questo vale anche per Keynes.
Chiunque riesca a sviluppare un pensiero logicamente ineccepibile ha la stessa dignità e lo stesso diritto di parola a prescindere dalla sua estrazione sociale e culturale.
Certo che tutti possono parlare, ma sarebbe gradito che chi parlasse avesse conoscenze in materia, sennò succede quello di cui ci si lamenta, ossia che c’è gente che si occupa di cose di cui non ha la più pallida idea e i risultati si vedono….
Se non ci sono verità assolute in economia da parte di chi la studia da sempre, figuriamoci se dessimo retta all’uomo della strada o al falegname o a chicchessia, per dettare l’agenda economica..
Penso di essere stato chiaro, poi, ripeto, ognuno è libero di dire e scrivere tutto ciò che vuole e, appunto, gli altri giudicano.